Il pianista armeno alla XIII edizione di Bergamo scienza

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Le foto sono di Daniela Crevena

Basilica di Santa Maria maggiore, 13 ottobre 2015

Questo evento incastonato nelle tante e importanti iniziative della XIII edizione di Bergamo Scienza, subisce un inaspettato cambio di programma: il concerto previsto nella splendida basilica di Santa Maria Maggiore, Tigran Hamasyan pianoforte e The Yerevan State Chamber Choir, diventa un concerto di piano solo: i coristi sono fermi a Parigi per problemi di visto. Un po' di delusione inizialmente c'è. Ma ascoltare Hamasyan è sempre un' esperienza particolarmente suggestiva.
Non certo perché ci si imbatte nella “” (termine a me inviso) tra musica armena e Jazz, non certo per un sapore “esotico – orientaleggiante”,un po' da cartolina: c'è ben poco di strategico nel suono di Hamasyan, non c'è alcuna volontà di operare commistioni stupefacenti per strappare applausi. Hamasyan è armeno, ha un forte legame con la sua terra, e la musica che fa è la propria musica, forte uno stile personale e ben riconoscibile. E' un'esperienza intensa perché evocativa, perché straniante, perché quei suoni apparentemente lontanissimi ci appaiono però più vicini e familiari di quanto immaginavamo. Questa dualità crea una tensione emotiva particolare che è davvero difficile spiegare.
I brani di questo bel concerto sono tratti dal repertorio religioso (che Hamasyan avrebbe dovuto suonare con il coro), qualche standard, e pezzi originali. Si comincia a capire il clima dai primi minuti di musica: accordi sospesi e intervalli aumentati, con momentaneo appoggio su accordi maggiori per poi ripartire con un andamento che si percepisce come circolare, cullante, e che lascia un po' trasognati.
L' armonia prevale sulla melodia, il suono e lo spessore sono quasi sempre pieni, e ad ascoltare vengono in mente suonatori di oud, ma anche certa musica tradizionale sarda, e il blues anche, e il medio oriente. E' un rievocare dato dalla profondità della musica stessa, e non da una volontà oleografica predeterminata: è musica che involontariamente evoca ciò che c'è di comune, forse di archetipico tra culture lontane.
Hamasyan differenzia moltissimo il ruolo della mano destra da quella sinistra, che , molto spesso, ha una funzione re iterativa, ipnotica. Il suo reiterarsi riporta ad una atmosfera tradizionale e in alcuni casi rituale: è come se essa fosse la parte più “armena”, il vero legame sonoro con le origini di questo musicista che riesce, paradossalmente, ad essere musicista del mondo proprio in virtù di questa forte relazione con il suo paese. Ha una sicurezza dell' esplorare propria di chi ha un porto sicuro dove tornare.
La mano destra improvvisa, ma da un punto di vista più ritmico che melodico: spesso la melodia è ristretta a piccole cellule di poche note, magari con un intervallo complessivo molto piccolo, anche di un solo tono, che può essere percepito addirittura come un abbellimento, un mordente o un piccolo trillo. I diversi episodi rimangono sempre legati l' uno all'altro da un sottile filo residuo, che può essere una cellula ritmica, una nota ribattuta, un accordo dissonante.
Non che non esista melodia. In uno dei brani, presumibilmente facente parte del repertorio abitualmente eseguito con il coro, Hamasyan canta all' unisono con il pianoforte. Siamo in 4/4 ma il tema comincia in battere e non in levare come immagineremmo noi europei, dunque si dipana metricamente nelle battute dando la sensazione di tempo asimmetrico, e creando una tensione affascinante.
In Hamasyan prevale il registro grave, l' armonia sula melodia, eppure queste non sono regole assolute, poiché specialmente quando affronta brani tradizionali la melodia è netta ed è incorniciata da arpeggi, note tenute in modo che svetti su tutto e rimanga a lungo nell' aria.
Quando arriva lo standard, “Someday my prince will come”, è proprio la melodia che rimane come unico tenue baluardo del brano originale, perché la mano sinistra ha un andamento cromatico assolutamente non coincidente con ciò che armonicamente ci si aspetta. Ma da un certo punto in avanti “l' accompagnamento” si limita ad una nota per battuta secondo un disegno melodico – armonico sempre uguale (ritorna la reiterazione) che si incunea in maniera inusuale con l' improvvisazione: chi ascolta è portato a seguire istintivamente quel disegno della mano sinistra che si ripete all' infinito, ma allo stesso tempo è attratto dalle evoluzioni della melodia create dalla mano destra.
Si potrebbe scrivere tantissimo ancora su Tigran Hamasyan: ma il consiglio è di andarlo ad ascoltare lasciandosi trasportare dalla sua musica. Se avete la fortuna di non dover scrivere un articolo e spiegare cosa accade, godetevi questa esperienza appena potete, perché davvero è uno di quei casi in cui una sana inconsapevolezza permette un viaggio che riserva momenti di vero stupore.

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