Parla Toni Lama L’epopea dello Swing Club nella Torino degli anni ’60 e ‘70

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“Compro oro” non è certo un titolo che abbia molto a che fare con il jazz…se poi, però, leggiamo il sottotitolo “Vivere Jazz Vivere Swing” la faccenda diventa più chiara: in realtà stiamo parlando di un bel documentario, uscito proprio in queste settimane, che illustra l’attività dello storico “Swing Club” di Torino. Ne abbiamo parlato a lungo con uno degli autori , Toni Lama, personaggio ben noto nel mondo del jazz anche per la sua attività di promoter che l’ha portato a produrre più di 400 concerti l’anno in tutta Europa

Da quale motivazione nasce questo documentario?
Innanzitutto dal fatto che nella mia vita quello è stato un periodo interessante, bello e che ho sempre ricordato volentieri per cui pensavo di poterlo condividere con altre persone che hanno vissuto gli stessi anni. La seconda motivazione era quella di documentare un locale e un periodo storico di una città come Torino che ritengo, per molti motivi, non tornerà: sono cambiate le situazioni ambientali, è cambiata la situazione storica , è cambiata anche e soprattutto la situazione del jazz. Il jazz di quei tempi era una musica che gli appassionati andavano a cercare sui dischi avuti o trovati in modo quasi carbonaro , si dovevano tirare giù gli spartiti da dischi vecchi, spesso rovinati… era tutto molto difficile per cui ho pensato di fare un piccolo documento su quel periodo storico.

Stiamo parlando dello “Swing Club” di Torino…
Certo. Il locale è lo “Swing Club” di Torino e il periodo va dal 1965 al 1982 quel periodo che vedeva in altre città d’Italia la nascita di altri due locali storici, il Capolinea a Milano e il Music Inn a Roma. Questi due locali, assieme allo “Chat qui pêche” a Parigi e il “Domicil” a Berlino costituivano un po’ i caposaldi del jazz d’oltre oceano in Europa. Poi c’era tutta l’attività dei Paesi scandinavi ma quella era un po’ troppo lontana dai nostri obiettivi. Lo Swing si trovava in via Botero …e oggi sarebbe un posto anacronistico perché era un piccolo locale a livello strada, poi si scendeva in una cantina che poteva ospitare da legge 99 persone ma che in realtà durante i concerti ne ospitava più di 200 e oggi potremmo veramente definirla una trappola per topi : c’era una scala di legno che scendeva ripida in questa cantina e sotto, come in tutti i locali di quei tempi, si fumava liberamente e in più c’erano anche le cucine… con il risultato che si respirava un’ aria … irrespirabile…. C’era poi una sorta di uscita di sicurezza costituita da una piccola porta situata dietro le cucine che dava su un’altra cantina che a sua volta dava in un corridoio che poi, attraverso tutte le altre cantine, portava finalmente in un cortile. Dopo i fatti dello Statuto (L’incendio del Cinema Statuto la sera del 13 febbraio 1983, con la morte di 64 persone n.d.r.) fu impossibile mettere a norma, se non con cifre iperboliche questo posto che infatti chiuse.

E’ possibile tracciare una sorta di parallelismo tra questi tre locali italiani cui prima facevi riferimento?
Sì; direi che tutti e tre erano innanzitutto caratterizzati dalle persone che lo gestivano. A Roma c’era Pepito Pignatelli, personaggio storico che ha dedicato la sua vita al jazz ma soprattutto al rapporto con i musicisti, lui era l’amico dei musicisti . A Milano c’era Vanni , Giorgio Vanni al Capolinea era anche lui un batterista come Pepito e come Pepito anche lui aveva un cuore da musicista che lo rendeva prima che gestore di un locale, amico dei musicisti. A Torino c’era questa signora che si chiamava Ninni Questa che non era una musicista, ma un’appassionata che amava il rapporto con i musicisti, infatti nel documentario Tullio De Piscopo ricorda il sorriso di questa signora che non rideva spesso – in realtà non aveva molti motivi per ridere anche perché gestire un locale per una donna in quegli anni a Torino era un’impresa molto dura… Torino era allora una città spaccata dai clan, marsigliesi e catanesi si spartivano la città sia per la prostituzione sia per le sigarette – ebbene, nonostante tutto ciò, lei aveva deciso di mantenere pulito questo locale che era uno dei pochi a rimanere aperto fino alle cinque del mattino… per cui, ovviamente, dopo le 2 arrivava di tutto.

