Tempo di lettura stimato: 11 minuti

I NOSTRI CD

Piero Bittolo Bon – “Iuvenes Doom Sumus” –
IuvenesAncora un album interessante del sassofonista veneziano (nonché clarinettista e flautista) Piero Bittolo Bon alla testa del suo progetto “Jump The Shark” con il vibrafonista Pasquale Mirra, il chitarrista Domenico Caliri, Danilo Gallo al contrabbasso, Federico Scettri alla batteria ed il trombonista e sousaphonista tedesco Gerhard Gschlössl. Per chi conosce il mondo del jazz sa perfettamente che si tratta di un gruppo di musicisti votati all'avanguardia, alla sperimentazione, all'improvvisazione. Ed in effetti l'album si gioca quasi totalmente sull'improvvisazione e l'interazione tra i musicisti anche se in qualche momento è possibile individuare una qualche linea melodica. Ma al di là di questo – a nostro avviso – trascurabile aspetto, quel che maggiormente impressiona è l'intesa, l'empatia che regna tra i musicisti. A tenere in mano il pallino della situazione è molto spesso il leader (autore di tutti e nove brani) che sembra divertirsi a stupire i suoi stessi compagni di viaggio: ci si aspetta qualcosa e invece Bittolo Bon prende una direzione del tutto diversa, ma i suoi compagni riescono a leggerne le intenzioni, a seguirlo su qualsivoglia terreno. Di qui una musica ironica, ricca di umori, di input provenienti da mondi diversi tra cui il rock, il jazz più moderno, le “lezioni” di Ornette Coleman ed Eric Dolphy), l'inventiva di Henry Threadgill, le sperimentazioni di Tim Berne … anche se, a mio avviso, la matrice più importante deve sempre farsi risalire al free storico. Insomma una musica complessa, spesso non facile, ma porta con garbo e soprattutto senza alcun sussiego…come se i sei musicisti volessero evidenziare il loro divertimento nell'esprimersi senza prendersi troppo sul serio.

Ananda Gari – “T-Duality” – Auand AU9041
T-DualityAl suo disco d'esordio, il giovane batterista pugliese si è recato a New York dove è riuscito ad assemblare un quartetto di notevole livello con Tim Berne al sax alto, Rez Abbasi alla chitarra, Michael Formanek al contrabbasso. Un repertorio di sette composizioni tutte originali del leader e il gioco è fatto: ecco servito agli appassionati un album interessante sia per la qualità della composizioni sia per l'interpretazione che ne danno quattro jazzisti di grande spessore. Da questo punto di vista, la parte del leone spetta, quasi automaticamente, al sax alto di Tim Berne che si muove con grande disinvoltura tra le pieghe delle strutture proposte con sagacia da Gari. In effetti uno dei meriti dell'album sta proprio nel modo in cui Ananda ha scritto il repertorio: si tratta di pezzi tutti ben congegnati, in cui il batterista mostra di saper ben dosare apporto ritmico e linea melodica in un mix caratterizzato altresì da un giusto equilibrio tra pagina scritta e improvvisazione. Insomma soprattutto i due solisti – Berne e Abbasi – sono messi nelle condizioni ideali per esprimere appieno la loro inventiva…cosa che puntualmente accade durante tutta la durata dell'album, in un alternarsi di situazioni sonore spesso entusiasmanti. Si ascolti al riguardo la splendida “Never late” in cui sia Abbasi sia Berne si producono in lunghi, coinvolgenti assolo, con un fraseggio sempre fluido, pertinente, perfettamente in linea con le emozioni che si vogliono esprimere. Ovviamente superlativo come sempre l'apporto di Formanek, un vero asso del contrabbasso, mentre il leader dimostra di aver raggiunto una piena maturità dopo i lunghi anni di apprendistato trascorsi suonando, tra gli altri, con Stefano Battaglia, Mark Turner, Mike Melillo…: lo si ascolti, tra l'altro, impegnato in un entusiasmante dialogo con Berne in “Are you kidding me?” e poi, nel lungo “Fields”, forse uno dei brani meglio riusciti dell'intero album.

