Scott Hamilton inaugura il primo dei nuFLAVA International Jazz Workshop, aperte le iscrizioni

È una stella internazionale del jazz come Scott Hamilton ad inaugurare il primo di una serie di appuntamenti didattici firmati nuFLAVA International Workshop.
Il seminario, realizzato grazie al sostegno di Regione Emilia-Romagna e ARCI Bologna, si svolgerà nei pomeriggi di martedì 29 e mercoledì 30 settembre (dalle 14.30 alle 18.30) presso il foyer del Teatro Auditorium Manzoni di Bologna.
Scott Hamilton (Providence, 1954) si avvicina alla musica jazz, nonché a diversi strumenti come il pianoforte e le percussioni, sin da piccolissimo grazie al padre. Ma è all’età di sedici anni che sceglie di passare seriamente al sassofono. Fatidico è il suo trasferimento nella Grande Mela dove, poco più che ventenne, si tuffa letteralmente nella scena musicale dell’epoca mettendo a segno prestigiose collaborazioni, fino ad entrare a far parte dell’orchestra di Benny Goodman. Da citare, tra i tanti, il sodalizio con Gerry Mulligan e Tony Bennet.
Artista dal fraseggio fluido ed accurato, Hamilton salvaguarda il linguaggio classico del jazz nello stile di Ben Webster, Coleman Hawkins, Zoot Sims e Don Byas fondendo ad esso la propria spiccata cifra personale.

L’Associazione Culturale nuFLAVA è attiva su territorio regionale dal 2007 con la finalità di promuovere e divulgare il ricchissimo patrimonio musicale afroamericano, attraverso l’organizzazione di prestigiose rassegne, incontri e seminari. Da menzionare, tra i tanti, i workshop guidati da artisti del calibro di Vincent Herring, Harold Mabern e Cyrus Chestnut. Per informazioni ed iscrizioni: 339 6836646 ; e-mail jazznuflava@gmail.com (altro…)

Mauro “uno dei nostri”!

Mauro Vestri Mauro Vestri 1

Negli ultimi mesi mi è capitato spesso, troppo spesso, di scrivere articoli in ricordo di chi ci ha lasciati e, credetemi, è impresa sempre penosa e difficile. Ma quando ad andarsene è qualcuno che conoscevi piuttosto bene, con cui avevi condiviso momenti di allegria, di gioia, di sana passione per la musica, allora tutto diventa più difficile: il cuore ti si stringe, la commozione è in agguato ed articolare pensieri che abbiano un senso compiuto diventa sempre più difficile.
Ho appreso della morte di Mauro Vestri da un telegiornale e la notizia è giunta del tutto inattesa; certo Mauro non era giovanissimo ma nulla faceva presagire una sua scomparsa. Lo conoscevo da tanti, tanti anni… definirlo amico è un po’ troppo ché l’amicizia è un sentimento completato da tanti elementi che nel nostro rapporto non c’erano. Ma Vestri era un grande appassionato di jazz e nel micro-cosmo del jazz romano era considerato “uno dei nostri”. Era facile incontrarlo in qualche concerto ed era sempre pronto alla risata, alla battuta… per non parlare delle tante volte in cui non si limitava ad ascoltarlo, il jazz, ma saliva sul palco per coordinare le serate e presentare i vari musicisti.

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Peter Ind. Bass Guru

Peter Ind

Ricordo come fosse ieri che la prima volta che misi sul piatto il primo album di Lennie Tristano rimasi strabiliato da ‘Line Up’ per il tempo incredibilmente veloce dell’introduzione di contrabbasso. Quello che mi stupiva, prima ancora delle sovraincisioni che avevano fatto passare alla storia il brano, era l’incredibile pulizia del suono, la precisione con cui le note venivano pronunciate nonostante la velocità quasi disumana del tempo. Leggendo le note di copertina scoprii che al contrabbasso c’era un certo Peter Ind, il cui nome non mi diceva assolutamente niente. Appresi in seguito che si trattava di uno degli allievi di Tristano. Per qualche anno questa notizia bastò ad appagare la mia curiosità. Ogni volta che però ascoltavo disco del pianista italo americano mi imbattevo quasi inevitabilmente in Ind il cui approccio allo strumento era, alle mie orecchie, di una originalità non comune.

