Classica. Johann Adolf Hasse

hasse

E’ sempre strano osservare (ma del resto è un fatto noto) come alcuni compositori assurgano alle più alte benemerenze mentre altri, non meno meritevoli, dopo avere vissuto magari degli acuti di popolarità in vita finiscano presto nel dimenticatoio.
Quale il motivo di queste alterne fortune? Una teoria io ce l’ho, ma sarebbe troppo lungo parlarne qui ( forse un’altra volta?…).
Per fortuna il tempo non sbaglia e una sorta di verità sotterranea sembra, sia pure tardivamente, in qualche caso, imporsi.
A me pare che Johann Adolf Hasse detto “il Sassone”, nato nel 1699 e morto nel 1783 meriti, anche soltanto per le composizioni strumentali qui registrate, non già il riconoscimento dei musicologi, che peraltro e’ affermato da tempo, ma anche l’apprezzamento di un vasto numero di musicofili. Il suo nome dovrebbe comparire ben più spesso nei programmi concertistici.
Poche parole ancora su questo autore. Johann Adolf Hasse, ammiratissimo nientemeno che da Wolfgang Amadeus Mozart (che si augurava di eguagliarlo) nacque a Bergedorf e si formò ad Amburgo. Nato tedesco, coltivò tuttavia una forte inclinazione spirituale allo stile italiano, che lo portò successivamente a lavorare da noi. Qui assimilò non solo i canoni imperanti nella musica del nostro Paese ma anche la nostra cultura in senso lato e persino la religione, al punto di convertirsi al Cattolicesimo.

Un percorso che sembra ricordare,  in senso inverso, quello intrapreso circa due secoli dopo da Ferruccio Busoni, il grande pianista e compositore di Empoli che dopo essersi trasferito giovanissimo in Germania avrebbe con passione abbracciato, di quella terra, la musica, lo spirito, l’universalità.

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Joe Cocker: la più bella voce del rock-blues

Joe Cocker

Che io ricordi mai c’è stato, per il mondo della musica, un anno così “orribile” quanto questo 2014: uno dopo l’altro se ne sono andati molti artisti di grande spessore, alcuni dei quali dopo una vita lunga e vissuta intensamente, altri stroncati quando ancora tanto avevano da dare. E’ il caso, ultimo in ordine temporale, di Joe Cocker venuto meno qualche giorno fa all’età di 70 anni dopo una lunga e incurabile malattia.

Nell’ambito delle diversificate valutazioni che si possono avere su un musicista, su un dato di fondo si è tutti d’accordo: ciò che fa di un artista un Grande artista è la riconoscibilità. Non ci vogliono certo molte note di pianoforte per capire che sta suonando Bill Evans così come è fin troppo facile riconoscere le cascate di note di John Coltrane o l’eloquio torrenziale e fantasioso di Sonny Rollins; identico discorso per la voce umana: a parte le imitazioni –spesso non volute – di Bublè quando canta “The Voice” è lui senza ombra di dubbio: Frank Sinatra.

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Classica. Beethoven secondo Pollini: quando la tecnica si fa linguaggio

Pollini Beethoven

Il grande pianista cileno Claudio Arrau fece una volta una volta un’affermazione con cui concordo pienamente:  ”Per me Pollini è sempre giovane”.
Ecco infatti che questo “giovane pianista”, nato nel 1942, licenzia per Deutsche Grammophon le “sue” 32 Sonate di Beethoven.

Le Sonate pianistiche di Beethoven coprono un arco di soli 27 anni, dalle tre brillanti Sonate opera 2, composte nel 1795, fino all’ultima, grandiosa op.111, del 1822, ma rappresentano uno dei percorsi più avventurosi, coinvolgenti e sconvolgenti di tutta l’arte e non soltanto della musica.

Ciò almeno per due motivi: la qualità costante e la bellezza sempre emozionante dell’invenzione, e la continua innovazione formale e architettonica, sorrette da un’ispirazione visionaria.

Le ultime cinque (op. 101, 106, 109, 110, 111) rappresentano altrettanti progetti musicali ben distinti tra loro con un atteggiamento critico moderno che travalica le convenzioni della sua epoca.

