Addio, John

Articolo di Luigi Onori
Foto di Daniela Crevena

A volte le parole suonano vuote ed inutili, poca e fragile cosa per ricordare la pienezza e la bellezza della vita, in questo caso, del pianista inglese John Taylor. Amato, conosciuto ed apprezzato in Europa (profonda la sua unione con Norma Winstone e con Kenny Wheeler, altro grandissimo artista che ci ha lasciato) ed in Italia (tra gli altri ha collaborato intensamente con Paolo Fresu, Maria Pia De Vito e Diana Torto) Taylor è passato dalla musica alla morte nel giro di poche, drammatiche ore.

Il 17 luglio scorso stava suonando al Jazz Festival di Segré (Francia, Pays de la Loire) quando si è sentito male. Trasportato all’ospedale di Angers, non è stato possibile salvare il settantaduenne pianista inglese che  è spirato in breve tempo. Tra i tanti appuntamenti della sua estate concertistica 2015 c’era quello di Barga Jazz (28° concorso internazionale di Arrangiamento e Composizione per Orchestra Jazz, in Garfagnana) dove sarebbe stato celebrato nella sua veste, peraltro notevolissima, di compositore. Fin qui le notizie, alcune; poi – prima di tutto – c’è il dispiacere per la scomparsa di un musicista che chi scrive ha avuto la fortuna di sentire in tante occasioni: esse restano, in modo vivido,  impresse nella memoria sonora ed esistenziale. Ricordo, in particolare, un concerto in trio con Paolo Fresu e Furio Di Castri giocato sul filo rischioso ed avventuroso dell’interplay (ad Aosta); un bel recital su un progetto di Maria Pia De Vito (“Phoné”, Along Came Jazz Festival di Tivoli) in cui la vocalist e John  Taylor erano i trascinanti “motori”: lei con l’estroversa energia del suo canto, lui con sotterranea, solidissima opera di accompagnamento. Ancora un piano solo (probabilmente romano) di lucida nettezza, in cui l’artista inglese metteva in luce una ferrea, quasi implacabile razionalità costruttiva che, però, si abbandonava al trasporto dell’emozione e dei sentimenti. Ciò era evidente nel suo stile pianistico: asciutto, quasi tristaniano ma pronto a prendere un (controllato) volo sui sentieri dell’emozione ed a farsi eufonico e cantabile. Ed è emozionante ascoltare, come prima traccia mentre sto scrivendo, una sua bella composizione dal titolo “Consolation” (incisa dall rodato trio con il contrabbassista Palle Danielsson ed il batterista Martin France, dall’album “Whirlpool”, CamJazz 2007).

Taylor era nato a Manchester nel 1942 e a ventisette anni (1969) collaborava con i sassofonisti Alan Skidmore e John Surman. Alla fine degli anni ’70 iniziò a comporre per il suo sestetto e non gli mancavano impegni:  accompagnava la cantante Cleo Laine e lavorava con molti jazzisti internazionali scritturati nel noto club londinese Ronnie Scott ed il pianista era membro del quintetto di Scott. Un anno davvero importante nella sua carriera fu il 1977, quando fondò il trio Azimuth con la cantante Norma Winstone ed il trombettista-flicornista Kenny Wheeler: l’innovativa formazione “da camera” ebbe un notevole successo, documentato dalle registrazioni Ecm e da svariati tour in Europa, Usa e Canada. Negli anni ’80 l’intensa attività di Taylor lo vide sidemen in formazioni guidate da Gil Evans, Lee Konitz, Charlie Mariano, Enrico Rava e Jan Garbarek, in duo con il percussionista Tony Coe ed il sassofonista Steve Arguelles (uno dei suoi partner musicali più consolidati); numerose anche le commissioni compositive, dal coro inglese Cantamus alla Hannover Radio Orchestra.

