Donatella Luttazzi e Le Zebre a Pois all’Alexanderplatz il 12 marzo 2015

downloadLelio Luttazzi è stato personaggio di spicco nel mondo musicale italiano. Non a caso la sua dipartita è stata accolta con sincero cordoglio e molte sono state le manifestazioni organizzate per ricordarlo. In quest’ambito si è particolarmente distinta la Fondazione promossa dall’ultima moglie di Lelio che ha portato avanti tutta una serie di iniziative altamente meritevoli…se si esclude un piccolo ma non insignificante particolare: in tutti questi appuntamenti mai si è fatta menzione del fatto che Lelio avesse una figlia, Donatella, anch’essa artista di squisita sensibilità e rara ironia.

Era da tempo che volevo esprimere questi pensieri e adesso l’occasione mi è fornita dal fatto che il 12 marzo Donatella Luttazzi e le “Zebre a Pois” si esibiranno all’Alexanderplatz di Roma.

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Pol0 “Back Home” : la freschezza della novità

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Paolo Porta: sax tenore
Valerio De Paola: chitarre, elettronica, voce
Andrea Lombardini: basso
Michele Salagarello: batteria

Atmosfere suggestive sa creare questo ensemble di validi musicisti che ha presentato il suo nuovo cd “Back Home” presentato dall’ etichetta CAM Jazz, non nuova ad incoraggiare progetti originali e musicisti giovani dalle idee nuove.

La compagine è di per se timbricamente interessante: basso elettrico, chitarra elettrica si contrappongono ai suoni acustici di sax contralto e batteria. E’ una “doppia coppia” in cui però le carte si mescolano, le possibilità di interazione sono tante, così come non si può esattamente dire che ci sia una netta suddivisione dei ruoli (ritmico – armonico – melodico): ed è questo il bello, perché il risultato è un’ atmosfera cangiante, mutevole, sempre interessante anche per il continuo avvicendarsi di sezioni scritte e parti improvvisate che sfumano in una progressione continua, mai giustapposta.

E poi cambi di timing ciclici, alternanze di tempi simmetrici e asimmetrici (benissimo resi dal groove di Michele Salgarello, batterista sensibile e attento ad ogni più piccola sollecitazione proveniente dai colleghi).

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Classica. Le Quattro Stagioni e le Mezze Stagioni di Tchakerjan e Tonolo : un tradimento fecondo

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Le quattro Stagioni di Antonio Vivaldi, assieme al klavierstück “für Elise” di Beethoven, al Valzer del Danubio Blu di Strauss, al Bolero di Ravel, appartengono a quelle opere che il grande pubblico associa all’idea stessa di musica “classica”. Esse sono, potremmo dire, una sineddoche ‘a maiore’ di tutta la musica classica e per questo rivestono molteplici significati.

Nelle sale da concerto e in TV, nelle pubblicità e nei party come musica di sottofondo, sui telefonini a “rallegrare” (si fa per dire) con grida improvvise i nostri viaggi in treno o le cene romantiche al ristorante, al cinema nella colonna sonora della splendida, violentissima “trilogia della vendetta” di Park-Chan Wook come nella commedia di Nakache e Toledano “Quasi Amici”…insomma, ci accompagnano un po’ dappertutto.

Ma qual è il giudizio su queste Stagioni?

Igor Stravinsky, che non apprezzava Vivaldi, affermò in una celebre boutade che quest’ultimo non aveva scritto 600 concerti, bensì seicento volte lo stesso concerto.

Tipica affermazione che si può, con eguali argomentazioni, rifiutare o condividere.

Il pubblicizzato compositore Max Richter le ha recentemente rielaborate in un patchwork di stampo minimalista, destando alleviani entusiasmi e affermando per giunta, in un conato di ingratitudine nei confronti del “Prete Rosso”, di essere giunto ad odiarle. (sic!)

Un po’ come Arthur Schopenauer che dichiarò di aver scritto una propria Storia della Filosofia poiché insoddisfatto di quelle esistenti (non diciamolo però a Richter, potrebbe servirsi di tale affermazione in modo indebito).

