Dado Moroni-Max Ionata two for Stevie

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Il Jazz è destinato a vivere a lungo fino a che ci saranno musicisti come Dado Moroni e Max Ionata con idee e desideri (realizzati) come quello dell’ incontro con il repertorio di un grande della musica soul – pop come Stevie Wonder. “Two for Stevie” si intitola il loro ultimo lavoro (che segue quello fortunatissimo dedicato a Duke Ellington, “Two for Duke, sempre edito da Jandomusic e Via Veneto Jazz) .

Specifichiamo bene: quello di Moroni e Ionata non è un tributo porto supinamente ad uno dei grandi della musica afroamericana.

Stevie Wonder è certamente un punto fermo per questi due eccellenti musicisti italiani, ma soprattutto un… fermo punto di partenza. La stessa decisione di affrontare in duo brani celeberrimi quali “Isn’t she lovely”, di cui conosciamo alla perfezione gli arrangiamenti, dei quali abbiamo oramai nell’ anima oltre che nelle orecchie anche l’ inconfondibile timbro vocale del protagonista, è una decisione che parla chiaro: non ritroverete uno Stevie Wonder da canticchiare, ma l’ essenza delle sue melodie, del suo ritmo, della sua fantasia compositiva, così come vengono percepiti da due Jazzisti con una spiccata personalità. E allora, cosa accade in questo concerto che si è svolto in una sala piena di un pubblico entusiasta, che più volte ha spontaneamente tenuto il tempo, battendo le mani?

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Jazz di classe quello di Mark Turner

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Sax , tromba, batteria e contrabbasso: il quartetto piano-less non è certo cosa di oggi nella storia del jazz; ricordiamo forse il più celebre, quello composta da Gerry Mulligan , Chet Baker, Carson Smith (basso) e Chico Hamilton o ancora quello che assieme a Mulligan vedeva Art Farmer , Bill Crow , Dave Bailey.

Certo, da allora sono trascorsi molti anni e quel genere di sound, di fraseggio appartiene al passato, ma la formula è ben viva e vegeta e ce lo hanno dimostrato il marzo scorso, all’Auditorium Parco della Musica, Mark Turner al sax tenore, Ambrose Akinmusire alla tromba, Joe Martin al basso e Justin Brown alla batteria.

Nato nel 1965 a Fainborn, Ohio, il sassofonista Mark Turner, è cresciuto ascoltando Dexter Gordon, Sonny Rollins e John Coltrane. Dal 1987 ha studiato al Berklee college, dopo di che si è trasferito a New York lavorando, tra gli altri, con James Moody, Jimmy Smith, Ryan Kisor, Johnny King, Leon Parker e Joshua Redman.

Il successo generalizzato è giunto dopo aver inciso per la ECM due album con il trio FLY assieme a Larry Grenadier e Jeff Ballard ( “Sky & Country” nel 2008 e “Year of the snake” nel 2011) e finalmente nel 2013 “Lathe of Heaven” come leader di un quartetto completato da Avishai Cohen alla tromba e dalla stessa sezione ritmica presente a Roma.

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Malaguti in versione West-Coast con Gianmarco Lanza e Marco Loddo

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Bella atmosfera sabato 14 marzo al Teatro Studio Keiros di Roma: sul palco il trio West Coast di Lanfranco Malaguti alla chitarra con Gianmarco Lanza alla batteria e Marco Loddo al contrabbasso.

Una sessantina di persone a riempire completamente il piccolo spazio di via Padova per ascoltare le musiche del trio; ad un certo punto ho quasi avuto la bellissima sensazione di rivivere le atmosfere del glorioso Music Inn quando, tutti stipati su panche non proprio comodissime, ci si apprestava a sentire il grande di turno.

E anche al Keiros abbiamo in effetti ascoltato un grande musicista. Lanfranco Malaguti è senza dubbio alcuno uno dei più lucidi sperimentatori del mondo jazzistico non solo italiano. Matematico di formazione, ha applicato alla musica la teoria dei frattali con risultati che potete apprezzare ascoltando gli ultimi suoi lavori per la Splasc(H).

Ma, parallelamente a queste ricerche, il chitarrista porta avanti oramai da tempo un trio specializzato nel repertorio West Coast; costituito nel 2001 il combo è completato dal già citato Gianmarco Lanza e da Piero Leveratto alla batteria; con questo organico il trio ha effettuato numerosi concerti a Milano, a Firenze, a Ferrara, a Roma (Casa del Jazz) e ha inciso i CD “The revival of West Coast jazz” e “Trio live per la Splasc(h)” e, in quartetto con Bill Smith, il doppio “Concert for Mirella” per la Mox Jazz.

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La fisarmonica di Giuliana Soscia protagonista dello “Stabat Mater da Giovanni Sebastiano a Giovanni Battista”” di Roberto De Simone

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Il 3 aprile al Teatro San Carlo andrà in scena la prima assoluta dello “Stabat Mater da Giovanni Sebastiano a Giovanni Battista” di Roberto De Simone per coro, complesso di voci bianche, quartetto gospel, tre fisarmoniche e complesso strumentale, con la partecipazione fondamentale della fisarmonicista Giuliana Soscia.