Membro stabile di tutti gli ensemble di Kenny Wheeler (dal quartetto alla big-band), John Taylor ebbe modo di rinnovare la sua collaborazione con John Surman e, durante gli anni ’90, di far parte del prestigioso trio del batterista Peter Erskine (con il contrabbassista Palle Danielsson). <<La fortunata idea di collaborare con John Taylor e Palle Danielsson – ha scritto Erskine nella sua autobiografia “No Beethoven”, Arcana 2015 – ebbe come risultato quattro dischi caratterizzati dal grande affiatamento che crearono una vera e propria nicchia nel mondo della musica su disco. Non assomigliano a nessun altro disco che abbia mai ascoltato o realizzato (…) John Taylor è un ottimo musicista e un compositore prolifico>> (p.162)

Nell’ultimo quindicennio dell’intensa carriera del pianista e compositore si possono ricordare alcuni episodi salienti. Nel 2000 rinnovò la collaborazione con il trio Azimuth ed incise l’album “Verso” con Maria Pia De Vito ed il chitarrista Ralph Towner (Provocateur). Celebrò il suo sessantesimo compleanno nel 2002 con un Contemporary Music Network Tour che vide il nuovo trio con Marc Johnson e Joey Baron e La Creative Jazz Orchestra che eseguiva la composizione originale “The Green Man Suite” (premiata quale “Best New Work” dai BBC Jazz Award).  Dal 2004 registrò molti album (svariati per la CamJazz di Ermanno Basso) con Kenny Wheeler, Charlie Haden,  in trio con Danielsson/France. Come didatta John Taylor era stato docente di piano jazz al Cologne College of Music dal 1993 e nel 2005 era diventato “lecturer in jazz” alla York University.

Davvero imponente la sua discografia che conta incisioni in solo, in trio (Chris Lawrence / Tony Levin; Arguelles / Mick Hutton; Johnson / Baron…), Azimuth, in sestetto, in orchestra. Le collaborazioni discografiche lo hanno visto impegnato con Arild Anderson, Arguelles, Harry Beckett, Ian Carr, Graham Collier, Martin Drew, Peter Erskine, Gil Evans, Jan Garbarek, Mike Gibbs, Charlie Haden, Don “Sugarcane” Harris, Lee Konitz, Vince Mendoza, Enrico Rava, Ronnie Scott, Alan Skidmore, Stan Sulzmann, John Surman, Steve Swallow, David Sylvian, Colin Towns, Kenny Wheeler, Miroslav Vitous, Maria Pia De Vito, Diana Torto, Eric Vloiemans, Attilio Zanchi.

Mi limito a segnalare, per i nostri lettori, alcuni tra gli album degli ultimi anni.

Diana Torto / John Taylor / Anders Jormins, “Triangoli”(Astarte, 2008). Basato su una felice interazione tra i tre strumentisti e, soprattutto, tra musica e poesia, l’album vede una caratterizzante presenza di John Taylor. Scrive nelle note di copertina Claus Christian Schuster: <<Taylor, all’inizio di “Feel Day” crea un ambiente in cui – mirabile dictu – si comincia a operare fra Debussy e Webern una simbiosi non solo possibile ma inevitabile. E in ogni singola battuta delle sue composizioni il pianista inglese riesce a guardare in maniera creativa e personale all’eredità musicale degli ultimi secoli>>. Una autentica magia tra voce, piano e contrabbasso.

John Taylor, “Songs and Variations” (CamJazz, 2005); “Phases” (CamJazz, 2009). Due album per sondare ed apprezzare le capacità compositive e tecnico-strumentali-espressive di Taylor, in entrambi solo con il suo pianoforte. Il primo album è stato registrato nell’Artesuono Recording Studio di Cavalicco (Udine) da Stefano Amerio; il secondo ai Bauer Studios di Ludwigsburg da Johannes Wohlleben. Taylor è spettacolare sotto il profilo melodico, timbrico, ritmico ed armonico. <<Amo ogni cosa che fa… fantastico!>> aveva scritto nelle note di copertina del 2005 Kenny Wheeler, e dell’amico trombettista-flicornista è l’unica composizione tra le complessive ventitre firmata non dal pianista, l’ammaliante “Fedora”.

John Taylor, “Requiem for a Dreamer” (CamJazz, 2011). E’ una suite in sette parti (46 minuti circa) commissionata nel 2007 e presentata nel 2008 in un tour inglese con Julian Arguelles, Palle Danielsson e Martin France. La musica è dedicata ed ispirata al narratore americano Kurt Vonnegut ed al suo <<fictional ater ego, science fiction writer, Kilgore Trout>>. Fantascienza sonora.

Massimo De Mattia: la musica è democrazia

Massimo De Mattia è uno dei principali esponenti della musica improvvisata o forse sarebbe meglio dire della composizione istantanea. Flautista autodidatta, di assoluto livello internazionale, ha al suo attivo una lunga carriera costellata da alcune produzioni discografiche mai banali. A Udine ha tenuto un applauditissimo concerto il 30 giugno e noi lo abbiamo intervistato il giorno dopo.

