Jazz Feeds the Planet

AMEEN SALEEM

“Jazz Feeds The Planet”, “Il Jazz nutre il pianeta”: bella l’assonanza scelta con l’Expo milanese da Mario Ciampà per illustrare il filo conduttore della 39° edizione del Roma Jazz Festival in programma nella Capitale dal 14 al 29 novembre. I concerti si svolgeranno, more solito, all’Auditorium con un’appendice di tre matinées al Teatro di Villa Torlonia.
La manifestazione è stata presentata ufficialmente martedì 27 ottobre con una conferenza stampa presso la sede de ‘ La Moderna Testaccio’ un locale nei pressi del Vecchio Mattatoio che si va distinguendo, sotto la guida artistica di Piji Siciliani, per una intelligente programmazione dedicata allo swing e a tutte le sue sfaccettature musicali.
Mario Ciampà, vera e propria anima della manifestazione, ha innanzitutto posto l’accento sui problemi economici che si è trovato ad affrontare quest’anno: niente soldi dal Comune, in pericolo i finanziamenti della Regione e così via discorrendo senza certezza alcuna. Ed è un vero peccato perché si sprecano tanti soldi per opere assolutamente inutili e poi quando si tratta di cultura il braccino diventa corto, cortissimo: Casa del Jazz docet.
Tornando allo slogan del Festival, il collegamento con l’Expo va trovato nel senso che così come il cibo nutre il pianeta, il jazz ha nutrito tutte le altre musiche del Novecento, sotto tutte le latitudini. Quindi non l’ennesimo abbinamento tra jazz cibi e bevande varie di cui davvero non si avverte alcuna necessità , ma la sottolineatura dell’importanza della musica afro-americana quale humus ideale nel cui ambito si sono sviluppate quelle linee di tendenza che stanno innervando le espressioni musicali di questo XXI secolo.
Di qui un cartellone che è andato a pescare in ogni Continente proponendo artisti di fama oramai consolidata accanto a musicisti quasi del tutto sconosciuti nel nostro Paese, con una varietà di proposte che farà felici gli appassionati di jazz… anche perché , per fortuna, mancano i soliti noti che sono divenuti ospiti quasi obbligatori nei festival italiani, anche quelli più importanti e rinomati .
Così la serata d’apertura vedrà protagonista Gregory Porter, una delle voci più apprezzate di questi ultimissimi anni; domenica 15 sarà la volta, in prima europea, di “The Groove Lab” ,il gruppo guidato dal contrabbassista Ameen Salem che ha ottenuto importanti riconoscimenti per la capacità di coagulare input provenienti da fonti molto diverse. (altro…)

Mingo e Pozzovio al Vinilla Gallery

Mingo Pozovio

Venerdi’ 30 Ottobre 2015 al Vinilla Gallery ,ore 21,30 concerto per la presentazione del lavoro discografico di Nicola Mingo dal titolo “Swinging” con il duo costituito da Nicola Mingo alla chitarra e Daniele Pozzovio al pianoforte.
Il progetto richiama alcune modalità di proporre il jazz proprie degli anni Cinquanta e Sessanta e rappresenta un omaggio allo swing di quel periodo storico con particolare riferimento al big sound dei grandi chitarristi dell’epoca come Wes Montgomery, il tutto filtrato alla luce della contemporaneità, con riferimenti al sound di chitarristi come George Benson.
Il duo-Mingo-Pozzovio prende spunto, negli arrangiamenti e nelle composizioni, dall’ interazione piano -chitarra, tipica della grande tradizione del jazz storico, di cui sono esempio i mitici duo piano e chitarra di Jim Hall- Bill Evans, Joe Pass – Oscar Peterson, Wes Montgomery – Harold Mabern, George Benson – Herbie Hancock. (altro…)

