Milano, Teatro Manzoni, Aperitivo in concerto

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Nella musica, nel Jazz, ci sono due modi di perseguire l’ innovazione. L’ uno è quello di mettersi a tavolino e tirare fuori qualcosa di “nuovo” “mai sentito” “sperimentale”, una sorta di “famolo strano” della musica, se mi si concede la citazione non colta.

Il secondo modo non è scelto a tavolino: l’ innovazione viene dalle idee, dall’ espressività impellente dell’ artista che ha dentro di se qualcosa di nuovo e trova il modo di esprimerlo: il risultato è musica innovativa, ma perché come tale è nata e non ne ha preso la semplice foggia esteriore.

Al Teatro Manzoni di Milano, per la rassegna “Aperitivo in concerto” Kimmo Pohjonen , grande fisarmonicista finlandese, ed Eric Echampard, grande batterista francese, hanno suonato musica suggestiva, trascinante, coinvolgente, liberatoria anche, mostrando un affiatamento incredibile e una creatività a tutto tondo, evidente nella continua ricerca timbrica, dinamica, armonica, melodica e strutturale.

Una ricerca non tanto cerebrale (anche se alla base c’è una solidissima preparazione tecnica di entrambi i musicisti) ma empatica, estemporanea spesso, ma tutt’ altro che casuale. Ovvero, questo duo compie, musicalmente, un percorso del quale il fine è l’ esplorazione di mondi sonori nuovi ma anche la riscoperta di suoni ancestrali, primitivi più che antichi, che al nostro orecchio risultano ancora mai ascoltati. Nessun esploratore andrebbe verso l’ ignoto senza una bussola, e senza un adeguato equipaggiamento che gli permetta di tenere una rotta e anche di poter vedere, guardare, tenere un diario di viaggio per avere polso di tutto ciò che di stupefacente appaia davanti agli occhi.

Buio in sala dunque, e la fisarmonica intona pianissimo un’ unica nota, tenuta a lungo ma mai uguale a se stessa: essa vibra, aumenta e diminuisce di volume, ritorna dritta come un fuso, canta, in una parola. La batteria respira. Si, respira, i mallets percuotono piano le pelli su un disegno ritmico – melodico fisso, fino a quando la fisarmonica intona una melodia struggente. Il charleston si inserisce per primo in un crescendo melodico e agogico, l’ armonia è sospesa nonostante ci sia una tonica ben determinata.

Cosa nasce da questo crescendo? E’ solo l’ inizio di un concerto emozionante, ipnotico, a tratti fortemente terrestre, a tratti fiabesco, a tratti evocativo di spazi naturali grandissimi e silenziosi a tratti di atmosfere rituali, tradizionali, a tratti invece futuribili.

Con una fisarmonica portata all’ espansione di ogni tipo di suono possibile, compresa la percussione del mantice, viaggia una batteria di cui i tamburi e i ride diventano fonte di battiti, rumori, note. Un fisarmonicista formidabile per sensibilità sonora e un batterista formidabile per le stesse caratteristiche, percorrono essi per primi incantati un mondo stupefacente. Ogni crescendo e diminuendo è univoco e multiforme. Ogni artificio espressivo è utilizzato da entrambi, si ottiene lo stupore ma il fine non è stupire. Il fine è esprimere stati d’ animo profondi in ogni modo possibile. E così la batteria viene usata alternandone sapientemente gli elementi per ottenere colori, suggestioni, percuotendo i ride smontati ed appoggiati sopra i tamburi, eliminando la cassa o battendo solo i tamburi, o utilizzando in rapida successione tutte le bacchette possibili impugnate in ogni modo possibile. La fisarmonica viene utilizzata usando anche il solo rumore dell’ aria o al contrario con accordi possenti e anche distorcendo elettronicamente alcuni suoni.

Vi descrivo questo perché ho visto fare questo e molte altre cose, dal mio palco si vedeva ogni cosa dall’ alto: ma vi dico anche che ad un certo punto ho scelto di non guardare, perché non mi interessava tanto il “come” ma di godermi il risultato finale. Quasi mi infastidiva vedere “il trucco”, che trucco non era in realtà. Ho chiuso gli occhi. Ho viaggiato. E sono arrivata alla conclusione che in quel concerto non ho ascoltato musica nordica, finlandese, o francese, o europea, o Jazz. Ho sentito suoni del pianeta terra e del cielo che lo circonda, e questi erano a Milano, di mattina, al Teatro Manzoni.

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