In effetti è proprio a lei che il maestro De Simone ha affidato la realizzazione della trascrizione per le tre fisarmoniche e l’organizzazione del trio come prima fisarmonica; di qui la scelta, da parte della stessa Soscia, di due collaboratori d’eccezione e specializzati nel settore classico e contemporaneo come Ivano Battiston e Francesco Gesualdi. Per cui avremo un trio di fisarmoniche davvero ben articolato ed in perfetto stile del maestro De Simone con due musicisti di estrazione colta ed una specializzata nella fisarmonica jazz, ma con solide basi classiche (è nata come pianista concertista).

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Classica. Pli selon Pli di Pierre Boulez: i limiti della terra fertile

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Pierre Boulez compie 90 anni. Età venerabile per un artista venerato ma ancora controverso. E’ ancora oggi, la sua musica, troppo “difficile”?

Le sue conquiste sono sempre attuali?

Che le sue opere possano suscitare orgasmi di esaltazione presso larghe fasce di pubblico è cosa dubbia, e credo non sia in rebus per via della natura stessa del suo linguaggio, la cosiddetta serialità integrale: una procedura che per l’appunto “serializza” (cioè regola secondo determinati artifici contrappuntistici) tutti i parametri musicali, i suoni ma anche le dinamiche, le durate, i timbri..

E’ il vecchio sogno di edificare le invenzioni sonore sopra edifici numerologici: un’utopia occidentale nata agli albori del contrappunto e mai sopita lungo le epoche a seguire fino a rinascere in modo eclatante all’inizio del Novecento in seno alla seconda Scuola di Vienna (Arnold Schoenberg, Anton Webern…).

Per Boulez comunque, che da questi autori prende sicuramente le mosse, non meno importante è stato l’influsso del simbolismo, in particolare del “Pélleas et Mélisande” di Debussy.

Boulez…su di lui sono scorsi letteralmente fiumi d’inchiostro…

Che la sua musica sia complessa è vero, forse la più complessa che si possa immaginare. Ma è un male? Secondo me la domanda è un’altra: è musica artisticamente bella, o meglio ancora necessaria? Rispondo senza dubbio di si.

Ascoltate in proposito “Pli selon Pli”, il capolavoro di questo musicista, nel quale il suo proverbiale artisanat furieux culmina – forse paradossalmente – in un gesto lirico sconfinato, capace di riscoprire la fragile categoria estetica del “bello” che potrebbe essere quasi secondaria in un genere così sublimato.

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Ici France – Ici Paris. Vento di freschezza sul jazz francese

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trad. Gerlando Gatto – I successi del rock saranno i nuovi standards degli anni 2000 per le nuove generazioni di jazzmen? Sembrerebbe proprio di sì. Dopo Coldplay, Portishead e altri gruppi ecco i successi dei Doors ripresi nel jazz grazie a Samy Thiébault. Il giovane sassofonista-tenore nonché flautista si è appena appropriato in “« A Feast of Friends » (Gaya Music Production/Socadisc) alla testa del suo quartetto (Adrien Chicot, piano ; Sylvain Romano, contrabbasso ; Philippe Soirat, batteria) dell’universo musicale così particolare d’uno dei gruppi più importanti del rock psichedelico americano degli anni ’60. In effetti si tratta di tre riprese del repertorio della formazione di Jim Morrison, tra cui il famoso « Riders On The Storm », mescolati a composizioni originali, il tutto convogliato su aspetti musicali assai innovativi, coniugando rock underground, jazz binario e intonazioni blues-rock. Un bell’omaggio ad una musica divenuta senza tempo.

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Nicolas Folmer

Il jazz binario, detto jazz-rock o jazz fusion, non ha segreti per Nicolas Folmer. Trombettista, co-fondatore della Paris Jazz Big Band (con il sassofonista Pierre Bertrand), direttore artistico di parecchi festival e allo stesso tempo insegnante, ben conosciuto per le sue molteplici collaborazioni, ha appena licenziato un CD, « Horny Tonky » (Création Jazz – Cristal Records/Harmonia Mundi), che è risolutamente un ritorno verso il futuro … del jazz ritmato ed elettrico degli anni ’70! Ascoltando i temi originali dovuti alla sua penna si ha come la sensazione di essere tornati ai bei vecchi tempi dei « Weather Report “, “Return To Forever” (di Chick Corea), “Spectrum” (del batterista Billy Cobham) et altri gruppi come gli Headhunters (di Herbie Hancock). In definitiva una musica caratterizzata da una tromba le cui sonorità evocano quelle di un certo Miles Davis, con riffs di chitarra e di tastiera particolarmente funky, ottoni in abbondanza e un gioco di batteria iper-rockizzante. Del jazz che cambia casa!

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