I Lieder mozartiani con Elly Ameling. Un Eden che illumina il presente

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Questa settimana si invita all’ascolto di una incisione ormai quasi introvabile. Dovrete armarvi di santa pazienza e provare a reperirla sul Leviatano ‘Amazon’ ,sulle bancarelle, oppure scaricarla da iTunes. La fatica sarà ripagata da un Tesoro. Questa grande cantante fu baciata dalla fortuna per mezzo di un dono vocale prodigioso, di qualità unica. Voce duttile, risultò perfetta – tra l’altro – per Mozart, Schubert e i classici, grazie a un’intonazione adamantina e a un controllo senza eguali. Uno dei lavori discografici più ragguardevoli tra i suoi fu proprio l’incisione integrale delle opere vocali da camera del salisburghese. Queste si dividono in due tronconi: i canti accompagnati dal pianoforte ne rappresentano il corpus primario. Più collaterali, e non certo meno belli, quelli con l’accompagnamento di mandolino e alcuni quartetti vocali con i fiati. Si tratta di una produzione che potrebbe tranquillamente dirsi cospicua per qualsiasi altro compositore ma che, nel suo caso, può apparire quasi marginale se si pensa alla massa critica dell’ opera omnia.
Se volessimo giocare ad immaginare l’edificio mozartiano come una grande casa aristocratica, magari dell’antica Grecia, questi Lieder rappresenterebbero la Corte a peristilio, il luogo più raffinato e “chic” del palazzo, destinato ad accogliere gli ospiti, o addirittura all’intimità. (altro…)

Tournée del quartetto di Antonio Flinta in Russia e Finlandia

Antonio Flinta ambasciatore del jazz italiano: il quartetto guidato dal pianista con Roberto Bucci, contrabbasso, Claudio Gioannini, batteria e Paolo Farinelli alto sax in sostituzione di Piercarlo Salvia, effettuerà nei prossimi giorni una tournée in Finlandia e in Russia.
In particolare Flinta e compagni saranno il 29 ottobre a Joensuu al club Jazzkerho-76, il 31 ottobre al Kalevala Music Festival di Petrozavodsk, nella Carelia russa, e il 1 novembre al JFC Jazz Club di San Pietroburgo .
Petrozavodsk è un’importante città russa con oltre duecento mila abitanti, capitale della Repubblica autonoma di Karelija ed è situata sulla sponda occidentale del Lago Onega; da essa partono gli aliscafi per le  splendide isole Kiži. Il suo nome significa «officina di Pietro», perché Pietro il Grande ne aveva fatto (1703) un centro industriale con fonderie e officine ed ancora oggi è sede di industrie meccaniche, navali, del legno e alimentari. Con due università, la città è caratterizzata da una intensa vita culturale, anche musicale, agevolata dal fatto che la vicinanza con il confine finlandese le conferisce un tocco europeo.
Lo JFC Jazz Club di San Pietroburgo è il jazz club più importante di San Pietroburgo e uno dei più importanti dell’intero Paese: ambiente raccolto, pubblico attento (anche se nel locale è possibile cenare) , un cartellone mai banale e in cui si alternano sempre musicisti di grosso calibtro.
Joensuu è una città finlandese di oltre settanta mila abitanti, situata nella regione della Carelia settentrionale, di cui è capitale; fu fondata nel 1848 dallo Zar di Russia Nicola I alla foce del fiume Pielisjoki, da cui il suo nome. E’ una località che dedica particolare attenzione alla musica: ogni anno vi si svolge l’Ilosaarirock  un concerto rock molto atteso che si protrae per un intero fine settimana verso la metà di luglio con la partecipazione di moltissimi giovani, e tanti musicisti in larga parte finlandesi; agli inizi di giugno si svolge il Kajakka Festival, dedicato a musiche e danze popolari careliane. Il jazz trova ospitalità nel corso dell’anno nei locali della città tra cui il citato jazz club in cui si esibirà il gruppo di Flinta. (altro…)