-Tu sei a ben ragione considerato uno dei massimi esponenti della cosiddetta “area creativa”; ma per te cosa significa improvvisare?
“A questo tipo di concezione sono arrivato per gradi sviluppando tutto il percorso che prevede la pratica dell’improvvisazione jazzistica. Quindi gli standards, la frequentazione delle pagine più rilevanti del be bop, hard bop etc… Sono approdato all’improvvisazione libera ben consapevole della mia vocazione, sento di esprimermi bene in questo ambito creativo. Io credo davvero nella musica organizzata istantaneamente, o meglio, nella composizione istantanea più che nella improvvisazione tout court, perché questo termine presenta spesso risvolti ambigui e in realtà prima ancora credo nella libertà”.

-Sì, ma il termine libertà abbraccia campi molto vasti; qual è quello che in particolare si riferisce alla tua musica?
“Si tratta di libertà sempre sorvegliata, mai arrendevole al caso … insomma una sorta di liberazione individuale e collettiva attraverso la musica ma sempre con molta attenta consapevolezza, coscienza e soprattutto con un atteggiamento etico”.

-Costruendo la musica secondo queste modalità, non c’è il pericolo che vengano fuori dei patterns, dei modelli che si sono introitati in precedenza?
“Sì, assolutamente; il rischio è molto forte … dipende dalla sincerità e onestà dell’approccio alla libertà … concetto che ovviamente non vale solo per la musica… sono convinto che questo modo di perseguire la libertà nella musica sia un punto di arrivo, al di là del percorso formativo di ognuno nell’arte, nella vita sociale, nella visione politica, del mondo, delle letture che hai fatto, del bagaglio culturale con cui ti sei attrezzato. Poi, tornando alla tua domanda, è inevitabile che i retaggi affiorino e ci confondano talvolta, e che di conseguenza si inneschino certi automatismi … la libertà ‘musicale’ ti espone a rischi grandi, a momenti di impasse spesso perfino drammatici, di stasi creativa; sono proprio questi i punti in cui rischi di ripeterti, di cadere nei luoghi comuni, di celebrarti, di tradire te stesso … insomma di essere poco onesto, poco etico”.

-Come evitare, allora, questo pericolo?
“Come dicevo si tratta di un percorso di vita, di crescita individuale per cui l’ideale è di aspirare ad un tipo di libertà nella musica che sia pura”.

-Come si concilia questo concetto di libertà con il fatto che, ad esempio, nel concerto di ieri sul palco c’erano i leggii con relativi spartiti?
“La libertà non è incompatibile con la disciplina, la scrittura, la struttura. Intendo struttura mentale, oppure schema compositivo atto a permetterti di agire all’interno di questo spazio amministrando il flusso del tuo discorso, proprio come si fa quando si parla. Quando noi colloquiamo sostanzialmente improvvisiamo ma occorre mantenere comunque un controllo sul senso, altrimenti diventiamo ostaggio del caso e del caos. Noi non vogliamo fare musica a caso, vogliamo fare musica secondo logica”.

-Questo significa che nel corso delle esecuzioni ci sono dei punti di incontro, degli appuntamenti prefissati? Insomma come intendi la struttura del brano?
“Non sempre premeditiamo degli appuntamenti. Ad esempio per il concerto di ieri sera a Udin&Jazz (“The Erotic Variations” con Luca Grizzo e Alessandro Turchet) avevamo prestabilito alcuni punti di incontro o di fuga e quindi un minimo di stesura, meglio, una drammaturgia, però semplicemente come pretesto, occasione, giusto proprio per orientare la bussola di tanto in tanto. Un concerto comporta una liturgia. Più spesso scelgo la libertà assoluta e non prevedo parti scritte; cerco di lavorare su strutture temporali oppure evidenziando e condividendo intenzioni, quindi: la dinamica, il pieno e il vuoto, la prospettiva, la rinuncia, l’omissione, la sottrazione … e questi sono i criteri che abitualmente mi guidano per garantire forme adeguate ai contenuti”

