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I NOSTRI CD

In queste ultime settimane molti lettori ci hanno scritto chiedendoci perché non appariva la rubrica dedicata alle recensioni discografiche. Il perché è molto semplice: mancanza di tempo. Recensire i dischi è una delle attività che richiede maggiore se non altro per rispetto nei confronti dei musicisti: per parlare di un album occorre ascoltarlo almeno due volte con attenzione e già se ne vanno circa due ore. Poi bisogna scrivere e di solito ci si mette un’oretta. Insomma per presentarvi un disco sono necessarie in linea di massima almeno tre ore di lavoro. Ora voi conoscete benissimo la struttura (si fa per dire) di “A proposito di jazz” per cui onestamente più di così non si riesce a fare. Comunque adesso vi presentiamo una selezione di album incisi da artisti stranieri. Buona lettura ed eventualmente buon ascolto!

Nilza Costa – “Revolution, rivoluzione, revoluçao” – FonoFabrique
RevolutionE’ brasiliana di Salvador de Bahia, ma adesso vive e lavora a Bologna: stiamo parlando di Nilza Costa, una vocalist brasiliana che grazie ad una voce potente e personale, ha tutte le carte in regola per imporsi nel mondo del jazz. In questo disco d’esordio la tematica è facilmente intuibile dallo stesso titolo: si tratta di canzoni di protesta in cui si mette l’accento sulle tematiche del terzo mondo e sui suoi rapporti con i Paesi industrializzati. Dal punto di vista musicale, l’ispirazione viene dall’Africa filtrata attraverso la particolare sensibilità di una brasiliana che ama il jazz. Ecco quindi echi tribali mescolarsi con il blues, con il samba, con il jazz. Insomma un miscuglio originale e gradevole che mette in particolare evidenza le doti della vocalist la quale canta con voce profonda in portoghese, yorubà (l’antica lingua degli schiavi africani) e italiano. Ad accompagnarla un vasto organico variabile composto in prevalenza da strumenti a corda, con un pizzico di elettronica, in cui , dal punto di vista jazzistico, spicca il nome di Carlo Atti al sax alto presente purtroppo in un solo brano. Ed è proprio in una certa staticità e pesantezza dell’accompagnamento ritmico che si può trovare qualche punto debole dell’album: una maggiore fantasia sarebbe stata auspicabile. Tra i pezzi più significativi il brano d’apertura – “Obanixa” – un inno alla vita che pone in particolare evidenza la chitarra di Peppe Siracusa, ma soprattutto “Soberania Popular”, il pezzo di denuncia più forte con il sax soprano di Gianluca Sia che duetta magnificamente con il violino di Claudio Cadei e la chitarra di Massimo Donno, mentre fuori contesto ci è parso l’unico brano non firmato dalla Costa, vale a dire “Lettera della Terra”.

Pierre de Bethmann – “Sisyphe” – Plus Loin Music 4575
sisyphe_300Un bel gruppo di dodici elementi guidati da un eccellente pianista. Risultato: un album che vale la pena ascoltare con attenzione. D’altro canto per chi conosce Pierre de Bethmann non è certo una sorpresa: parigino (classe 1965) Pierre può vantare una formazione classica e una già lunga esperienza nel campo del jazz; tornato a Parigi dopo un periodo di studio al Berklee College of Music di Boston si dedica professionalmente alla musica a partire dal 1995. Forma così il trio « Prism » e nel 2001 lancia un nuovo progetto – « Code Ilium » con cui registra due albums in quintetto, due in settetto e l’ultimo in quartetto « GO », uscito nel settembre 2012. Questo nuovo progetto nasce da una residenza pluriennale ottenuta presso l’Apostrophe, teatro nazionale de Cergy-Pontoise; invece di proseguire lungo le strade tracciate in precedenza, Pierre decide questa volta di cambiare e si indirizza verso una formazione più larga puntando però su artisti di cui ha assoluta fiducia: ecco quindi i sassofonisti David El-Malek e Stéphane Guillaume e il batterista Franck Agulhon già presenti nel “Code Ilium” e la vocalist Chloé Cailleton che usa splendidamente la voce in funzione strumentale. E la fiducia è perfettamente ripagata. La musica presenta come due volti: uno legato al trio pianoforte, batteria, clarinetto basso (suonato dall’eccellente Thomas Savy) che si lancia in gustose improvvisazioni, l’altro costituito dall’intero ensemble. Ebbene, in tutti e due i casi il pianista- leader dimostra una concezione architettonica della “sua musica” complessa ma assolutamente solida: i brani sono tutti ben strutturati e gli artisti, chiamati di volta in volta ad esprimersi anche come solisti, evidenziano tutti una dimestichezza con la pratica improvvisativa ben bilanciata con l’esigenza di leggera la partitura disegnata dal compositore. Se a ciò si aggiunga la bellezza dei temi, tutti caratterizzati da una sofisticata ricerca melodica, si avrà un quadro ben chiaro dell’ottima riuscita dell’album.