Manu Katché – “Touchstone for Manu” – ECM 2419
2419 XEcco un album che farà felici i tanti estimatori del batterista francese: una compilation, in edizione limitata, tratta da quattro splendidi album targati ECM (“Neighborhood” del 2004, “Playground” del 2007, “Third Round” del 2009 e “Manu Katché” del 2012) . Insomma una sorta di passerella per evidenziare il talento di questo personaggio che possiamo ritrovare accanto ad altri grandi solisti quali, tanto per fare qualche nome, Jan Garbarek, Tomasz Stanko, Nils Petter Molvӕr, Trygve Seim, Mathias Eick, Marcin Wasilewski, Tore Brunborg, Jacob Young…Le tracce non seguono un ordine cronologico ma questo non inficia l'unitarietà dell'album in cui si evidenzia, tra l'altro, la grande abilità di Katché nello scegliere, di volta in volta, i vari compagni di viaggio. Così, se per il suo album d'esordio in casa ECM, nel 2004, aveva puntato su una front-line di grande respiro internazionale grazie alla presenza del trombettista polacco Tomasz Stanko e del sassofonista norvegese Jan Garbarek, già nel successivo CD del 2007 lo ritroviamo accanto a musicisti completamente diversi quali il trombettista Mathias Eick, il tenor-sassofonista Trygve Seim e soprattutto il pianista polacco Marcin Wasilewski. Nell'album del 2009 ancora un mutamento d'organico con Tore Brunborg, Jason Rebello, Pino Palladino e Jacob Young. Infine, nell'ultima produzione del 2012 Manu chiama accanto a sé Nils Petter Molvær alla tromba e Jim Watson al piano e tastiere mantenendo Tore Brunborg. E sarà, per tre quarti, questa la formazione con cui inciderà il nuovo album per la ACT (che vi abbiamo segnalato in questa stessa rubrica) con Luca Aquino al posto di Molvær. Ovviamente tutti i brani sono ben scelti a comporre, come si accennava in apertura, una compilation davvero esplicativa dell'arte di Katché.

Leonardi, Pastor, Blumer, Geisser – “Conversations about Thomas Chapin” – Leo 702
Conversations chapinGli omaggi a grandi artisti del passato più o meno remoto non è certo qualcosa di nuovo anche se, ovviamente, non è di per sé sinonimo di buona musica. Buona musica che invece si ritrova in questo album…almeno per chi ama un certo tipo di espressività. Thomas Chapin fu un compositore, sassofonista, multistrumentista statunitense nato nel 1957 e già affermato improvvisatore nell'area della Knitting Factory quando la leucemia lo uccise a soli 41 anni, senza dargli la possibilità di esprimere appieno tutto il suo potenziale. Un artista sicuramente poco conosciuto nel nostro Paese per cui suona ancora più significativo l'omaggio che questo quartetto italo-svizzero ha voluto tributargli. L'organico è scuramente particolare con flauto (Stefano Leonardi), violino (Stefano Pastor), contrabbasso (Fridolin Blumer) e percussioni (Heinz Geisser), ad interpretare un repertorio di sette composizioni tutte scritte congiuntamente dai quattro. Ma dove risiede il legame con la musica di Chapin? Sicuramente non nella linea melodica né in quella ritmica ma nelle modalità di esecuzione. Come già accennato, Chapin era un improvvisatore di vaglia e così le “Conversazioni” si svolgono su un terreno di piena libertà espressiva, anche dal punto di vista ritmico, lasciando ad ogni componente il gruppo la responsabilità, di volta in volta, di portare avanti il discorso. A nostro avviso le improvvisazioni denotano qualche momento di stanca, per cui l'album si fa apprezzare soprattutto per il prezioso impasto timbrico creato dal violino e dal flauto “soffiato” ben sorretti da contrabbasso e percussioni.