Abbiamo parlato delle consonanze; c’erano anche delle differenze sostanziali?
Le differenze erano soprattutto di carattere ambientale. Il Music Inn di Roma rispecchiava una città che già allora, nelle sue molteplici sfaccettature, nel bene e nel male, era sempre la Capitale per cui c’erano dai nobili veri ai nobili decaduti, gente del cinema… era un locale molto variegato … definirlo alla moda è forse un po’ troppo, ma di sicuro era un locale che in quegli anni faceva tendenza. Il club di Vanni a Milano, il Capolinea, era un vecchio garage sui Navigli , quindi un po’ fuori Milano, e fu lui il precursore di questo posizionare i locali un po’ nelle periferie, ed era il ritrovo di tutti i musicisti milanesi che finivano di suonare… arrivavano lì verso mezzanotte, l’una e potevano dare sfogo alla propria passione, perché i più erano musicisti di sala, facevano liscio , facevano discoteca, facevano i turnisti … e lì potevano finalmente suonare il jazz che era la loro passione; poi verso le due, le tre, Vanni, come Pepito a Roma, si metteva alla batteria e aveva la gioia di accompagnare calibri come Dexter Gordon, Art Farmer, Johnny Griffin, Mal Waldron… e tanti, tanti altri. Lo Swing di Torino era ancora una cosa diversa perché l’habitat della città era diverso, Torino era una città in bianco e nero, una città grigia comunque non priva di un certo fascino, era una città che offriva attraverso questo locale uno spaccato di fantasia, uno spaccato di creatività; scendendo quelle scale, la gente, come fa notare Pupi Avati nella sua intervista, dimenticava un’Italia brutta, perché in quegli anni era un’Italia non bella, e immaginavi di essere a New York al Blue Note, a New Orleans…, sognavi, avevamo un angolo di sogno. Poi uscivi alle 3 alle 4 del mattino e spesso ti incrociavi con quelli che in piemontese si chiamano i “baracchini” quelli, cioè, che portavano il “baracchino” il posto dove mettevi il cibo, perché alle 6 dovevano aprire il turno in fabbrica (leggi Fiat) per cui molti uscivano da casa alle 4,30 alle 5 per essere puntuali sul posto di lavoro. Queste due realtà quasi si accarezzavano, per motivi di tempo, ma in vero erano due realtà che vivevano in modo profondamente diverso. E lo Swing era un’isola – diciamo – felice. (altro…)

A proposito di…strenne natalizie

Cari lettori di …A proposito di Jazz, Natale è alle porte. E’ lecito quindi interrompere la liturgia consueta di questo spazio che alcuni di voi con cortese pazienza seguono da tempo, per affrontare il tema regali.
Al Telegiornale soltanto ieri si dava risalto a un sondaggio, sul quale nutro seri dubbi, secondo cui soltanto l’8 per cento degli italiani o giù di lì rinuncerà a fare il regalo di prammatica.
Se ciò è vero il disco resta un’ottima scelta: costa poco, dura tanto, eleva moltissimo e dice bene sia del donatore che del ricevente. Non si sbaglia a regalare dischi (e libri), puntando su un oggetto che può durare una vita intera.

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Se i destinatari sono amanti del canto un’idea assai felice può essere questo recente cofanetto Warner dedicato a Ian Bostridge. Questi è uno dei più grandi cantanti del mondo e il suo repertorio d’elezione, più che quello operistico, dove peraltro ha fornito prove ragguardevoli, è il lied.
Il box contiene lavori che definire stupendi è poco con autori quali Thomas Adès (forse il maggior compositore vivente), Benjamin Britten, Georg Friederich Haendel, Hans Werner Henze, Leos Janacek, Claudio Monteverdi, Wolfgang Amadeus Mozart, Henry Purcell, Franz Schubert, Robert Schumann e Hugo Wolf. Interessanti in particolari le sue letture wolfiane, che non conoscevo e delle quali svela l’intimo incanto.
E’ un ritratto a 360° dell’arte sopraffina di questo cantante, con un profilo antologico, la qual cosa può piacere o meno: gli integralisti, che vogliono possedere il “Billy Budd” di Britten in tutte le sue 4 ore, storceranno il naso; tutti gli altri invece avranno la grande opportunità di godere dell’ascolto di pregevoli gemme selezionate con cura da uno chef pluristellato come Bostridge, definito dal New York Times “something of a polymath”: egli è uomo di fìgrande cultura, come si evince anche dalle scelte di repertorio.
L’edizione è corredata da una illuminante intervista. Che altro dire? Lo donassero a me, farei  salti di gioia.