I nostri CD

I NOSTRI CD

Omer Avital – “New Song” – Plus Loin Music 4568
Quintetto di tutte stelle questo guidato dal contrabbassista Omer Avital, con il trombettista Avishai Cohen, il sassofonista tenore Joel Frahm, il pianista Yonathan Avishai e il batterista Daniel Freedman . Israeliano di origini yemenite da parte di madre e marocchine da parte di padre, Avital è uno di quei personaggi che hanno scritto la storia del jazz israeliano assieme a quel Avishai Cohen che non a caso figura anche in questo album. La sua è una cultura composita, poliedrica: amante del jazz conosce a fondo il blues, il gospel, il soul, così come la musica afro-cubana, i ritmi di estrazione africana… ma da artista, da uomo che vive il suo tempo, inserito in una realtà difficile come quella del suo Paese, non disconosce certo le sue origini. Di qui molti elementi della cultura araba che fatalmente si ascoltano nelle sue composizioni i cui titoli, d’altro canto, evidenziano assai bene questa sua attitudine a rivolgere lo sguardo sia verso l’occidente sia verso l’oriente: “Hafla”, “Tsafdina”, “Maroc” ad esempio richiamano il mondo arabo così come “Ballad for a friend” o “Small time shit” si rifanno a paesaggi, situazioni a noi più vicine. Ma non è solo una questione letteraria ché la musica rispecchia in qualche modo quanto su accennato. Così ad esempio il brano d’apertura, “Hafla”, si muove su coordinate che richiamano espressamente una melodia tradizionale israeliana coniugata con un linguaggio jazzistico ben evidenziato dal solismo di Avishai Cohen. Viceversa nella title track l’atmosfera è più chiaramente e inequivocabilmente jazzistica , con una dolce cantabilità evidenziata dal pianismo di Yonathan Avishai e ancora dalla tromba di Cohen con il leader che si produce in un accompagnamento tanto propulsivo quanto discreto unitamente alle spazzole egregiamente manovrate da Freedman. Con “Tsafdina” siamo sul versante afro-cubano sorretto da un pertinente backghround vocale e da un coinvolgente dialogo pianoforte-batteria che conduce all’assolo conclusivo di Cohen… e via di questo passo in un alternarsi di atmosfere che si protrae sino alla fine dell’album impreziosito da una mescolanza di colori, sapori, timbri che costituisce la forza dell’album. Ultima notazione: i brani sono tutti di Omer Avital.

Tim Berne’s Snakeoil – “You’ve Been Watching Me” – ECM 2443
You've beenTim Berne è musicista “pericoloso” nel senso che se, tanto tanto ti azzardi non dico a parlarne male ma a dire che la sua musica non ti scalda più di tanto, ecco che le vestali “del vero jazz” si ergono indignate a tacciarti nel migliore dei casi di incompetente…altrimenti sei un venduto al soldo di qualche casa discografica concorrente. Ma abbiamo le spalle larghe e quindi sfideremo l’ira di chi ne sa più di noi per dire che Tim Berne è sicuramente un grande musicista ma altrettanto sicuramente che la sua musica non è in cima alla nostra personalissima scala di preferenze. Questo è il terzo album che Berne, con il suo nuovo gruppo “Snakeoil” incide per la ECM: nel 2011 il primo “Snakeoil” , nel 2013 il secondo “Shadow Man” (2013), ed ora questo “You’ve Been Watching Me”, registrato a dicembre del 2014. Il gruppo è rimasto sostanzialmente lo stesso vale a dire con il clarinettista Oscar Noriega, il pianista/tastierista Matt Mitchell e il batterista Ches Smith cui si aggiunge il chitarrista Ryan Ferreira. Come al solito le composizioni di Berne sono caratterizzate da strutture estremamente complesse nel cui ambito l’artista riesce a raggiungere un notevole equilibrio tra le parti d’assieme e lo spazio lasciato ai singoli solisti. Solisti che sono tutti dei fuoriclasse: a parte il leader che ben si ascolta in tutti i brani, Oscar Noriega si fa apprezzare a partire dal brano di apertura, “Lost In Redding”, mentre il chitarrista Ryan Ferreira da vita e spessore alla title track; notevoli l’ utilizzo del vibrafono da parte di Ches Smith e l’impiego delle elettroniche da parte di Matt Mitchell che forniscono al tutto una timbrica e un colore nuovo. I brani sono tutti piuttosto lunghi e si avverte, sempre, la grande conoscenza che Berne ha dell’universo musicale inteso nella sua globalità dal momento che è possibile percepire una serie di influenze che vanno ben al di là del mondo jazz.

