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Il cinema non è solo arte figurativa. Secondo la lezione di Riccardo Wagner a proposito del melodramma, di cui il cinematografo costituisce il vero, legittimo erede, è un'arte sintetica, somma di attività estetiche, intellettuali e pratiche diverse. Il “dramma totale”, o “arte suprema” wagneriana altro non fu che la somma di vari fattori, tutti egualmente importanti ma parimenti insufficienti, incapaci di espressione e puri simboli se considerati separatamente.

Ciò che differenzia l'espressione cinematografica da altre forme di arte plastica è il rapporto con la musica. Il passaggio dal cinema muto a quello sonoro e parlato non fu puramente sommativo, ma ha permesso, come si diceva, di ricongiungere la fresca esperienza cinematografica al suo precedente storico-filologico: il melodramma, appunto.
Pensiamoci bene; già il termine colonna sonora dice tutto: il cinema si regge sulla musica non meno che sulla parola.

La musica contemporanea, che viaggia su propri binari, può vantare tra i suoi più meritevoli esponenti alcuni compositori di musica per film: negare ciò significherebbe situare la sua vicenda in una prospettiva storica inesatta.
La cosiddetta musica di commento, spesso, solo commento non è, ma costituisce un'esperienza estetica autonoma e soddisfacente che può vantare numerosi specialisti tra i quali, ovvio, occorre poi sceverare secondo la qualità e il valore.
Parlo di musica come forma del racconto cinematografico, snobbo qui quella modalità da videoclip che consiste nell'appioppare una canzone di successo ad una scena qualsiasi allo scopo di creare facile emozione o confezionare un trailer.

Molto spesso il lavoro di questi musicisti viene associato a quello di un regista con cui si sia creato un connubio che può dar vita talvolta ad autentiche monadi creative. Fu il caso di Rota-Fellini, più recentemente di Nyman-Greenaway, combinazioni in cui risulta impossibile svincolare il significato delle immagini dai suoni per esse creati, elementi che sembrano vivere in una consustanzialità perfetta.
Fellini, addirittura, dichiarava di non amare la musica, di non capirla, ad eccezione di quella di cui Rota rivestiva i suoi film: si autodefiniva però, dobbiamo ricordarlo, “il gran bugiardo”… Vi sono stati casi più problematici; il grande regista Emir Kusturica, che amo molto, raggiunse il successo collaborando con Goran Bregovic che creò per lui una particolare miscela di musiche köçek: dopo il loro divorzio artistico, i suoi film non raggiunsero più il medesimo successo. Forse un caso?

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Il compositore spagnolo Alberto Iglesias, nato a San Sebastián nel 1955, è sicuramente uno dei migliori autori di tra quelli oggi in attività.
Per lui il connubio più importante è tuttora con Pedro Almodóvar, geniale inventore di una sorta di nouvelle vague iberica grazie a melodrammi nei quali la lezione di Douglas Sirk è riproposta in salsa Romesco, con l'aggiunta di sesso, trasgressione e tanta, tantissima malinconica allegria.
Le partiture di Iglesias sono davvero magiche e meritano a pieno titolo di venire citate in una rubrica consacrata alla musica classica, risultando non meno interessanti di tanta musica contemporanea arida e generica.
I puristi che vorranno ascoltare questi dischi sono avvertiti: dovranno pagare un dazio, sacrificandosi all'ascolto di alcuni numeri pop o cantautoriali, peraltro gustosissimi: Almodóvar è un cultore delle belle canzoni e nei suoi film si odono molti cantanti, da Caetano Veloso a Miguel Bosè, da Mina a Chavela Vargas, Estrella Morente…
Ma la musica originale di Iglesias saprà far sì che i paladini filo-classici di più stretta osservanza possano coprire questo lutto.

Come la si potrebbe descrivere? Essa è prevalentemente orchestrale, con rari interventi di strumenti elettronici e/o sincretismi di altra natura. La voce che l'autore predilige è quella degli archi, non di rado il violino solo.
E' un'arte d'impronta neo-romantica e di incandescente forza drammatica, nella quale fanno la loro comparsa temi che sarebbero capaci di muovere anche i cuori di pietra.
Il gusto armonico è raffinato e non sembra trovarvi spazio alcun formalismo: se talvolta sembra fare capolino un certo manierismo, si tratta sempre di una maniera nobile, evocatrice di raffinate intensità.
Come sempre avviene in terra di , il rapporto con la musica popolare è molto forte; ma ogni volta vengono evitati i riferimenti più logori, da cartolina illustrata, come l'invadenza della chitarra o dei ritmi di flamenco: l'universo solare iberico viene purtuttavia evocato in modo personale e soltanto quando richiesto dalle esigenze di copione.

Nella produzione di Iglesias, naturalmente, non c'è solo Almodóvar. C'è musica concertistica e da camera e tante altre soundtrack rilevanti come quelle scritte per il bellissimo film di Tomas Alfredson “La Talpa” (2011, Silva Screen Records) tratto da Le Carrè, con Gary Oldman, o quelle concepite per il film-fiume “Che” (2008, Colosseum) diretto da Steven Soderbergh, con Benicio del Toro, una biografia di Che Guevara.

L'incontro con queste colonne sonore, che meritano un ascolto attento, vi darà enorme piacere e vi permetterà di stringere amicizia con un musicista vero, libero, che impone un commisurato rispetto.

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