Bostridge_Warner

Un singolare CD dell’etichetta ECM mette in relazione, e molto opportunamente, due autori fondamentali dell’esperienza contemporanea free/esoterica statunitense ossia Morton Feldman e John Cage, con il loro precedente filologico, l’autore germinale di tutta quell’esperienza, il francese Erik Satie che pensava il mondo come una colossale Commedia.
Direttore di un ufficio postale di mestiere, ‘guru’ dell’anti romanticismo per vocazione, Satie diede inconsapevolmente la stura a tutto un movimento sotterraneo di avanguardia, nel segno dell’ironia e dell’anti-retorica che dura ancor oggi.
Di Feldman si può qui riascoltare ‘Rothko Chapel’, composizione ispirata dal grande pittore, per scendere, attraverso anche rare musiche corali di Cage,  giù giù fino alle Gnossiennes, note e amatissime.Mi si lasci dire che questi dischi ECM sono belli anche da vedere, e la cura estetica li rende, ipso facto, un’idea regalo azzeccata. Quanto spesso si ascoltano dischi pregevoli confezionati con vesti grafiche tristi e quasi criminose! Questo CD, nel quale si presentano situazioni strumentali molto varie, è bello e adatto ad una vasta platea di destinatari, sconsigliabile solo, per le atmosfere rarefatte, agli ammiratori del “death metal”, anche se nella vita è sempre bello stupirsi.

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Volete regalare musica lieta, che allarghi il cuore? Con i concerti per corno e orchestra di Mozart, il sorriso è assicurato. Queste geniali opere del maestro salisburghese appartengono alla sua produzione più disimpegnata tuttavia, nella procedura di questo genio, la profondità sta in superficie. E’, questo, il Mozart galante, che abbraccia lo spirito del suo tempo.
Siccome lo strumento è chiamato a pericolose evoluzioni e virtuosistici affondi, si richiede un solista all’altezza. L’orchestra poi deve dare prova di leggerezza, ed è d’uopo un direttore sapiente. Non è infine accettabile una qualità della registrazione meno che smagliante, a catturare le gradazioni dinamiche e agogiche di questi mobili “tableaux vivants”.
Questo CD Deutsche Grammophon, con il solista Alessio Allegrini e il suono curato da Michael Seberich, racchiude in sé tutte le suddette qualità e donarlo è anche un modo per ricordare un grande direttore, Claudio Abbado, alla guida di una preziosa orchestra italiana cancellata all’indomani della sua scomparsa, nel silenzio delle istituzioni e nonostante le promesse di ministri dalla fronte inutilmente spaziosa.

mozart allegrini

Infine, per gli amanti del Melodramma, e per coloro che aspirano a divenirne appassionati, la nuovissima e bella Aida di Pappano, con le compagini di Santa Cecilia. Un’opera scritta per l’inaugurazione del canale di Suez, che ha fama di magniloquente ed è tuttavia intimista, psicologica. Qui Verdi trova anche, da par suo, un linguaggio armonico irrealmente antico, grazie all’utilizzo di lambiccate quanto fascinose scale ortofoniche sulle quali egli specula raffinate armonie.
Aida, si sa, è impervia dal punto di vista vocale e richiede interpreti più che all’ altezza che qui si trovano e non deludono. Il direttore Pappano vince, come sempre, più che sul piano della tecnica su quello delle idee. La sua lettura è convincente, precisa e completa e trova il colore giusto di un’opera spesso fraintesa a mò di spettacolo circense. Questa produzione mette in risalto anche le belle qualità dell’orchestra e del coro romani.

Buon Natale a tutti!

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