Ketil Bjørnstad-“Sunrise. A Cantata On Texts By Edvard Munch”- ECM 2336

Il pianista, compositore, scrittore e poeta Ketil Bjørnstad è una sorta di icona nell’ambito del mondo culturale norvegese e ben a ragione ove si consideri che si tratta di un artista che ha fatto dell’integrità, della sincerità d’espressione la sua particolarissima cifra stilistica. A tali regole non sfugge quest’ultimo album registrato a Oslo nell’aprile del 2012: si tratta di una commissione in quanto il lavoro è stato chiesto al compositore dai responsabili del Nordstrand Musikkselskap Choir in occasione del suo settantesimo anniversario, nel 2011, lavoro che è stato poi eseguito in concerto presso l’Auditorium dell’Università di Oslo; qiì, dietro al palco, si può ammirare il dipinto di Munch intitolato “The Sun”. Ed è proprio a Munch che è dedicata questa composizione in cui è racchiuso molto dell’animo norvegese. Come spiega lo stesso Bjørnstad nelle note che accompagnano l’album, Munch non si limitava a dipingere ma scriveva sia per meglio illustrare i suoi quadri sia per esprimere le proprie emozioni, i propri stati d’animo che ondeggiavano sempre tra un cupo pessimismo e la speranza della luce, speranza e delucidazioni che, ipotizza Bjørnstad, il pittore forse avrà trovato solo alla fine della sua esistenza. Bjørnstad ha cercato di trasporre in musica queste sensazioni, questi sentimenti: si è quindi avvalso di alcuni di questi scritti per costruirvi delle splendide melodie che sembrano fuori dal tempo e dallo spazio nella loro dolce cantabilità. Ad eseguire magnificamente queste partiture sono l’Oslo Chamber Choir, diretto da Egil Fossum, la vocalist Kari Bremnes e musicisti di diversa estrazione come il violoncellista Aage Kvalbein, l’alto sassofonista Matias Bjørnstad, il contrabbassista Bjørn Kjellemyr, il percussionista Hans-Kristian Kjos Sørensen e lo stesso Bjørnstad al pianoforte. L’atmosfera generale è chiaramente riconducibile ad un mix tra musica colta e musica pop mentre , oggettivamente, i riferimenti al jazz sono piuttosto labili.

Tore Brunborg – “Slow Snow” – Act 9586-2
Questo è l’album d’esordio in casa ACT del norvegese Tore Brunborg che già conoscevamo dalla fine degli anni Novanta quando incise, tra l’altro, due ottimi album, “Orbit” in compagnia del batterista Jarle Vespestad e “Lines” con Vigleik Storaas ( Key ),Olaf Kamfjord ( Bss ) e Trond Kopperud (Drs). Anche in questo debutto con la ACT, Brunborg evidenzia appieno tutte le sue qualità sia di eccellente polistrumentista (sax tenore e pianoforte) sia di compositore (il repertorio è composto unicamente da sue composizioni). Si tratta, insomma, dell’ennesimo jazzista talentuoso che la Norvegia sta producendo in questi anni, ed è una sorta di miracolo ove si pensi a quanto poco numerosa sia la popolazione che vive da quelle parti. Ed in effetti anche gli altri musicisti che accompagnano Brunborg sono norvegesi: Aivind Aarset alla chitarra, Steinar Raknes al contrabbasso e Per Oddvar Johansen alla batteria ed elettronica. Ciò detto, va sottolineato come la musica di Tore, seppure si inserisce in quel filone di “jazz nordico” che abbiamo imparato a conoscere ed ammirare nel corso di questi ultimi decenni , presenta tuttavia qualche particolarità. Così ritroviamo quegli spazi ampi, quella tessitura sofisticata, quella cura del suono , quelle atmosfere sognanti , quel caldo lirismo che caratterizzano in linea di massima la produzione dei musicisti norvegesi, ma accanto a ciò ascoltiamo episodi , ad esempio “Tune In” e “Light A Fire Fight A Liar”, in cui la musica si fa più dura, spigolosa quasi a voler reclamare una più precisa identità . E via di questo passo in un alternarsi di situazioni che, lungi dal significare disomogeneità, illustrano al meglio le qualità e dell’ensemble e dei singoli. Così se è vero che le luci sono focalizzate sul leader , è altrettanto vero che non mancano occasioni per evidenziare il talento degli altri: si ascolti l’assolo di Raknes in “History”, mentre Eivind Aarset, uno dei grandi innovatori della chitarra, si fa apprezzare in diversi momenti. Dal canto suo Johansen fornisce un drumming preciso e propulsivo per tutta la durata dell’album.