Karen Mantler – “Business is bad” – XtraWATT/14
BusinessIsBad_1403183946A vederla in foto sembra spiccicata la madre (Carla Bley) evidentemente con qualche anno in meno…ma le somiglianze si fermano qui ché , musicalmente parlando, le due artiste hanno pochi punti in comune. Laddove la Bley si è fatta portatrice di un linguaggio spesso nuovo, dirompente, sotto molti aspetti originale, Karen appare legata a stilemi più tradizionali, pur non mancando di una certa originalità e di un sicuro talento. Doti, queste, affinate in lunghi anni di preziose collaborazioni sia con la madre, sia con il padre, Michael Mantler. Adesso, dopo circa venti anni, torna a firmare un album come leader alla testa di un completato da Doug Wieselman alla chitarra e al clarinetto basso e Kato Hideki al basso mentre lei stessa si esprime sia come vocalist sia come pianista e armonicista, con un repertorio composto interamente – parole e musica – da suoi brani. Il trio appare, ben equilibrato con Karen che mette in mostra il suo strumento vocale non particolarmente esteso ma di sicuro fascino e soprattutto particolarmente adatto ad interpretare i nove brani presenti nel CD. E a proposito delle composizioni, le stesse suonano alle volte un po' ripetitive ma questo gap viene colmato dagli arrangiamenti che producono un assai particolare e tutt'altro che monocorde grazie anche al fatto che la Mantler e Wieselman suonano più strumenti. Tra i pezzi più significativi, “My solo” un tango affrontato dai tre, in modalità solo strumentale, con cipiglio e autorevolezza non disgiunti da una nota di struggente malinconia e “That damn volcano” impreziosito da un squisito impasto vocale e da un centrato assolo di Wieselman al clarinetto basso.

Dino Rubino – “Kairòs” – Tuk Music 003
KAIROS-1-290x260Non ci voleva certo questo secondo album targato Tuk per scoprire le straordinarie doti del siciliano Dino Rubino, uno dei pochissimi artisti che riesce ad esprimersi in maniera affatto originale e con identica maestria sia alla tromba sia al pianoforte. In questo CD lo ritroviamo al pianoforte , nella triplice veste di esecutore, compositore (solo un brano è scritto con Mirabella) e arrangiatore; ad accompagnarlo un ottetto comprendente Giuseppe Mirabella (chitarra), che partecipa anche agli arrangiamenti, Riccardo Fioravanti (contrabbasso), Adam Nussbaum (batteria), Angelo Bonaccorso ed Emanuele Giunta (corno francese), Vincenzo Paratore (trombone) e Gaetano Cristofaro (clarinetto basso). Avendo a disposizione tanti “compagni d'avventura”, Dino evidenzia la sua maestria d'arrangiatore ricercando sonorità squisitamente atipiche su un materiale tematico di squisita fattura da lui stesso composto. Materiale che rivela, come meglio non si potrebbe, la sfaccetta personalità di questo grande musicista in un susseguirsi di situazioni, atmosfere dettate dalla sua sensibilità. Di qui un alternarsi di malinconia, gaiezza, vitalità sempre espresse con naturalezza, semplicità, senza alcuna voglia di stupire l'ascoltatore. Il quale, dal canto suo, resta affascinato da questo caleidoscopio di colori, umori in cui si mischiano input provenienti da mondi diversi, il jazz, il rock, il pop, il soul, la musica folcloristica siciliana…mentre lui, Dino Rubino, pensa a ricondurre il tutto ad unità stilistica. I brani sono caratterizzati da una bella cantabilità anche se quelli che ci hanno maggiormente colpiti sono la dolce “Rain”, con uno squisito lavoro di Nussbaum alle spazzole, “Grounding” che dopo un inizio straniante assume un sorprendente andamento swing e la struggente “Fratello” in cui traspare tutta l'emotività del compositore-pianista. Insomma uno degli album forse più significativi pubblicati quest'anno.