Anni più tardi mi capitò di acquistare un disco di Ind intitolato “Improvisation”, in cui il contrabbassista suonava in perfetta solitudine, sviluppando le sue improvvisazioni su una base di basso incisa in precedenza. L’album era meraviglioso e mi indusse a fare delle ricerche su quel musicista e a mettermi a caccia di altre sue incisioni.
Inevitabilmente, come spesso accade nel jazz, quando si comincia a scavare sotto la superficie, si scoprono mondi sconosciuti e ci si imbatte in quei cosiddetti “personaggi minori” che di minore, rispetto ai “grandi”, hanno solamente la notorietà. Peter Ind appartiene a questa categoria e deve la sua collocazione “eccentrica” nella storia del jazz, a precise scelte artistiche che gli hanno impedito di scendere a compromessi. Ind ha scelto di privilegiare la musica e l’improvvisazione e per questo si è avventurato sulla strada impervia dell’arte a tutti i costi.

Proprio per questo, la sua vita, i suoi incontri musicali, la sua intera vicenda artistica ci sembrano di particolare interesse e degni di essere raccontati.

Peter Indr pimo piano

Gli inizi
Peter Ind è nato in Inghilterra, a Uxbridge, il 20 luglio 1928. Sin dall’infanzia apprese i rudimenti del pianoforte e del violino. All’età di quattordici anni lasciò la scuola per lavorare in un ufficio, ma ben presto si rese conto che suonare con una dance band gli permetteva di guadagnare in una sola sera la paga di una settimana. La famiglia lo incoraggiò e così la musica divenne la sua vita. Cominciò a lavorare assiduamente con formazioni che, in tempo di guerra, dovevano tenere alto il morale della popolazione provata dai continui bombardamenti nazisti. L’incontro con il jazz americano avvenne tramite la BBC che nella sua programmazione dava rilievo all’orchestra di Glenn Miller. La musica del maggiore dell’USAAF fu una vera rivelazione che svelò al giovane Ind la differenza tra il jazz delle orchestre da ballo inglesi e il jazz americano. Anche se il linguaggio della musica afro americana non gli era familiare, Ind aveva imparato ad improvvisare grazie alla gavetta fatta proprio nelle formazioni di cui era stato pianista. Tuttavia il giovane artista sentiva il bisogno di razionalizzare il suo approccio alla musica e così cominciò a frequentare il Trinity College of Music di Londra. Fu questa l’occasione di affiancare al pianoforte il contrabbasso, dato che i corsi prevedevamo l’apprendimento anche di un secondo strumento. Così nel 1944 Ind comprò il suo primo contrabbasso e cominciò a esibirsi in concerto come bassista. Attorno al 1947 Ind divenne un professionista a tutti gli effetti, lavorando stabilmente in un “Palais de Dance” di Londra.

Ind E Duke Jordan

L’incontro con Tristano
Nel 1949 Ind mise per la prima volta piede negli Stati Uniti, arrivando a New York con la Queen Mary, nave per la quale lavorava come musicista di bordo per una paga da fame. Per diciotto mesi fece la spola tra i due lati dell’Oceano e ne approfittò per entrare in contatto con l’ambiente jazz della Grande Mela. Conobbe Lennie Tristano e prese lezioni nella sua casa di Flushing, Long Island. Il pianista italo americano, che aveva perso la vista da bambino, suonava con una cerchia ristretta di musicisti tra cui il bassista Arnold Fishkin. Una sera, del 1950, Tristano chiese a Ind di esibirsi con lui al Birdland dato che il bassista titolare era indisponibile. Ind non possedeva la tessera del sindacato artisti e pertanto non aveva il diritto di suonare nei locali di New York. Ciò nonostante accettò e rischiò una multa salata pur si suonare con l’artista più straordinario del momento. La serata andò bene e Ind cominciò ad accarezzare l’idea di lasciare la Gran Bretagna e di stabilirsi negli Stati Uniti.

