Massimo De Mattia: la musica è democrazia

Massimo De Mattia è uno dei principali esponenti della musica improvvisata o forse sarebbe meglio dire della composizione istantanea. Flautista autodidatta, di assoluto livello internazionale, ha al suo attivo una lunga carriera costellata da alcune produzioni discografiche mai banali. A Udine ha tenuto un applauditissimo concerto il 30 giugno e noi lo abbiamo intervistato il giorno dopo.

-Tu sei a ben ragione considerato uno dei massimi esponenti della cosiddetta “area creativa”; ma per te cosa significa improvvisare?
“A questo tipo di concezione sono arrivato per gradi sviluppando tutto il percorso che prevede la pratica dell’improvvisazione jazzistica. Quindi gli standards, la frequentazione delle pagine più rilevanti del be bop, hard bop etc… Sono approdato all’improvvisazione libera ben consapevole della mia vocazione, sento di esprimermi bene in questo ambito creativo. Io credo davvero nella musica organizzata istantaneamente, o meglio, nella composizione istantanea più che nella improvvisazione tout court, perché questo termine presenta spesso risvolti ambigui e in realtà prima ancora credo nella libertà”.

-Sì, ma il termine libertà abbraccia campi molto vasti; qual è quello che in particolare si riferisce alla tua musica?
“Si tratta di libertà sempre sorvegliata, mai arrendevole al caso … insomma una sorta di liberazione individuale e collettiva attraverso la musica ma sempre con molta attenta consapevolezza, coscienza e soprattutto con un atteggiamento etico”.

-Costruendo la musica secondo queste modalità, non c’è il pericolo che vengano fuori dei patterns, dei modelli che si sono introitati in precedenza?
“Sì, assolutamente; il rischio è molto forte … dipende dalla sincerità e onestà dell’approccio alla libertà … concetto che ovviamente non vale solo per la musica… sono convinto che questo modo di perseguire la libertà nella musica sia un punto di arrivo, al di là del percorso formativo di ognuno nell’arte, nella vita sociale, nella visione politica, del mondo, delle letture che hai fatto, del bagaglio culturale con cui ti sei attrezzato. Poi, tornando alla tua domanda, è inevitabile che i retaggi affiorino e ci confondano talvolta, e che di conseguenza si inneschino certi automatismi … la libertà ‘musicale’ ti espone a rischi grandi, a momenti di impasse spesso perfino drammatici, di stasi creativa; sono proprio questi i punti in cui rischi di ripeterti, di cadere nei luoghi comuni, di celebrarti, di tradire te stesso … insomma di essere poco onesto, poco etico”.

-Come evitare, allora, questo pericolo?
“Come dicevo si tratta di un percorso di vita, di crescita individuale per cui l’ideale è di aspirare ad un tipo di libertà nella musica che sia pura”.

-Come si concilia questo concetto di libertà con il fatto che, ad esempio, nel concerto di ieri sul palco c’erano i leggii con relativi spartiti?
“La libertà non è incompatibile con la disciplina, la scrittura, la struttura. Intendo struttura mentale, oppure schema compositivo atto a permetterti di agire all’interno di questo spazio amministrando il flusso del tuo discorso, proprio come si fa quando si parla. Quando noi colloquiamo sostanzialmente improvvisiamo ma occorre mantenere comunque un controllo sul senso, altrimenti diventiamo ostaggio del caso e del caos. Noi non vogliamo fare musica a caso, vogliamo fare musica secondo logica”.

-Questo significa che nel corso delle esecuzioni ci sono dei punti di incontro, degli appuntamenti prefissati? Insomma come intendi la struttura del brano?
“Non sempre premeditiamo degli appuntamenti. Ad esempio per il concerto di ieri sera a Udin&Jazz (“The Erotic Variations” con Luca Grizzo e Alessandro Turchet) avevamo prestabilito alcuni punti di incontro o di fuga e quindi un minimo di stesura, meglio, una drammaturgia, però semplicemente come pretesto, occasione, giusto proprio per orientare la bussola di tanto in tanto. Un concerto comporta una liturgia. Più spesso scelgo la libertà assoluta e non prevedo parti scritte; cerco di lavorare su strutture temporali oppure evidenziando e condividendo intenzioni, quindi: la dinamica, il pieno e il vuoto, la prospettiva, la rinuncia, l’omissione, la sottrazione … e questi sono i criteri che abitualmente mi guidano per garantire forme adeguate ai contenuti”