Antonio Sanchez – “Three Times Three” – Cam Jazz 7879-2
Three Times ThreeAncora un'ottima realizzazione discografica del celebre batterista messicano Antonio Sanchez: questo doppio CD rappresenta – afferma lo stesso musicista – una tappa importante nella sua crescita di compositore e bandleader essendo riuscito a realizzare un sogno che covava da tempo. Un sogno che si sostanzia nel mettere assieme alcuni dei suoi musicisti preferiti assemblati in tre diverse formazioni: la prima con Brad Mehldau al piano e Matt Brewer al contrabbasso, la seconda con John Scofield alla chitarra e Christian McBride al contrabbasso e basso elettrico e la terza con Joe Lovano al sassofono e John Patitucci al contrabbasso, tutti impegnati ad interpretare un repertorio di nove brani di cui sette composti dal leader cui si aggiungono “Nar-This” ovvero “Nardis” di Miles Davis e “Fall” di Wayne Shorter. Ed ecco, quindi, spiegato il titolo “Tre volte tre”: tre diverse formazioni, tutte e tre composte da tre elementi e ciascuna chiamata ad eseguire tre brani. A fianco di cotanti straordinari musicisti, Antonio Sanchez (che in “Constellations” suona anche le tastiere) si esalta fornendo un esempio lampante di ciò che oggi significa essere un batterista “moderno”. Di qui un drumming elastico, pulsante, incalzante, mai invadente che sa adattarsi in tutti e tre i differenti contesti presentati a conferma della piena maturità raggiunta dal batterista. Ovviamente il clima che si registra è diverso a seconda delle formazioni. Così nel trio con Brad Mehldau il richiamo alle formazioni di Jarrett è immediato data la forza espressiva del pianista; semplicemente splendidi sia “Constellations” sia la rilettura del celebre “Nardis”. Con Scofield il discorso cambia radicalmente: l'atmosfera si fa più incandescente, swingante tanto da sfiorare il jazz-rock; con Lovano il linguaggio torna ad essere più squisitamente jazzistico grazie ad un Lovano in forma straordinaria che specie in “I mean you” dialoga in maniera trascinante con Sanchez usufruendo dell' apporto cromatico e armonico fornito da un Patitucci anch'egli in gran vena.

Giovanni Tommaso Consonanti Quartet – “Conversation with my soul” – Parco della Musica Records
Conversation_tommaso_soulAscoltare quest'ultimo album del grande Giovanni Tommaso è una gioia non solo per le orecchie ma anche per il cuore e per la mente. Constatare come nonostante non sia più giovanissimo, Tommaso riesca a conservare la freschezza di un tempo e soprattutto riesca a farsi seguire da un gruppo di giovani eccellenti musicisti è un fatto non comune. Ad accompagnare il bassista ci sono, infatti, Mattia Cigalini al sax, Enrico Zanisi al pianoforte e Nicola Angelucci alla batteria, vale a dire tre jazzisti che oramai sono da considerare ben più che una promessa. E la conferma, se pur ce ne fosse stato ulteriore bisogno, viene anche da queste registrazioni in cui i tre – se ci consentite l'espressione – non sbagliano un colpo: spesso trascinante Cigalini con le sue improvvisazioni, eccellente anche dal punto di vista ritmico il pianismo di Zanisi, superbo l'apporto di Angelucci. In programma otto brani tutti scritti e arrangiati con la solita perizia dallo stesso Tommaso. A questo punto verrebbe la voglia di chiuderla qui invitando semplicemente i lettori ad ascoltare l'album…ma il nostro ruolo di “recensori” ci impone di dire qualcosa di più e allora porremo innanzitutto l'accento sul fatto che l'obiettivo cercato da Tommaso di trovare tra i quattro una intesa creativa (da cui il nome del gruppo) sia stato perfettamente centrato: i quattro si muovono con sintonia, leggerezza, perennemente in equilibrio fra quella tradizione jazzistica che Tommaso conosce molto bene e quella modernità di cui lo stesso Tommaso è stato uno dei principali interpreti italiani. Proprio a questo proposito su questo stesso sito avrete forse letto un articolo dedicato al Perigeo (per la presentazione del cofanetto loro dedicato dalla Sony) in cui si evidenziava quanto questo gruppo fosse stato avanti rispetto ai tempi. Tornando all'album in oggetto, occorre ancora sottolineare l'originalità dei temi tra cui spicca, per questo motivo, il brano finale “Happy ending musical” , un brano –confessa lo stesso Tommaso – non coerente con il resto del repertorio ma di sicura efficacia.