Beethoven qui giunge, per dirla con Schopenauer, “all’idealità della musica”: non soltanto la propria, ma anche quella del suo tempo e dei tempi a venire, compreso il nostro. Egli sarà sempre nostro contemporaneo, un compositore del presente.

Alcuni dei lavori qui incisi sono divenuti famosissimi ( come ad esempio la Sonata op. 27 n. 2 detta “ Al Chiaro di Luna” ), valicando i confini della cosiddetta ‘musica classica’ …e reggendo molto bene l’urto.

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A proposito di… Classica

bianchi

Come ben sapete qui su “A proposito di Jazz” abbiamo sempre avuto la curiosità di aprirci all’ ascolto di ogni altro tipo di musica: il Jazz stesso è un genere musicale che assorbe ogni qualsivoglia stimolo con cui venga casualmente o volutamente in contatto, e per sua natura non è mai chiuso in se stesso, quando è vero Jazz.
Proprio per questo motivo non ci siam fatti sfuggire un’ occasione imperdibile: aprire una finestra settimanale sul mondo discografico della musica classica. E chi ci terrà informati è egli stesso un artista di quel mondo, il pianista e compositore Massimo Giuseppe Bianchi. Un artista con un curriculum incredibilmente ricco, di cui possiamo qui condividere solo una parte, per ovvi motivi di spazio.
 Dopo il diploma al Conservatorio, Massimo Giuseppe Bianchi ha proseguito sotto la guida di Bruno Canino e si è specializzato nel repertorio cameristico seguendo i corsi di Franco Rossi, Maureen Jones, il Trio di Trieste e il Trio di Milano. Ha studiato composizione con Vittorio Fellegara e Bruno Zanolini frequentando anche una masterclass tenuta da György Ligeti. Ha partecipato a festival ed istituzioni di prestigio tra cui  “Settembre Musica” di Torino, Accademia Filarmonica Romana, Associazione Musicale Lucchese, I Concerti del Quirinale di Rai Radio 3, Columbia University (NYC), Parco della Musica.

Ha partecipato a molte trasmissioni radiofoniche perso la Radio Svizzera Italiana e Rai radio 3, come ad esempio “La Stanza della musica”, eseguendo musica in diretta. E’ stato ospite della nota trasmissione radiofonica di Rai Radio 3 “Uomini e Profeti”, condotta da Gabriella Caramore, in un ciclo di trasmissioni da lui ideato dal titolo “Il suono dell’ineffabile”.

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I nostri CD. Dall’Italia e dall’estero

I NOSTRI CD

Piero Bittolo Bon – “Iuvenes Doom Sumus” –
IuvenesAncora un album interessante del sassofonista veneziano (nonché clarinettista e flautista) Piero Bittolo Bon alla testa del suo progetto “Jump The Shark” con il vibrafonista Pasquale Mirra, il chitarrista Domenico Caliri, Danilo Gallo al contrabbasso, Federico Scettri alla batteria ed il trombonista e sousaphonista tedesco Gerhard Gschlössl. Per chi conosce il mondo del jazz sa perfettamente che si tratta di un gruppo di musicisti votati all’avanguardia, alla sperimentazione, all’improvvisazione. Ed in effetti l’album si gioca quasi totalmente sull’improvvisazione e l’interazione tra i musicisti anche se in qualche momento è possibile individuare una qualche linea melodica. Ma al di là di questo – a nostro avviso – trascurabile aspetto, quel che maggiormente impressiona è l’intesa, l’empatia che regna tra i musicisti. A tenere in mano il pallino della situazione è molto spesso il leader (autore di tutti e nove brani) che sembra divertirsi a stupire i suoi stessi compagni di viaggio: ci si aspetta qualcosa e invece Bittolo Bon prende una direzione del tutto diversa, ma i suoi compagni riescono a leggerne le intenzioni, a seguirlo su qualsivoglia terreno. Di qui una musica ironica, ricca di umori, di input provenienti da mondi diversi tra cui il rock, il jazz più moderno, le “lezioni” di Ornette Coleman ed Eric Dolphy), l’inventiva di Henry Threadgill, le sperimentazioni di Tim Berne … anche se, a mio avviso, la matrice più importante deve sempre farsi risalire al free storico. Insomma una musica complessa, spesso non facile, ma porta con garbo e soprattutto senza alcun sussiego…come se i sei musicisti volessero evidenziare il loro divertimento nell’esprimersi senza prendersi troppo sul serio.

