Classica. Grazie, maestro Ciccolini

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E’ mancato, pochi giorni fa, Aldo Ciccolini, grande pianista, musicista vero, uomo colto e amabile. Un aneddoto dal retrogusto amaro: quello stesso giorno su un TG nazionale fu data in pompa magna la notizia seguente: un noto cantante sarebbe calato a Sanremo al festival della canzone, per gratificare il pubblico dei propri gorgheggi. Silenzio di piombo naturalmente sulla  scomparsa del maestro.

Inutile lamentarsi per essere precipitati in un baratro culturale in questo Paese; è un fatto inevitabile cui non è possibile porre contrasto, non ci rimane che la strada evangelica: “non possiamo cambiare il mondo ma possiamo cambiare noi stessi”. Oppure aderire al “carpe diem” di Orazio: ritagliamoci quella tranche di realtà nella quale possiamo vivere serenamente, senza pretendere di andare oltre.

Voglio ricordare qui Aldo Ciccolini semplicemente invitando ad ascoltarlo. 

Nato Napoli nel 1925 si è spento nella sua casa a Ansières-sur-Seine il primo febbraio 2015. Allievo, tra gli altri, di Marguerite Long e Alfred Cortot, iniziò giovanissimo una brillante carriera, mai interrotta. 

Nel 1969 abbandonò l’ambiente italiano, con il quale evidentemente non riusciva a stabilire un rapporto di fiducia, decidendo di diventare cittadino francese.

Grazie ad una miracolosa facilità di assimilazione e ad una tecnica raffinata il suo repertorio, diversamente da altri artisti come ad esempio Michelangeli, era molto vasto. Ciò gli ha permesso di svolgere una straordinaria operazione culturale, esplorando sia le zone più nascoste del grande repertorio (Liszt, Debussy) sia gli autori meno conosciuti. Ed è proprio in questi ultimi che si realizzarono forse gli aspetti più interessanti del suo magistero pianistico. 

Egli, potremmo dire, abbracciava la musica in tutta la sua vastissima estensione e sapeva rivelare l’unicità di ogni mondo poetico. Non essendo inoltre affetto dal benché minimo provincialismo, malattia endemica in Italia, suonava spesso musiche di autori italiani come Mario Castelnuovo Tedesco, Riccardo Pick-Mangiagalli, Mario Pilati. E con quale cura! 

Amava anche,  nei suoi recital proporre programmi monografici, i più difficili poiché pongono all’interprete e al pubblico maggiori problemi di varietà e sono, come si suol dire, ‘culturali’: parola sempre assai pericolosa. 

Negli anni ’90, ad esempio, propose in una serie di concerti l’integrale pianistica di Claude Debussy; un autore immenso, come sappiamo, nelle cui intuizioni è presente tutto il Novecento a venire ma, perlomeno alle nostre latitudini, si può dire fosse allora paradossalmente trascurato (penso agli Studi, a molte pagine sparse, a quel capolavoro che sono le neglette Images Oublieés…). 

Ciccolini mise la propria fama al servizio di questo come di altri musicisti ben meno noti, svolgendo un apostolato non dettato da logiche ‘alimentari’ di mercato bensì motivato dall’amore per la verità artistica. Sotto il profilo schiettamente pianistico, poi, la musica sotto le sue dita svelava la propria alchimia senza forzature; non trovavi cedimenti all’effetto, al gesto estetizzante: al massimo, quando necessari, ironia o signorile distacco. 

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