Bozzolan: il lavoro ha trovato posto fuori Italia

Luigi Bozzolan Novarajazz5_(1) con Jonny ed Henrik Wartel- Emanule Meschini PH

Luigi Bozzolan è personaggio ben conosciuto dai lettori di “A proposito di jazz”. Diverse volte ne abbiamo parlato sottolineando come Bozzolan sia giustamente considerato elemento di primo piano dell’improvvisazione pianistica made in Italy. Grazie ad una solida preparazione di base, Luigi fa parte di quella non estesa cerchia di musicisti che concepisce il jazz come forma espressiva al di là di qualsivoglia regola, alla ricerca di un io profondo che si intende comunicare con la musica, e lo fa con una onestà intellettuale oggi non troppo comune. Ma ciò non sarebbe sufficiente a farne un artista di livello: in realtà Bozzolan coniuga questa sua dote morale con una straordinaria valenza pianistica supportata da lunghi anni di studio, di apprendistato e da una rara capacità di saper cogliere qualsivoglia stimolo per costruire assolo degni di essere seguiti con la massima attenzione. Di recente, quasi a suggello di una sua lunga esperienza in Svezia, ha svolto attività didattica in Lapponia e lo abbiamo quindi intervistato nella triplice veste di artista, “studente” e didatta in quel di Svezia.

-Tu sei uno dei pochissimi musicisti che, invece di andare negli States, ha deciso di trascorrere un periodo della sua vita in Scandinavia, per la precisione in Svezia. Perché hai fatto questa scelta?
“La mia avventura con la Svezia e’ iniziata nel 2010. Da una decina di anni ero già molto affascinato da alcuni “suoni” del Nord Europa, in modo particolare ho iniziato a pensare ad una diversa idea di trio e di jazz ascoltando l’ EST Trio nei fine anni ’90. Sin dall’ inizio è stata un’attrazione istintiva, di pancia, che poi negli anni a seguire ha trovato molte spiegazioni logiche e razionali. Per molto tempo, la Svezia, quei suoni, quel modo di fare musica è rimasto solo un desiderio, un sentore che lì stesse succedendo qualche cosa di più vicino alla mia identità musicale. Non pensavo di certo ad una partenza né tanto meno ad un trasferimento , ero ancora troppo immerso nelle mie cose a Roma. Nel 2010 ho capito che era il momento giusto per lasciare gli ormeggi romani e fare sul serio. Ero appena rientrato in Italia da una lunga tournée in Sud America con Eugenio Colombo, la più bella e sconvolgente esperienza musicale della mia vita. Dopo il tour misi a fuoco di cambiare profondamente il mio percorso umano ed artistico; a farmi fare il salto, poi, fu una chiacchierata illuminante con il mio amico pianista e compositore Cesare Saldicco…da lì a poco la mia destinazione è stata Gothenburg, dove ho conseguito un Diploma di Laurea di primo livello in Improvisation nel 2012…ma è stato solo l’inizio di un radicale cambiamento.
Dalla partenza del 2010, successivamente alla laurea sono andato e tornato diverse volte, valigie fatte e disfatte, traslochi, molte le valutazioni e le indecisioni, ma di base tutto il vissuto in terra svedese mi continuava a dare feedback positivi.
Il 2013 è stato in qualche modo l’anno del rientro in Italia. Ho iniziato a far domande tanto nei Conservatori Italiani quanto presso Scuole di Musica Scandinave ed Europee, forse da qualche parte qualcosa mi diceva che non era del tutto finita con la Svezia. Nell’ Ottobre 2014 è arrivata “la chiamata”, per ricoprire una posizione come docente di Pianoforte presso la Kulturskola di Gällivare, una piccola cittadina nella Lapponia Svedese. Sono ripartito”.

-Sei già in grado di tracciare un bilancio di questa tua esperienza?
“Oggi ho un contratto a tempo indeterminato come docente di strumento.
Se mi guardo indietro nel 2010 devo dire che da quando ho messo piede per la prima volta in Svezia, in cinque anni, ho fatto passi da gigante. Sono partito con la classica valigia con lo spago, niente in mano, solo istinto. Ci sono stati momenti non privi di difficoltà, periodi di indecisioni, ripensamenti, scelte capitali. Il processo di trasferimento (o vera e propria emigrazione nel mio caso) non è facile e rapido, bisogna essere motivati e pronti con una certa dose di competenze umane e professionali. Il viaggio continua, non amo fare i bilanci, hanno il sapore di qualche cosa che si è concluso; la strada è decisamente ancora aperta ad ogni possibilità, sempre. Posso dire di aver fatto bene a prendere quell’ aereo, forse fra vent’anni guardandomi indietro mi renderò conto davvero di cosa è successo!”.

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Tommy Flanagan nelle “Overseas sessions”

EP tommy Flanagan Overseas sessions 2

Lo confesso. È la passione per la musica, i dischi e il collezionismo a orientare i miei spostamenti e decidere delle mie vacanze. Così seguendo il flusso migratorio del vinile pregiato mi sono ritrovato nella Svezia centrale tra boschi e laghi, a metà strada tra Göteborg e Stoccolma, per la fiera più freak del mondo. Ogni anno a giugno, in occasione del solstizio, come per celebrare un rito pagano, venditori e collezionisti di tutto il mondo si radunano in riva a un lago, montano le tende e, approfittando delle ventiquattro ore di luce al giorno, comprano e vendono ininterrottamente LP, 45 giri e in generale qualsiasi cosa che possa riprodurre un suono. I prezzi vanno su e giù a seconda del tasso alcolico del momento e l’affare lo fa chi regge meglio il mix tra birra e vodka.
In questo contesto fuori dal mondo e dal tempo, mentre cercavo di accaparrarmi qualche raritá che arricchisse la mia collezione, improvvisamente mi sono accorto di Tommy Flanagan che mi sorrideva. Era un ragazzo giovane un po’ stempiato, in giacca e cravatta, con barba e baffi e l’occhio vispo di chi ha giá capito tutto della vita. Flanagan mi guardava dalla copertina di due dei tre rarissimi extended play (dischi 7″ a 45 giri multi traccia) editi dall’etichetta svedese Metronome. Nel terzo EP, che completa la serie, il pianista è invece immerso nei suoi pensieri, con un filo di fumo che sale dalla sigaretta tenuta elegantemente tra indice e medio della mano destra. Foto non posate ma rubate per strada da Bengt H. Malmquist, fotografo ufficiale della Metronome, il cui vero sogno era quello di diventare un chitarrista jazz. Il suo contributo alla storia della musica, invece, lo avrebbe dato attraverso l’obiettivo della macchina fotografica, tramandandoci i visi felici degli artisti americani di passaggio in Svezia, così come quelli dei grandi jazzisti svedesi, da Lars Gullin ad Arne Domnerus, da Bergt Hallberg a Rolf Eriksson.

Marco Giorgi
per www.red-ki.com

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