Ananda Gari – “T-Duality” – Auand AU9041
T-DualityAl suo disco d’esordio, il giovane batterista pugliese si è recato a New York dove è riuscito ad assemblare un quartetto di notevole livello con Tim Berne al sax alto, Rez Abbasi alla chitarra, Michael Formanek al contrabbasso. Un repertorio di sette composizioni tutte originali del leader e il gioco è fatto: ecco servito agli appassionati un album interessante sia per la qualità della composizioni sia per l’interpretazione che ne danno quattro jazzisti di grande spessore. Da questo punto di vista, la parte del leone spetta, quasi automaticamente, al sax alto di Tim Berne che si muove con grande disinvoltura tra le pieghe delle strutture proposte con sagacia da Gari. In effetti uno dei meriti dell’album sta proprio nel modo in cui Ananda ha scritto il repertorio: si tratta di pezzi tutti ben congegnati, in cui il batterista mostra di saper ben dosare apporto ritmico e linea melodica in un mix caratterizzato altresì da un giusto equilibrio tra pagina scritta e improvvisazione. Insomma soprattutto i due solisti – Berne e Abbasi – sono messi nelle condizioni ideali per esprimere appieno la loro inventiva…cosa che puntualmente accade durante tutta la durata dell’album, in un alternarsi di situazioni sonore spesso entusiasmanti. Si ascolti al riguardo la splendida “Never late” in cui sia Abbasi sia Berne si producono in lunghi, coinvolgenti assolo, con un fraseggio sempre fluido, pertinente, perfettamente in linea con le emozioni che si vogliono esprimere. Ovviamente superlativo come sempre l’apporto di Formanek, un vero asso del contrabbasso, mentre il leader dimostra di aver raggiunto una piena maturità dopo i lunghi anni di apprendistato trascorsi suonando, tra gli altri, con Stefano Battaglia, Mark Turner, Mike Melillo…: lo si ascolti, tra l’altro, impegnato in un entusiasmante dialogo con Berne in “Are you kidding me?” e poi, nel lungo “Fields”, forse uno dei brani meglio riusciti dell’intero album.

Manu Katché – “Touchstone for Manu” – ECM 2419
2419 XEcco un album che farà felici i tanti estimatori del batterista francese: una compilation, in edizione limitata, tratta da quattro splendidi album targati ECM (“Neighborhood” del 2004, “Playground” del 2007, “Third Round” del 2009 e “Manu Katché” del 2012) . Insomma una sorta di passerella per evidenziare il talento di questo personaggio che possiamo ritrovare accanto ad altri grandi solisti quali, tanto per fare qualche nome, Jan Garbarek, Tomasz Stanko, Nils Petter Molvӕr, Trygve Seim, Mathias Eick, Marcin Wasilewski, Tore Brunborg, Jacob Young…Le tracce non seguono un ordine cronologico ma questo non inficia l’unitarietà dell’album in cui si evidenzia, tra l’altro, la grande abilità di Katché nello scegliere, di volta in volta, i vari compagni di viaggio. Così, se per il suo album d’esordio in casa ECM, nel 2004, aveva puntato su una front-line di grande respiro internazionale grazie alla presenza del trombettista polacco Tomasz Stanko e del sassofonista norvegese Jan Garbarek, già nel successivo CD del 2007 lo ritroviamo accanto a musicisti completamente diversi quali il trombettista Mathias Eick, il tenor-sassofonista Trygve Seim e soprattutto il pianista polacco Marcin Wasilewski. Nell’album del 2009 ancora un mutamento d’organico con Tore Brunborg, Jason Rebello, Pino Palladino e Jacob Young. Infine, nell’ultima produzione del 2012 Manu chiama accanto a sé Nils Petter Molvær alla tromba e Jim Watson al piano e tastiere mantenendo Tore Brunborg. E sarà, per tre quarti, questa la formazione con cui inciderà il nuovo album per la ACT (che vi abbiamo segnalato in questa stessa rubrica) con Luca Aquino al posto di Molvær. Ovviamente tutti i brani sono ben scelti a comporre, come si accennava in apertura, una compilation davvero esplicativa dell’arte di Katché.

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