Rigmor Gustafsson – “When you make me smile” – ACT 97-28 2
When you make me smileHo conosciuto la Gustafsson qualche anno fa, durante un mio viaggio in Svezia e forse qualche lettore ricorderà una mia intervista a questa cantante. Ebbene allora – e lo scrissi – ne riportai un’ottima impressione sia come vocalist sia come persona, sempre con il sorriso sulle labbra, gentile e disponibile con il pubblico e con la stampa. Ho ascoltato, quindi, con estremo interesse questo nuovo album e ho ritrovato la Gustafsson che ho continuato ad apprezzare durante questi ultimissimi anni. Vengono presentati 13 pezzi, in maggior parte scritti dalla stessa leader che, nell’occasione, viene accompagnata da un trio, da una grande orchestra – la “Delasinfoniettan” diretta da Jonas Nydesjö – e da una nutrita serie di ospiti tra cui spiccano i nomi del sassofonista Magnus Lindgren e del trombettista Patrik Skogh. Certo, per chi predilige la sperimentazione o il jazz d’avanguardia questo non è certo un album da consigliare. Viceversa, per chi ama le ballad, ben concepite e ben eseguite , un pop-jazz di qualità, il discorso cambia completamente e l’ascolto è assolutamente da consigliare. La vocalist si nuove prevalentemente sul registro medio con grande eleganza e sicurezza dei propri mezzi espressivi, e con uno stile tanto originale quanto accattivante. Inquadrato l’album nella giusta dimensione, i brani, nella loro ricerca melodica, sono tutti estremamente fruibili con una particolare nota di merito, a mio avviso, per la title track impreziosita da assolo di Magnus Lindgren al flauto, “Nobody Does It Better” uno dei pochi brani non scritto dalla Gustafsson, con un centrato assolo del pianista Jonas Ōstholm, la gustosissima “Blind As A Bat” e “Let It Go” con ospite Eagle-Eye Cherry e la sua particolarissima vocalità.

Keth Jarrett – Charlie Haden – “Last dance” – ECM 2399
Last danceE’ il 2007. Jarrett e Haden, già amici e sodali di vecchia data, si ritrovano in casa del pianista e naturalmente suonano, suonano tanto come si conviene a chi davvero ama la musica. Le performances vengono registrate e così nel 2010 appare “Jasmine” sempre per la ECM. Adesso la casa tedesca pubblica un’altra serie di registrazioni provenienti dalla stessa occasione e il risultato continua ad essere splendido. I due si misurano con un repertorio costituito da nove perle della letteratura jazzistica, nove standard che pur essendo stati incisi centinaia di volte continuano a mantenere intatto tutto il loro fascino. Naturalmente Jarrett e Haden ne danno interpretazioni sublimi, in un equilibrio di forme e di volumi che ha dell’incredibile vista la difficoltà della formula pianoforte-contrabbasso senza l’ausilio della batteria a dettare i ritmi. Ma sappiamo benissimo come il pianista e il bassista siano perfettamente in grado di svolgere un discorso musicale compiuto in cui ogni elemento appare al posto giusto senza forzature o carenze di alcun genere. Così quando i due si trovano a suonare da soli, il discorso musicale, lungi dall’interrompersi, trova una sua logica prosecuzione nell’assolo che evidenza vieppiù la valenza dei due artisti. I brani, come dicevamo, sono tutti assai godibili essendo caratterizzati da una fresca cantabilità; comunque particolarmente rilevanti ci sembrano le interpretazioni di “Where Can I go Without You” e di “Goodbye” già presenti in “Jasmine” mentre “Round Midnight” ci viene presentata in una veste non certo usuale. Insomma davvero un gran bell’album che, però, si ascolta con grande tristezza per la recente scomparsa di Charlie Haden su cui abbiamo già riferito.