Terry Lyne Carrington – “The ACT Years” – ACT 9588-2
Preparare una compilation è impresa oggettivamente difficile in quanto si tratta di scegliere tra diverse opzioni e realizzare un album che possa raggiungere lo scopo prefissato. Scopo che può essere di natura differente a seconda che si tratti di lumeggiare un periodo particolare, uno stile, l’attività di una casa discografica o quella di un artista. E’ il caso di questo album la cui protagonista è la celebre batterista Terry Lyne Carrington; sulla scena oramai da molti anni, la Carrington è a ben ragione considerata la migliore batterista-compositrice jazz oggi in esercizio, come d’altro canto affermato da Dizzy Gillespie che l’ascoltò agli inizi della carriera e successivamente confermato dal Grammy ottenuto nel 2011 con “The Mosaic Project” . In effetti Terry Lyne possiede tutte quelle doti che fanno un grande batterista: eccellente tecnica, senso del tempo, forte propulsione ritmica, fantasia, capacità di creare un tappeto ritmico cangiante a seconda delle necessità del solista…
In questo album possiamo ascoltare dodici brani tratti da tre CD “Jazz Is A Spirit” del 2002, “Purple : Celebrating Jimi Hendrix” di Nguyên Lee ancora del 2002 e “Structure” del 2004. La batterista figura accanto ad alcuni dei più bei nomi del jazz mondiale, da Herbie Hancock a Greg Osby da Kevin Eubanks a Wallace Roney, da Terence Blanchard a Gary Thomas… alla vocalist Aida Khann. Insomma un’ottima occasione non solo per rivisitare il drumming della Carrington, ma anche per ascoltare artisti che hanno scritto pagine indimenticabili. In tal senso particolarmente stimolante “Samsara (for Wayne) con Herbie Hancock, Kevin Eubanks, Gary Thomas e Bob Hurst.

Keith Jarrett – “Creation” – ECM 2450
A maggio, in occasione del settantesimo compleanno di Keith Jarrett, sono usciti per la ECM due album. Il primo, live, contenente due Concerti del Novecento per pianoforte e orchestra è già stato recensito su questo sito, con la solita competenza ed arguzia da Massimo Giuseppe Bianchi. Del secondo parliamo adesso. “Creation” raccoglie nove improvvisazioni in piano-solo registrate durante concerti tenuti a Tokyo, Toronto, Parigi e Roma in un breve arco di tempo che va dal 6 maggio all’11 luglio del 2014 e scelte dallo stesso Jarrett – per una volta senza l’apporto di Eicher – sì da farne una sorta di suite. Ora è indubbio che, al netto delle tante bizze che hanno contrassegnato gli ultimi anni della sua carriera, Jarret rimane un pianista straordinario, un artista che quando ritiene di aver trovato le condizioni giuste è in grado di sciorinare musica di ineguagliabile bellezza e valenza artistica. Ci è riuscito anche in questo album? L’interrogativo non è retorico dal momento che la cronaca ci racconta di alcune performances di Jarrett non proprio memorabili. Ecco, questo CD non può certo essere annoverato tra i capolavori del pianista anche se siamo, sempre, su livelli alti. Il fatto è che l’aver scelto improvvisazioni da diversi concerti ha sì fornito all’album una sua omogeneità ma non sempre questo è un fatto positivo. Nel caso in oggetto, infatti, molto si è perso di quella varietà di situazioni che spesso si registra nei concerti di Jarrett quando il pianista, nelle sue improvvisazioni, riflette l’umore del momento, l’ispirazione momentanea creando quel clima di incertezza, straordinariamente coinvolgente, che caratterizza le sue esibizioni. Ad esempio ricordiamo perfettamente una performance a Roma in cui ad una prima parte francamente noiosa fece seguito un secondo tempo di straordinaria brillantezza. Insomma forse non siamo molto lontani dal vero affermando che probabilmente il meglio di sé Jarrett lo ha già dato.