-La musica ascoltata ieri era molto materica; è un tipo di musica che frequenti abitualmente o l’esperienza è limitata a questo particolare trio?
“La mia musica è sostanzialmente densa e materica: il mio approccio allo strumento, in virtù di una formazione da autodidatta, non è certamente di tipo accademico. Sto cercando ancora di costruire un mio particolare e personale linguaggio; lavoro molto su multifonici, armonici, uso del corpo, della voce, utilizzo in forma percussiva mani, dita… diteggiature anomale che ho elaborato, un fraseggio spesso rotto, spaccato… a tutto questo si innesta il suono dei musicisti con cui collaboro… le persone non si incontrano a caso… si cercano, specialmente se parliamo di questa musica. Il mio modo d’essere quindi è anche il risultato della crescita che mi ha garantito la lunga frequentazione di persone forti, ad esempio Giovanni Maier (contrabbassista n.d.r.), Daniele D’Agaro ( sassofonista e clarinettista n.d.r.) Claudio Cojaniz (pianista n.d.r.), Zlatko Kaucic, Bruno Cesselli. ”.

-Queste concezioni di musica libera, improvvisata che analogie o viceversa che differenze presentano rispetto al movimento “free”?
“Il movimento free è stato un lungo momento culturale, storico, artistico di fondamentale e assoluta importanza. E’ stato un movimento di liberazione intellettuale e sociale di estrema rilevanza, dal mio punto di vista, emblematico e rivoluzionario. Ha suggerito l’idea e la promessa possibile, non più come utopia, di nuclei sociali paradigmatici di un mondo ideale. Detto questo, il free è un lungo periodo artistico oramai storicizzato: non si deve più parlare di free jazz perché oggi la musica è UNA, una sola; quindi forse bisognerebbe parlare della nostra come di una musica ad alto tasso di libertà rispetto ad altre piuttosto che di Free; tutto ciò ora prescinde dagli stili, dai generi: ci può essere libertà nel rock, nella musica “colta”, in quella popolare… è un argomento molto ampio e secondo me oggi, come una cinquantina d’anni fa, offre risvolti illuminanti dato il momento storico e di pensiero che stiamo vivendo. L’approcciarsi a questa nostra musica presuppone un feroce desiderio di democrazia, consapevoli che il nostro arbitrio farà inevitabilmente i conti con l’arbitrio altrui e che il nostro spazio dovrà essere condiviso. Questo secondo me è progressismo vero, sincero ed è molto bello da con-vivere”.

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IL LEGGENDARIO BASSISTA STANLEY CLARKE ALLA NAVE DE VERO VENERDÌ 24 LUGLIO

Stanley Clarke, una delle più celebri icone mondiali della musica, sarà il protagonista del quarto appuntamento con “Nave de Vero in Jazz 2015”, venerdì 24 luglio alle 21.30; il leggendario bassista incanterà il pubblico della Piazza de Vero, che si trasformerà ancora una volta nel più grande Jazz Club del Veneto.

Stanley Clarke considera il suo ultimo album “UP” il più energico, ritmico e divertente dei quaranta realizzati in carriera.

Come nel suo precedente lavoro discografico “Stanley Clarke Band”, premiato con il Grammy nella categoria “Best Contemporary Jazz Album 2011”, in “UP” hanno suonato due ex compagni di band, co-vincitori con Stanley di quel Grammy; il pianista-tastierista Ruslan Sirita e il batterista Ronald Bruner Jr che è stato in tour con Stanley per ben sette anni.

Oltre a questi amici Stanley ha invitato a suonare in UP i chitarristi Joe Walsh, Jimmy Herring ed Paul Jackson Jr; i batteristi Stewart Copeland, Gerry Brown e John Robinson; il tastierista Greg Phillinganes e Phil Davis alle tastiere e al sintetizzatore; Chick Corea al pianoforte acustico; i sassofonisti Kamasi Washington, Doug Webb e Dan Higgins; i vocalists Jessica Vautor, Natasha Agrama e Patrice Quinn; Gary Grant alla tromba e Andy Martin al trombone e ai fiati; il percussionista Lenny Castro; Nick Mancini alla marimba e l’Harlem String Quartet con ai violini Ilmar Gavilán e Melissa White, Jaime Amador alla viola e il violoncellista Matthew Zalkind. (altro…)