Nel 1951 Ind ottenne il visto di immigrazione e si stabilì a New York. Ai tempi Ind ricorda come non fosse particolarmente difficile ottenere il visto a patto, naturalmente, che non si fosse comunisti. Fu il sassofonista Warne Marsh a dargli inizialmente una mano e a trovargli un posto dove vivere. Ind ricorda il periodo a cavallo tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta come il momento più democratico della storia del jazz. I musicisti neri cominciavano ad essere apprezzati per come meritavano e anche i bianchi erano bene accetti, a condizione che sapessero suonare. Lee Konitz, Warne Marsh, Gerry Mulligan, Red Mitchell, Billy Bauer, Sheila Jordan, Sal Mosca, Stan Getz e il sottovalutato trombonista Willie Dennis appartenevano a questa categoria. Tutti frequentavano la casa di Tristano e dal pianista apprendevano concetti musicali innovativi che andavano nella direzione di una musica globale. Da Tristano si suonava il mercoledì e il sabato. Le session andavano avanti per tutta la notte. Il linguaggio musicale del pianista italo americano andava ben oltre il be bop e rappresentava un duro scoglio da superare per ogni batterista. Il pianista chiedeva che la pulsazione musicale non venisse mai interrotta a qualsiasi costo. Ma erano ben pochi coloro che ci riuscivano. Più volte Tristano affermò che la sua sezione ritmica ideale era quella composta da Jeff Morton e Peter Ind. Una volta, per permettere a Tristano di suonare in trio anche quando erano impegnati in tour con Lee Konitz e Sal Mosca, i due registrarono dei nastri con la base ritmica di contrabbasso e batteria. Nel 1955, all’interno dell’album “Tristano”, il pianista utilizzò due di quei nastri pre registrati che divennero ‘Line Up’ e ‘East 32nd Street’. Successivamente questo metodo di registrare basi con l’assenza dello strumento solista fu commercializzato in una serie di dischi editi per la serie “Minus One” destinati agli studenti.

Ind ricorda anche degli aneddoti divertenti su Tristano che lo coinvolsero personalmente assieme a Warne Marsh che era una persona particolare, con la testa perennemente tra le nuvole, completamente avulso dalla realtà che lo circondava. Se questo aspetto poteva essere accettato da chi lo frequentava e gli voleva bene, talvolta poteva però costituire un problema.
Dopo avere suonato tutta la notte, Willie Dennis, Marsh, Tristano e Ind presero un taxi per arrivare a Penn Station da dove il pianista italo americano avrebbe dovuto prendere la metropolitana che lo avrebbe riportato a casa. Mentre Dennis e Ind aspettavano in macchina, Marsh accompagnò Tristano al binario del treno. Il giorno dopo Tristano si lamentò molto perché lo sbadato Marsh lo aveva messo su un treno sbagliato… Per tutta risposta lo stralunato Marsh rispose che avrebbe riflettuto sulla cosa…

Ine e TRistano

L’ambiente newyorkese
L’ambiente effervescente della New York di inizio anni Cinquanta era ideale perché i musicisti entrassero in contatto tra di loro. Ind ricorda di avere suonato con un giovanissimo Miles Davis, che allora aveva una personalità ben diversa da quella che avrebbe sviluppato in seguito. Il suono della sua tromba, però, era già particolare e immediatamente riconoscibile.
Ind strinse una profonda amicizia con Roy Eldridge e si vedeva spesso con Charlie Mingus che era estasiato dalla maestria dell’inglese di suonare le note alte. Mingus non aveva mai incontrato musicisti bianchi che sapessero suonare in quel modo, dotati cioè di basi classiche e con una visione che oltrepassava i singoli generi musicali. Questa era proprio l’essenza della lezione di Tristano che esortava i suoi allievi a imparare a suonare un brano in ogni tonalità e ad esercitarsi a riprodurre gli assolo degli altri musicisti per avere la padronanza assoluta della propria improvvisazione e non essere condizionati e pertanto limitati dalla logica del proprio strumento. Ind aveva conosciuto Mingus nel 1949 nel negozio di contrabbassi di Noah Wulfe nella West 49 Street. L’inglese, forte della sua formazione classica, aveva imparato ad eseguire contemporaneamente le due voci delle Invenzioni a Due Parti di Johann Sebastian Bach. Fu proprio mentre stava suonando questa composizione che Mingus entrò nel negozio. Questi rimase folgorato da quello che stava ascoltando. L’amicizia nacque immediatamente. Per tutta la vita Mingus avrebbe considerato Ind come un guru.