Mike Turner Quartet – “Lathe of Heaven” – ECM 2357
2357 XEccellente album del tenorsassofonista Mike Turner che, ad onta di una oramai lunga carriera, si presenta per la prima volta come leader in una produzione ECM, dopo aver registrato per la stessa etichetta due album come “Trio Fly” con Larry Grenadier e Jeff Ballard, ed essere apparso in molte altre importanti produzioni registrate a nome di Billy Hart ed Enrico Rava Ad accompagnarlo, questa volta, il trombettista Avishai Cohen, il bassista Joe Martin, e il batterista Marcus Gilmore, in un programma composto da sei composizioni originali, di cui quattro inedite. Balza subito agli occhi la mancanza, ancora una volta, di uno strumento armonico come il pianoforte o la chitarra il che dona al gruppo una maggiore libertà di movimento ma anche una certa dose di rischio. Pericolo, però, brillantemente superato grazie alla maiuscola prestazione di Joe Martin che sa muoversi con grande perizia negli spazi lasciati vuoti, per l'appunto, dall'assenza di uno strumento armonico. In siffatto contesto anche la batteria di Gilmore svolge un ruolo di estrema importanza, sostenendo il gruppo con un drumming tanto fantasioso quanto elegante e propulsivo. Dal canto suo Turner evidenzia quella classe, quella padronanza strumentale, quella raffinata capacità compositiva che tutti oramai gli riconoscono. Il tutto impreziosito da un suono particolare che, nell'occasione, si sposa a meraviglia con la tromba di Avishai Cohen. In effetti i due molto spesso si esprimono all'unisono con una facilità di eloquio stupefacente e quando si producono in assolo lo fanno con estrema rilassatezza e soprattutto mai dando l'impressione di voler strafare, in omaggio all'aurea regola per cui, in campo musicale, spesso è meglio sottrarre che aggiungere. Insomma un album davvero superlativo che dovrebbe entusiasmare tutti gli appassionati di jazz.

Fabio Vernizzi – “Piano quasi solo” – Old Mill
Piano quasi soloIl significato e l'intrinseca natura di questo album è ben spiegata dallo stesso pianista-compositore il quale, nelle note di presentazione, spiega come la sua idea compositiva si sviluppi in questo momento storico in cui non si può prescindere dai contesti sociali, dai pensieri, dalle immagini che rappresentano la sorgente emotiva principale, usando stili e strutture legate a volte alla musica colta, altre volte al linguaggio jazzistico o alle tradizioni popolari. Mentre l'esecuzione deve trovare il suo punto di forza nell'improvvisazione che “diventa uno strumento espressivo necessario per donare una momentanea e irripetibile emozione al brano che diventa così una fotografia istantanea di quel particolare attimo”. Fin qui le enunciazioni di principio. Ma la musica corrisponde a tali enunciazioni? In linea di massima si, in quanto, ad esempio “Pensieri” , costruito su un'idea minimale, rende bene l'immagine del pensiero che spesso cresce, cresce, cresce…sino a diventare, afferma ancora Vernizzi, idea geniale o ossessione. E così questo è uno dei rari casi in cui il titolo del pezzo ha una certa rispondenza almeno con quello che l'autore cerca di esprimere attraverso la sua musica. Ancora due esempi al riguardo: “Looptango” , a mio avviso uno dei brani più coinvolgenti dell'album, rende esplicita la fusione tra il jungle e il tango mentre in “Maracatù” (unico brano non scritto da Vernizzi ma da Egberto Gismonti) il pianista riesce ad esprimere una sincera ammirazione per il grande artista brasiliano. Quanto, infine, alle modalità esecutive, il pianismo di Vernizzi è brillante, caratterizzato dal ricorso a strutture classicheggianti ma con un linguaggio sostanzialmente jazzistico cui non fa difetto l'improvvisazione.

Articoli scelti per te:

Ti è piaciuto l'articolo? Lascia un commento!

Commenti

commenti

Shares