-La musica ascoltata ieri era molto materica; è un tipo di musica che frequenti abitualmente o l’esperienza è limitata a questo particolare trio?
“La mia musica è sostanzialmente densa e materica: il mio approccio allo strumento, in virtù di una formazione da autodidatta, non è certamente di tipo accademico. Sto cercando ancora di costruire un mio particolare e personale linguaggio; lavoro molto su multifonici, armonici, uso del corpo, della voce, utilizzo in forma percussiva mani, dita… diteggiature anomale che ho elaborato, un fraseggio spesso rotto, spaccato… a tutto questo si innesta il suono dei musicisti con cui collaboro… le persone non si incontrano a caso… si cercano, specialmente se parliamo di questa musica. Il mio modo d’essere quindi è anche il risultato della crescita che mi ha garantito la lunga frequentazione di persone forti, ad esempio Giovanni Maier (contrabbassista n.d.r.), Daniele D’Agaro ( sassofonista e clarinettista n.d.r.) Claudio Cojaniz (pianista n.d.r.), Zlatko Kaucic, Bruno Cesselli. ”.

-Queste concezioni di musica libera, improvvisata che analogie o viceversa che differenze presentano rispetto al movimento “free”?
“Il movimento free è stato un lungo momento culturale, storico, artistico di fondamentale e assoluta importanza. E’ stato un movimento di liberazione intellettuale e sociale di estrema rilevanza, dal mio punto di vista, emblematico e rivoluzionario. Ha suggerito l’idea e la promessa possibile, non più come utopia, di nuclei sociali paradigmatici di un mondo ideale. Detto questo, il free è un lungo periodo artistico oramai storicizzato: non si deve più parlare di free jazz perché oggi la musica è UNA, una sola; quindi forse bisognerebbe parlare della nostra come di una musica ad alto tasso di libertà rispetto ad altre piuttosto che di Free; tutto ciò ora prescinde dagli stili, dai generi: ci può essere libertà nel rock, nella musica “colta”, in quella popolare… è un argomento molto ampio e secondo me oggi, come una cinquantina d’anni fa, offre risvolti illuminanti dato il momento storico e di pensiero che stiamo vivendo. L’approcciarsi a questa nostra musica presuppone un feroce desiderio di democrazia, consapevoli che il nostro arbitrio farà inevitabilmente i conti con l’arbitrio altrui e che il nostro spazio dovrà essere condiviso. Questo secondo me è progressismo vero, sincero ed è molto bello da con-vivere”.

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IL LEGGENDARIO BASSISTA STANLEY CLARKE ALLA NAVE DE VERO VENERDÌ 24 LUGLIO

Stanley Clarke, una delle più celebri icone mondiali della musica, sarà il protagonista del quarto appuntamento con “Nave de Vero in Jazz 2015”, venerdì 24 luglio alle 21.30; il leggendario bassista incanterà il pubblico della Piazza de Vero, che si trasformerà ancora una volta nel più grande Jazz Club del Veneto.

Stanley Clarke considera il suo ultimo album “UP” il più energico, ritmico e divertente dei quaranta realizzati in carriera.

Come nel suo precedente lavoro discografico “Stanley Clarke Band”, premiato con il Grammy nella categoria “Best Contemporary Jazz Album 2011”, in “UP” hanno suonato due ex compagni di band, co-vincitori con Stanley di quel Grammy; il pianista-tastierista Ruslan Sirita e il batterista Ronald Bruner Jr che è stato in tour con Stanley per ben sette anni.

Oltre a questi amici Stanley ha invitato a suonare in UP i chitarristi Joe Walsh, Jimmy Herring ed Paul Jackson Jr; i batteristi Stewart Copeland, Gerry Brown e John Robinson; il tastierista Greg Phillinganes e Phil Davis alle tastiere e al sintetizzatore; Chick Corea al pianoforte acustico; i sassofonisti Kamasi Washington, Doug Webb e Dan Higgins; i vocalists Jessica Vautor, Natasha Agrama e Patrice Quinn; Gary Grant alla tromba e Andy Martin al trombone e ai fiati; il percussionista Lenny Castro; Nick Mancini alla marimba e l’Harlem String Quartet con ai violini Ilmar Gavilán e Melissa White, Jaime Amador alla viola e il violoncellista Matthew Zalkind. (altro…)

Anteprima Jazzflirt Festival


Scauri, Mary Rock, Spiaggia dei sassolini, 17 luglio 2015, ore 22

Paolo Angeli in solo

Paolo Angeli, chitarra sarda preparata

( Foto Cristina Zuppa)

E’ un grande piacere sottolineare che anche quest’ anno il JazzFlirt Festival riesce ad esistere, di certo per la caparbietà, la passione di Gerardo Albanese e della Associazione “Musica ed altri amori”, che affrontano ogni volta difficoltà e traversie, ma sono riusciti ad arrivare alla undicesima edizione. Ed è una fortuna che questo avvenga perché durante questo festival siete certi di ascoltare sia nomi di strepitosi musicisti già noti, che altri che non si vedono spesso nel “giro” delle kermesse jazzistiche. Il che è un merito, in un periodo in cui la priorità è “fare cassetta” con nomi di sicuro e redditizio impatto.

