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Pierre Boulez compie 90 anni. Età venerabile per un artista venerato ma ancora controverso. E' ancora oggi, la sua musica, troppo “difficile”?

Le sue conquiste sono sempre attuali?

Che le sue opere possano suscitare orgasmi di esaltazione presso larghe fasce di pubblico è cosa dubbia, e credo non sia in rebus per via della natura stessa del suo linguaggio, la cosiddetta serialità integrale: una procedura che per l'appunto “serializza” (cioè regola secondo determinati artifici contrappuntistici) tutti i parametri musicali, i suoni ma anche le dinamiche, le durate, i timbri..

E' il vecchio sogno di edificare le invenzioni sonore sopra edifici numerologici: un'utopia occidentale nata agli albori del contrappunto e mai sopita lungo le epoche a seguire fino a rinascere in modo eclatante all'inizio del Novecento in seno alla seconda Scuola di Vienna (Arnold Schoenberg, Anton Webern…).

Per Boulez comunque, che da questi autori prende sicuramente le mosse, non meno importante è stato l'influsso del simbolismo, in particolare del “Pélleas et Mélisande” di Debussy.

Boulez…su di lui sono scorsi letteralmente fiumi d'inchiostro…

Che la sua musica sia complessa è vero, forse la più complessa che si possa immaginare. Ma è un male? Secondo me la domanda è un'altra: è musica artisticamente bella, o meglio ancora necessaria? Rispondo senza dubbio di si.

Ascoltate in proposito “Pli selon Pli”, il capolavoro di questo musicista, nel quale il suo proverbiale artisanat furieux culmina – forse paradossalmente – in un gesto lirico sconfinato, capace di riscoprire la fragile categoria estetica del “bello” che potrebbe essere quasi secondaria in un genere così sublimato.

Senza inoltrarci oltre per questo impervio sentiero, anche se meriterebbe ampie riflessioni, ci limitiamo ad affermare che in quest'opera le forme astratte ed elaborate della scrittura divengono materia viva, si fanno dramma dell'intelletto e del sentimento.

A proposito della vexata quaestio sulla “musica difficile”, viziosa manfrina che inficia tutta la musica d'oggi, la prima considerazione che appare necessaria se si voglia, una volta tanto, ficcar lo viso un poco oltre l'intricata e ingannevole superficie delle apparenze è : “Che ci frega, dopotutto? ”.

A quanta bellezza siamo ancora disposti a rinunciare per paura di non capirci nulla? Non è forse questa passività la più verace offesa ai valori dinamici di ricerca del nostro pensiero? Per apprezzare un'opera musicale non è necessaria la cultura (quella può arrivare, si capisce, in un secondo momento) ma una personalità. E tempo, certamente. Non si può pretendere di afferrare un'opera simile con un solo ascolto, del resto la musica vera è fatta per essere riascoltata lungo l'arco di una vita, non è un prodotto usa-e-getta.

Se poi volessimo aprire un dibattito su una certa china scesa dalla musica degli ultimi quarant'anni, laddove si è fatta confusione tra arte e tecnica magari con intenti – parola attuale – di camouflage, questo è un tema serio, ma tale problematica non tocca “Pli selon Pli” che è un capolavoro indiscutibile.

Questa composizione per soprano e orchestra, iniziata nel 1957, fu rivista più volte (un'opera “continua” secondo una modalità tipica di questo autore e anche di Stockhausen) fino all'ultima versione del 1989, registrata in questo disco pubblicato qualche anno fa da Deutsche Grammophon.

Cinque le parti di cui si compone: Don, tre Improvisations e Tombeau, tutte su testi di Stephane Mallarmé, il poeta simbolista autore del poema in versi alessandrini “L'aprés-midi d'un faune” che ha ripensato completamente la sintassi della lingua francese.

Per Boulez il termine ‘improvisation' non indica aleatorietà, bensì l'irruzione di una dimensione libera nella composizione.
E' necessario forse un cenno sull'organico: il dispiegamento di forze è impressionante e comprende, oltre alla sezione e fiati, il pianoforte, il mandolino, la , una sezione di percussioni e cinque arpe. L'orchestrazione è stupefacente: con trasparenza in tutto degna di Gustav Mahler, Boulez tratta i timbri solisticamente, direi cameristicamente, nonostante la foresta intricatissima dello strumentale.

Particolarmente affascinante l'uso di campane, campane tubolari, glockenspiel e del vibrafono, a tessere una delicata e inaudita tela sonora (ad esempio nella terza Improvisation”À la nue accablante tu”).

Tutta l'opera emana una suggestione unica che, pur nella complessità del linguaggio adottato, sa tenere l'ascoltatore incollato alla sedia

La poesia di Mallarmé, fondata su libere associazioni, risulta perfetta allo scopo; avviluppata al fitto reticolo di suoni come una lucida pianta rampicante su un pergolato, imprime una traccia che rimane nella musica anche quando le parole tacciono: “Così il testo segna col proprio sigillo la musica strumentale. Gli strumenti si sono fatti canto” (Boulez).

L'opera, ça va sans dire, è presentata in questo CD in un'esecuzione eccellente, con l'autore sul podio e un'interprete vocale, Christine Schäfer, più che perfetta in una parte davvero impervia. Ma i singoli strumentisti del noto e blasonato “Ensemble Intercontemporain” sarebbero tutti degni di ricordo per la cura certosina e il calore dei loro interventi: perfetti per il calligrafismo bouleziano.

Sono sicuro che dopo l'ascolto di questo disco gli scettici della musica contemporanea, pur avendo qualche buona motivazione, dovranno arrendersi.

Dimenticavo: il titolo deriva sempre da un componimento di Mallarmé, non presente però nel testo musicato, che descrive il diradarsi della nebbia a disvelare, poco a poco, le pietre della città di Bruges :” Similmente, piega dopo piega, si rivela il ritratto di Mallarmé”.

A chi pungesse vaghezza di avvicinarsi alla di lui poesia consiglio la bella edizione economica pubblicata da Garzanti, “Poesie e Prose” con testo a fronte, necessario quest'ultimo anche a chi non conoscesse la lingua, poiché la musicalità della parola qui ha significato più dei concetti, che sono relativi.

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