Leszek Możdżer & Friends – “Jazz at Berlin Philarmonic III” – ACT 9578-2
Jazz at the Berlin PhilarmonicIl pianista Leszek Możdżer, classe 1971, è uno dei maggiori esponenti del jazz polacco. Ha cominciato a studiare pianoforte all’età di cinque anni fino al raggiungimento del diploma al Conservatorio Stanislaw Moniuszko di Gdańsk nel 1996. Avvicinatosi al jazz, all’età di 18 anni, inizia la sua carriera con il gruppo del clarinettista Emil Kowalski . Nel 1991 è con il gruppo Miłość (« Amour »). Un anno dopo è premiato all’ International Jazz Competition Jazz Juniors che si svolge a Cracovia. Per questo album registrato live alla Berlin Philharmonie si presenta con il suo trio abituale completato dal contrabbassista svedese Lars Danielsson e dal batterista israeliano Zohar Fresco, con l’aggiunta dell’Atom String Quartet. Il repertorio è basato in massima parte su originals del leader che evidenziano appieno le grandi doti di questo artista. In possesso, come si accennava, di una solida preparazione di base innervata da una cultura classica, Leszek si esprime con un linguaggio che coniuga efficacemente stilemi jazzistici, echi folk con modalità proprie della musica classica, in cui si avverte, evidente, l’influenza dell’eroe nazionale della musica polacca, Chopin . Il tutto impreziosito da un sound affatto particolare che attribuisce all’intero album un’atmosfera suggestiva; in effetti il trio, che ha raggiunto una grande intesa cementata da molti anni di stretta collaborazione, è completamente sintonizzato sulle idee del leader che riesce a fondere il sofisticato gioco di batterista e contrabbassista all’interno di un puzzle cameristico in cui l’Atom String Quartet riveste un ruolo tutt’altro che secondario. E non è certo un caso che molti critici pongano quasi sullo stesso piano il Kronos Quartet e l’Atom String Quartet data la straordinaria capacità improvvisativa dei componenti quest’ultimo gruppo. Si ascolti, al riguardo, le romantiche sonorità del quartetto in “Love Pastas”   (altro…)

I nostri libri

I nostri libri

Claudio Sessa – “ Improvviso singolare . Un secolo di Jazz “ – ilSaggiatore- pgg.543 – €27

Il jazz è di per sé fenomeno assai complesso che presenta implicazioni ben più vaste del mero fatto musicale. Come tutti i movimenti artistici, è qualcosa che nasce e si sviluppa in un determinato contesto socio-economico motivo per cui se lo si vuol ben comprendere è necessario analizzarlo da molti punti di vista, relazionarlo con la situazione in cui si trova, nulla trascurando di ciò che gli sta attorno, dalla situazione politica a quella economica… a quella sociale e via discorrendo.
Come altre volte sottolineato in questa stessa sede, la pubblicistica sul jazz sta vivendo un momento particolarmente felice nel senso che le pubblicazioni al riguardo si moltiplicano come mai nel passato; eppure i volumi che valgono veramente la pensa di essere letti non sono moltissimi proprio perché manca quella visione d’assieme cui prima si faceva riferimento.
Obiezione che non può certo avanzarsi nei confronti di questo bel libro di Claudio Sessa giunto alla seconda tappa della sua annunciata trilogia, iniziato con “Le età del jazz. I contemporanei”.

Improvviso-singolareIn effetti Claudio affronta il problema con quella intelligenza ed acutezza che abbiamo imparato ad apprezzare nel corso degli anni: la sua non è una semplice storia del jazz, ma un racconto, attento, approfondito delle vicende – nel senso più ampio del termine – che hanno determinato la nascita e la diffusione del jazz dapprima negli States e poi in tutto il mondo.
In buona sostanza, prima ancora di esaminare il fatto squisitamente artistico, musicale, Sessa si sofferma a tracciare un quadro delle condizioni in cui i musicisti si trovano ad operare e così si capiscono molo bene le ragioni che hanno portato , ad esempio, al superamento della swing era, alla nascita del be-bop, all’affermazione del free jazz… e via di questo passo.
Nessun elemento del quadro d’assieme viene trascurato, in una narrazione porta con linguaggio semplice e chiaro, comprensibile anche dai non addetti ai lavori. In tale contesto si inserisce una serie di guide all’ascolto di circa duecento brani emblematici del percorso compiuto dal jazz nel corso di un secolo. (altro…)