Il JazzFlirt vero e proprio andrà in scena a settembre, ma venerdì 17luglio c’è stata una suggestiva anteprima, con Paolo Angeli. Musicista – poeta, con la sua chitarra preparata ha suonato in solo per un’ ora e mezzo. Non proprio solo: accompagnato dalla risacca del mare alle sue spalle, nella scenografica Spiaggia dei Sassolini di Scauri. 

Una chitarra preparata è una chitarra congegnata per rispondere alle necessità espressive di un artista in continuo divenire. Angeli spiega lui stesso di aver provato l’ impellenza di avere uno strumento che comprendesse l’ amore per il violoncello e per la chitarra, ma anche la possibilità di poter tenere un bordone che ricordasse la propria terra, ma anche la possibilità di poter ottenere suoni , battiti, rumori. L’ esigenza dunque di creare da solo una musica che comprenda però il suono di più strumenti, di più voci, per poter raccontare storie, sensazioni, viaggi che solo con questo strumento possono essere raccontati. (altro…)

ASSEGNATI GLI ORPHEUS AWARD 2015

frank-marocco

L’Orpheus Award è l’unico premio della critica al mondo dedicato alle produzioni fisarmonicistiche (e di tutta la famiglia delle ance) italiane, riconoscimento che ogni anno fotografa la situazione italiana garantendo anche un proficuo scambio artistico
fra tutti gli operatori del settore.
Anche quest’anno abbiamo avuto il piacere e l’onore di guidare la giuria come direttore artistico, affiancato, in tale veste da una nutrita presenza di giurati di prestigio che hanno garantito, come sempre, risultati apprezzabili . E ci pare il caso di nominarli uno per uno questi giurati: Fabio Ciminiera (www.jazzconvention.net), Flavio Caprera (Jazzit), Strumenti e Musica (Strumenti e Musica), Paolo Picchio (Fisarmoniae), Livio Bollani (La Libertà), Kimmo Mattila (Hanuri magazine), Amedeo Furfaro (Musica News, Corriere del Sud), Alessandro Pierotti (Taccuino Italiano), Vittorio Pio (Suono), Guido Michelone (Italia, Il Manifesto, Alias) (altro…)

I NOSTRI CD. Tornano i classici Xanadu

I NOSTRI CD

Tornano disponibili le perle Xanadu Records. Gli appassionati di jaz ricorderanno certamente questa gloriosa etichetta attiva tra gli anni settanta ed ottanta, fondata da Don Schlitten già produttore di molti album per la Impulse e numerose altre etichette. Il nome Xanadu è lo stesso che Orson Welles aveva dato al castello di Citizen Kane (Quarto Potere), in cui egli ospitava i suoi tesori d’arte. Welles a sua volta aveva preso il nome dalla fastosa città fatta edificare dal Kublai Khan dopo essere diventato imperatore della Cina. Il nome Xanadu significa quindi bellezza artistica ed è per questo che Schlitten l’aveva scelto per la sua etichetta, che egli stesso considerava il suo capolavoro.
La collana Xanadu Master Edition ripropone, quindi, le straordinarie registrazioni del catalogo Xanadu Records, tra cui diversi titoli ormai introvabili o presentati per la prima volta su CD. La realizzazione di questa collana ha comportato uno straordinario lavoro per ripristinare la maggior quantità di materiale possibile dalle registrazioni originarie , alcune delle quali purtroppo sono andate distrutte dall’uragano Sandy quando ha colpito la costa orientale degli Stati Uniti nel 2012. L’obiettivo della serie Xanadu Master Edition è, quindi, far riscoprire agli appassionati di jazz di tutto il mondo delle straordinarie registrazioni che rischiavano di andare perdute.
In questa sede vi proponiamo tre eccellenti titoli.

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