Wolfgang Muthspiel – “Driftwood” – ECM 2349
DriftwoodTre fra i migliori esponenti del jazz internazionale per un album di grande valenza: il chitarrista Wolfgang Muthspiel ( al debutto come leader per la casa di Manfred Eicher ), il contrabbassista Larry Grenadier e il batterista Brian Blade ( di recente ascoltato in Italia ) nel maggio 2013 entrano nell’ormai celebre “Rainbow Studio” di Oslo per dar vita a questo splendido “Driftwood”. Otto composizioni scritte dal chitarrista, sette tutto da solo, una in collaborazione con gli altri due compagni di viaggio (la title tracke). La musica si staglia limpida, a volte stentorea, a volte eterea, alle volte soffusa da una certa malinconia di fondo come nella prima parte di “Highline” che poi cambia decisamente registro per effetto soprattutto del chitarrista austriaco e in “Bossa for Michael Brecker”, ma sempre saldamente ancorata a quella che, per facilità di comunicazione, potremmo definire l’estetica ECM. Quindi un susseguirsi di pause, di silenzi, di atmosfere cangianti declinate sempre dai tre che non conoscono gerarchie prestabilite: spesso a delineare la linea portante è la chitarra di Muthspiel con il suo caratteristico staccato, ma non di rado è Grenadier a prendere in mano il pallino evidenziando quella straordinaria musicalità e quella capacità di sorreggere da solo la struttura armonica del brano per cui è giustamente considerato uno dei migliori contrabbassisti al mondo. Dal canto suo Blade credo sia oggi uno dei pochissimi batteristi in grado di far suonare armonicamente il proprio strumento esaltandone le molteplici possibilità timbriche. Ma il ruolo di primo piano spetta senza dubbio al chitarrista: dopo gli studi alla Berklee di Boston e il ritorno in patria, Wolfgang ha affinato uno stile del tuto personale frutto di una fruttuosa commistione fra tradizione europea, linguaggio nord-americano e reminiscenze classiche; la sua musica è percorsa da una instancabile immaginazione, tutta declinata da note staccate e da un ritmo sempre presente anche se spesso tenuto quasi sottotraccia, il tutto impreziosito da un sapiente gioco sulle dinamiche.

Louis Sclavis Quartet – “Silk and Salt Melodies” – ECM 2402
silkandsaltmelodies_allaboutjazz_kaIl clarinettista francese si ripresenta al suo pubblico quasi con la stessa formazione con cui aveva inciso “Sources” (ECM 2012) vale a dire Gilles Coronado alla chitarra, Benjamin Moussay al pianoforte e tastiere con l’aggiunta di Keyvan Chemirani alle percussioni. In programma nove brani tutti composti dal leader, autore anche della foto di copertina. E ancora una volta Louis Sclavis si conferma, in assoluto, uno dei migliori jazzisti che oggi calchino le platee di tutto il mondo. La sua vena compositiva è straordinariamente fresca nonostante i molti anni di attività e la sua abilità esecutiva, specie al clarinetto basso, è semplicemente impareggiabile. Partendo da queste premesse è chiaro che ci troviamo dinnanzi ad un’altra piccola gemma da incastonare nell’ambito di un’attività che, come accennato, data oramai da lunga pezza. In quest’ultimo album Sclavis dialoga magnificamente con i compagni di viaggio siano essi il chitarrista o il pianista mantenendo sempre fede al suo stile così asciutto e misurato, in cui ogni nota viene quasi pesata per attribuirle la giusta collocazione. L’idea di fondo che il musicista persegue questa volta è di “prendere una immaginaria, nomade, strada dell’Asia Centrale ma anche di indirizzare l’ attenzione verso un’idea dell’emigrazione nella storia del mondo. In questo caso attraverso un viaggio che partendo dal jazz ritorni al jazz stesso”. Così ascoltando l’album si nota come le sonorità si allontanino man mano dal jazz canonico per assumere sfumature, coloriture sempre più orientaleggianti.