Peter INd Studio

Le collaborazioni
Un musicista della levatura di Ind non ebbe difficoltà a stringere legami con la parte più creativa del jazz newyorkese. L’inglese si esibì spesso in duo al Café Bohemia, con Oscar Pettiford al violoncello, ma anche con Paul Bley e Al Levitt. Questo trio aveva come base il The Pub Club di Long Island, un locale in cui gli unici bianchi erano quelli che si esibivano sul palcoscenico. Nonostante l’affiatamento raggiunto, quando Bley incise il suo primo album, chiamò al basso Percy Heath. Dopo due session non completamente soddisfacenti, però, il pianista sentì la necessità di registrare altri brani e decise di chiamare Ind, che accettò. Finì però che la casa discografica si rifiutò di pagare la session straordinaria e Ind, oltre a ricevere un misero compenso, subì anche la beffa di vedere che sul disco erano stati attribuiti a Heath la maggior parte dei brani di cui, invece, era stato protagonista. 
Se l’ambiente della New York dell’inizio degli anni Cinquanta era favorevole alla creazione artistica, dal punto di vista economico le cose erano ben diverse e i musicisti d’avanguardia non se la passavano bene. L’unico che non aveva il problema di arrivare a fine mese era Warne Marsh che aveva una famiglia economicamente solida alle spalle. Per gli altri musicisti del giro di Tristano la situazione era ben diversa. Konitz, per esempio, nonostante la fama crescente non riusciva a mantenere la famiglia. Con Ind trovò un posto al British Information Center del Rockfeller Center che mantenne fino a quando non ottenne una scrittura fissa con l’orchestra di Stan Kenton. Molti ritennero la scelta di Konitz un compromesso, ma Ind ritiene che alcuni dei migliori assolo il sassofonista li abbia effettuati proprio con l’orchestra di Kenton. A volte nel jazz accade che due personalità agli antipodi entrino in qualche modo in sintonia e producano, inaspettatamente, grande musica.

Ind e Marsh

Lo spartiacque
Anche Ind aveva un’ottima reputazione di musicista e, nonostante artisti della levatura di Dave Brubeck, Woody Herman, Red Norvo lo volessero includere nelle proprie formazioni, si dovettero rassegnare davanti ai cortesi no dell’inglese per il quale la frequentazione con Tristano e Konitz valeva più di qualsiasi ingaggio. La musica di quegli artisti premiati dal successo commerciale appariva a Ind del tutto banale se paragonata a quella di Tristano. Tutto ciò oggi ci può sembrare scontato se pensiamo che nel 1951, Ind stava lavorando con Tristano a nuove forme d’espressione, in qualche modo rivoluzionarie. Passtime e JuJu, furono i brani risultanti dalle sperimentazioni in cui, per la prima volta nel jazz, venne utilizzata la tecnica della sovra incisione e che entreranno a far parte del leggendario album di Tristano “Descent Into The Maelstrom”. Fu un momento importante che simbolicamente costituì uno spartiacque tra il jazz commerciale e quello votato alla ricerca, all’improvvisazione e alla sperimentazione. I nuovi ritrovati tecnici, che offrivano la possibilità di registrare su una propria traccia, di riascoltarsi ed eventualmente correggere errori e imperfezioni rappresentò una vera rivoluzione. Le limitazioni dello strumento vennero improvvisamente superate e le strade dell’esecuzione dal vivo e della registrazione in studio si separarono definitivamente. Furono molti gli artisti che sperimentarono le potenzialità della registrazione multi traccia e ci fu chi, come il grande pianista classico Glenn Gould, trovò inutile continuare ad esibirsi, quando un’incisione in studio poteva risultare virtualmente “perfetta” e superare i problemi legati all’acustica della sala da concerto, al posizionamento dell’ascoltatore e agli inevitabili rumori di sala. Il pianista arrivò addirittura a incidere dapprima le parti per la mano sinistra e successivamente per la mano destra. I take migliori di ciascuna parte venivano poi scelti e uniti per dare vita al brano che sarebbe poi ascoltato su disco.
Anche Ind non rimase insensibile al fascino che scaturiva delle nuove tecnologie. Nel 1953 cominciò a interessarsi delle tecniche di registrazione e acquistò il suo primo registratore professionale, prologo dell’apertura di uno studio d’incisione che divenne attivo a partire dal 1957.

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