Le “Quattro Stagioni” sono quattro concerti facenti parte di un ciclo più ampio di 12 intitolato “Il cimento dell’armonia e dell’inventione”; furono pubblicate ad Amsterdam nel 1752, benché la loro effettiva composizione risalga a diversi anni prima.
Ciascun concerto si divide in tre movimenti dei quali il primo e il terzo sono di andamento veloce, mentre quello intermedio è un Adagio o un Largo, secondo uno schema molto comune all’epoca e frequentemente adottato dallo stesso Vivaldi.

L’organico di tutte le partiture consta di violino solista, quartetto d’archi e basso continuo (clavicembalo nella presente registrazione).

Si tratta di un tipico esempio di “musica a programma” termine che si riferisce a composizioni contenutistiche dal carattere descrittivo.

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A spasso tra gli stili del jazz con la big-band di Massimo Pirone

Massimo Pirone Massimo Pirone band

E’ possibile in due ore di spettacolo illustrare l’importanza che le big-band hanno avuto nella storia del jazz? Certo che no… ma almeno se ne può dare un’idea.

E’ quel che ha fatto l’orchestra di Massimo Pirone in un concerto svoltosi sabato 28 febbraio alla Casa del Jazz di Roma. In realtà il programma ha subìto una variazione sostanziale: nell’ambito del ciclo di incontri dedicato ad Artisti selezionati e presentati dalla Associazione Musicisti Italiani di Jazz (MIdJ), la band di Pirone avrebbe dovuto confrontarsi anche con un altro direttore, Claudio Pradò, il quale non ha, però, potuto partecipare al concerto perché influenzato.

E’ così venuto meno un elemento di potenziale interesse, ma la serata non ne ha sofferto più di tanto ché l’orchestra del trombonista Massimo Pirone, rinforzata dalla presenza di ospiti quali Torquato Sdrucia al sax alto e Stan Adams al trombone ha offerto due ore di sano jazz, ricco di swing, impreziosito da molti arrangiamenti originali e non privo di buoni momenti improvvisativi.

Sala piena e fuoco alle polveri con l’ellingtoniano “Creole love call”; l’orchestra appare subito in palla e la conferma viene subito dopo con l’omaggio a Fletcher Henderson: “Copenaghen” ci riporta indietro nel tempo, agli anni ’20-’30 quando il brano di Charles Davis e Walter Melrose era uno dei cavalli di battaglia di artisti quali Armstrong, Bix Beiderbecke… oltre al già citato Fletcher Henderson che si avvaleva del gustoso arrangiamento di Don Redman.

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Trio all stars con Rea, Tavolazzi e King

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Sempre intensa l’attività jazzistica nel Friuli grazie all’attività sia dell’Ente Regionale Teatrale del Friuli Venezia Giulia, sia dell’ l’Associazione Culturale Euritmica. Così dopo la presentazione del programma jazz di San Vito al Tagliamento, martedì 3 marzo al Teatro Palamostre di Udine concerto da non perdere. Di scena Danilo Rea, uno dei pianisti più celebrati in Italia e in Europa, musicista inconfondibile per il prezioso lirismo e per la straordinaria capacità di fondere in un unicum assolutamente originale le varie influenze che gli derivano dalla classica, dalla lirica, dal pop… e naturalmente dal jazz. A Udine Danilo suonerà con Ares Tavolazzi al contrabbasso e David King, funambolico batterista americano della cult band “The Bad Plus”.

E sarà sicuramente grande spettacolo in quanto all’indubbia statura artistica del leader si affiancano altre due personalità di grande rilievo. Ares Tavolazzi è stato per anni il contrabbassista degli AREA (con i quali ha inciso dieci LP collaborando sin dal 1973 insieme a Stratos, Tofani, Fariselli e Capiozzo); nei primi anni Ottanta si è dedicato all’improvvisazione jazz suonando con l’orchestra di Gil Evans e partecipando a tournée con Kenny Wheeler, Joe Negri, Zlatko Kaučič; nella sua carriera ha suonato al fianco – tra gli altri – di Enrico Rava, Stefano Bollani, Stefano Cantini, Bruno Cesselli.

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