Sun Trio – “In The Dreamworld” – CamJazz
InTheDreamworld-cover_bordinoUna sofisticata eleganza di fondo e un uso diffuso ma intelligente dell’elettronica: queste, a nostro avviso, le caratteristiche peculiari di questo nuovo lavoro del “Sun Trio” il terzo registrato per la CamJazz dopo “Time Is Now” e “Dreams Are True”. Il “Sun Trio”, ovvero Jorma Kalevi Louhivuori alla tromba, Olavi Louhivuori alla batteria e Antti Lötjönen al basso, ha oramai assunto una sua precisa fisionomia declinata sia attraverso il sound sia attraverso le belle composizioni scritte in massima parte dal trombettista. Così, per quanto concerne il sound, la tromba di Jorma, trattata elettronicamente e proprio per questo alle volte assolutamente straniante, rappresenta oramai una sorta di marchio di fabbrica del trio mentre le composizioni si inseriscono in quel clima nordico, sospeso tra profondi silenzi a disegnare spazi illimitati che solo chi conosce quei posti può apprezzare sino in fondo. Dal canto loro Olavi e Antti svolgono appieno il proprio compito mai facendo mancare alla tromba il necessario supporto ritmico-armonico per avventurarsi su qualsivoglia terreno. Così accanto a sonorità – come accennato – chiaramente sperimentali, ritroviamo sonorità più vicine al jazz canonico e melodie di sapere quasi mediterraneo. Così possiamo ascoltare un brano di Olavi, “Old Devil’s Boogie”, dedicato a Don Cherry che valorizzò al massimo il trio tromba, batteria, contrabbasso, contrassegnato dalla libera improvvisazione della tromba ben sostenuta dalla ritmica in un ambiente chiaramente vicino al free… ma possiamo apprezzare anche “Soleil d’Afrique” sempre di Olavi Louhivuori con una suadente cantabilità ed un accattivante andamento ritmico… ma a nostro avviso il brano forse più convincente è la title track che ci offre l’opportunità di ben valutare la maestria tecnica e interpretativa di Jorma Kalevi Louhivuori.

Third Reel – “Third Reel” – ECM 2314
2314 XGruppo davvero interessante questo “Third Reel”, trio svizzero/italiano nato nel 2010 e composto dal sassofonista romando Nicolas Masson (classe 1972, tra i più importanti e rappresentativi esponenti della nuova scena svizzera), dal chitarrista ticinese Roberto Pianca (classe 1984, forte di studi effettuati al Conservatorio di Amsterdam) e dal batterista bresciano Emanuele Maniscalco portato letteralmente in palma di mano da artisti quali Enrico Rava e Stefano Battaglia. I tre presentano un repertorio di 16 composizioni originali composte in prevalenza da Masson e Maniscalco mentre Pianca firma solo due brani. Ma, repertorio a parte, già dall’organico si capisce che i tre coltivano un progetto molto ambizioso: suonare una musica originale, difficilmente udibile in un contesto diverso. E ad onor del vero ci pare che la scommessa sia stata vinta; i tre si muovono con perfetta empatia sapendo benissimo cosa fare in ogni singolo momento dell’esecuzione; così a Masson (e più raramente a Pianca) è affidato il compito di declinare le linee melodiche, alle volte suadenti altre volte minimali ma sempre ben congegnate, mentre gli altri due disegnano un sottofondo spesso ipnotico. E così la musica diventa di momento in momento più interessante in quanto appare evidente la dimensione di ricerca che i tre perseguono: estrema attenzione alla timbrica, un’armonizzazione mai scontata, un andamento ritmico sostenuto con estrema attenzione da Maniscalco che si conferma batterista di grande levatura (e probabilmente a questa bella dimensione artistica contribuisce non poco la sua profonda conoscenza del pianoforte e della relativa letteratura classica, moderna e contemporanea). Il tutto completato da un perfetto equilibrio che si avverte facilmente ascoltando tutte le tracce dell’album.

Joona Toivanen Trio – “November” – CamJazz
NovemberAncora un pregevole album frutto della collaborazione tra l’etichetta italiana CamJazz e i musicisti finlandesi: “November” è l’azzeccato titolo inciso a Gothenburg nel febbraio di questo 2014 dal trio del pianista Joona Toivanen completato da Tapani Toivanen al contrabbasso e Olavi Louhivuori alla batteria.
Già in occasione del loro primo album per la Cam, “At My Side” avevamo espresso un giudizio assai positivo sul trio. In particolare ci aveva colpito il linguaggio della band, così assorto, originale, capace di fondere in mirabile sintesi gli umori della memoria nord europea dell’ultimo decennio, con gli stilemi della tradizione jazzistica d’oltreoceano. Dal 2010, data del primo album, al 2014 ovviamente molte cose sono accadute anche agli artisti in questione: così Joona Toivanen si è avventurato, con successo, anche nell’ insidioso terreno del piano solo mentre Olavi Louhivuori ha lavorato proficuamente con Claudio Filippini e Palle Danielsson. Questo per dire che i musicisti , grazie a queste nuove esperienze, sono maturati, hanno aggiunto ulteriori frecce al loro già ricca faretra e il risultato è ora a disposizione di tutti. In “Novembre” il trio si muove con grande leggerezza evidenziando una perfetta empatia che consente a ciascun musicista di assumere di volta in volta il ruolo di leader o di accompagnatore senza che minimamente venga perso il filo del discorso.
Così i punti focale della ricerca restano due: da un canto la purezza del suono, dall’altro la ricerca della linea melodica e della cantabilità con un perfetto equilibrio tra pagina scritta e improvvisazione. A tutto occorre aggiungere la bellezza dei brani, tutti caratterizzati da un tono elegante e raffinato nonché da quella atmosfera di quiete propria del Nord Europa: undici composizioni con il leader e Louhivuori autori di cinque brani cadauno cui si aggiunge la title track scritta dal bassista, sicuramente una delle esecuzioni più raffinate e meglio riuscite dell’intero album…che, come ripetiamo spesso, per essere interamente apprezzato va ascoltato senza soluzione di continuità dall’inizio alla fine.

Tingvall Trio – “Beat” – SKIP
BeatMartin Tingvall al pianoforte, Omar Rodriguez Calvo al contrabbasso e Jurgen Spiegel alla batteria e percussioni sono i protagonisti di questo nuovo album del “Tingvall Trio”. La formazione, davvero atipica essendo stata costituita nel 2003 da uno svedese un cubano e un tedesco, si era già imposta alla nostra attenzione grazie a precedenti album quali “Vagen” e il live registrato durante la tournée europea del 2012. E questo “Beat” non fa che confermare le ottime impressioni avute ascoltando i suddetti CD. Il trio appare ben coeso, fedele ad uno stile oramai collaudato che si basa su una ricetta certo non nuova ma sicuramente convincente specie quando gli ingredienti sono ottimi e il cuoco sa mescolarli con perizia. In buona sostanza il trio prosegue lungo la strada tracciata nei primi anni ottanta da un gruppo di straordinari musicisti norvegesi con in testa Jan Garbarek, Arild Andersen e Terje Rypdal, vale a dire un costante richiamo alla tradizione folkloristica “nordica” cui si aggiungono le influenze musicali sia germaniche, sia classiche sia caraibiche. Il tutto condito da una costante ricerca sul suono e sull’improvvisazione. In effetti un’altra delle caratteristiche del trio è proprio quella di improvvisare congiuntamente e così nell’album, accanto a brani totalmente scritti, figurano pezzi in cui i tre si lanciano in improvvisazioni che coinvolgono l’intera formazione. Ma ovviamente tutto ciò non sarebbe sufficiente a fare un buon disco se non ci fosse dell’ottimo materiale tematico a disposizione: ecco nel “Tingvall Trio” la funzione del compositore è totalmente assolta dal leader che anche in questo caso ha sfornato una serie di brani (dodici per la precisione) tutti caratterizzati da una sapiente ricerca melodica mai banale o scontata.

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