Stefano Bollani: l’importanza di fare spettacolo divertendosi e divertendo

Stefano Bollani - ©foto Daniela Crevena

©foto Daniela Crevena

Il caso di Stefano Bollani è abbastanza emblematico di ciò che non di rado accade nel mondo dell’arte in generale e della musica in particolare: osannato dal pubblico, Bollani è messo in discussione da una parte della critica. Non gli si contesta certo l’abilità pianistica, cosa impossibile dato che una vasta produzione discografica è lì a testimoniare la presenza di un immane talento. Gli si contesta il fatto di non aver scelto in che campo giocare, di suonare sia classica, sia jazz con sconfinamenti nel pop, di esibirsi troppo per il pubblico: in effetti in ogni performance dell’artista non c’è solo musica, c’è affabulazione, c’è racconto, c’è il gusto di intrattenere… di fare spettacolo. Ora, ognuno può avere le proprie idee ed è giusto che le esprima… resta il fatto che l’arte di Bollani, come leggerete nell’intervista qui di seguito, è supportata sia da un indiscusso talento sia da un’indubbia onestà intellettuale, dote di cui oggi si avverte una certa carenza… per usare un eufemismo.

Al difuori dell’ambito pop, tu sei il musicista italiano che negli ultimi anni ha ottenuto il maggior successo. Come spieghi questo risultato così clamoroso?
Io lo devo spiegare? Non lo so… forse…penso di essermi fatto vivo in ambiti diversi ho catturato pubblico a destra e a sinistra, sono stato a teatro con la Banda Osiris, ho fatto il programma in televisione, ho fatto radio con Riondino… insomma mi sono fatto conoscere anche da persone che, normalmente non seguono la musica.

E’ indubbio, comunque, che quando ti si vede suonare, si avverte immediatamente e chiaramente che in quel momento ti stai divertendo davvero. Quanto conta tutto ciò a livello di comunicazione con il pubblico?
Credo molto, moltissimo. Io adoro vedere gente che si diverte quando fa qualcosa; questo vale per qualsiasi branca dello scibile…anche per il porno…quando vedi un film porno, … quand’è che è fatto bene? Quando sembra che le due persone si stiano divertendo. Io adoro vedere un attore, un ballerino, un oratore che si diverte a fare quello che sta facendo e credo ciò valga anche per il pubblico che va ai concerti.

Quanto conta per te fare spettacolo?
Molto, credo; sin da bambino io adoravo salire sul palco; credo che il primo impulso fosse quello di stare sul palco, prendere un applauso e divertire le persone. Il primo verbo penso fosse divertire per cui tuttora credo che sia la mia gioia principale.

Che ruolo riveste l’improvvisazione nel tuo pianismo?
Fondamentale, perché eccettuati taluni progetti come quello che sto provando in questi giorni che è uno spettacolo teatrale vero e proprio con Valentina Cenni che è la mia fidanzata in cui tutto è stabilito , in tutti gli altri progetti che ho affrontato l’improvvisazione è fondamentale. E’ fondamentale perché, prima di tutto, io non voglio annoiarmi per cui ho bisogno, tutte le sere, di fare qualcosa di diverso. Il che non significa solo suonare brani differenti con persone diverse ma soprattutto vuol dire avere un atteggiamento diverso ogni sera in modo da poter smontare un brano partendo da un altro dettaglio …e poter ripetere questo tipo di operazione a seconda dell’ispirazione, dello stato d’animo del momento.

Così dicendo ti collochi nell’ambito dei musicisti jazz, indipendentemente dalle etichette…un ambito che mi sembra ti stia stretto…
Sì e no perché io credo che improvvisino in tanti. Noi del jazz abbiamo scippato la parola improvvisazione mentre tutti gli altri, per parecchio tempo non l’hanno più pronunciata ad alta voce… ma improvvisava Mozart, improvvisava Listz, improvvisava Paganini… certo non tutti i grandi compositori ma moltissimi improvvisavano per cui non credo che improvvisazione sia necessariamente sinonimo di jazz.

Beh, nell’ambito della musica classica sicuramente si improvvisava, ma non credo che nell’ambito della musica pop si improvvisi così tanto…
Certo che no, no; in quell’ambito decisamente no, ma in quel campo la questione estetica è portata al massimo livello perché il pop è un prodotto confezionato. Nella migliore delle ipotesi è meraviglioso, nella peggiore è , come ti dicevo, un prodotto confezionato per cui non solo ha la data di scadenza ma non è neanche buonissimo da gustare proprio perché è una ricetta fatta su larga scala. Ad esempio ,l’idea che la masterizzazione di un certo brano si debba fare entro determinate frequenze per non disturbare, non so, il guidatore della macchina quando ascolta l’autoradio … che è poi il motivo per cui preferiamo ascoltare in macchina il pop anziché la musica classica perché questo è pensato apposta per non disturbarci … ecco tutto ciò comprime lo spettro delle possibilità. Insomma è una musica che, per forza di cose, tanto oltre sul fronte dell’emotività e della verità non può andare. Prima di tutto per un principio sonoro e poi anche di struttura, perché si tratta di confezioni di quattro minuti che devono funzionare secondo certe regole che partono dall’industria discografica.

Qual è oggi il tuo rapporto con il canto, sia con quello degli altri sia con la tua stessa voce?
E’ buono, è un buon rapporto soprattutto con quello degli altri. Con quello mio non so, ci stiamo ancora lavorando.

Per raggiungere quale risultato?
Semplicemente un po’ più di naturalezza, direi. Quando apro bocca per cantare, spesso ho in mente qualcuno e questo mi dispiace perché invece vorrei dimenticare, così come faccio quando suono, dimenticare i miei modelli, i miei ispiratori… superarli e lasciarmi andare. Invece avendo un passato da “imitatore”, ovviamente a livello amatoriale – sin da bambino imitavo i professori, imitavo i miei amici etc… – avendo sviluppato quella cosa lì ho fatto fatica in questi anni a trovare la mia voce, almeno quando apro la bocca per cantare.

Qual era il cantante che imitavi meglio?
Johnny Dorelli; io tuttora quando canto rischio sempre di essere Johnny Dorelli e quindi non esattamente il cantante più à la page, del momento…

E qual è il tuo rapporto con la musica leggera?
E’ buono. Io prima sembrava che ti parlassi della musica leggera in modo negativo, ma in realtà affrontavo solo un dato di fatto e cioè che il pop è un prodotto pensato e realizzato per essere venduto; il fatto che un qualsiasi cantante, a partire da Madonna tanto per fare un esempio, si sente- ed in realtà lo è – obbligato dall’industria , ogni volta che si esibisce in concerto, a riproporre il brano esattamente nella stessa maniera in cui l’ha inciso fa parte della confezione e tutto ciò non è il mio pane. Io non vorrei mai lavorare in quel mondo per questo motivo. In realtà, poi, le canzoni pop io le adoro, anzi sono un grande fan di autori da Sergio Endrigo a Paul McCartney a Vinicio Capossela passando per Jacques Brel…autori che riescono in quattro minuti a scrivere una cosa che abbia un senso e che rappresenti un mondo compiuto. Invece, come sai, i jazzisti sono logorroici.

Bolero di Ravel e Rapsodia in blue di Gershwin, due brani che se non sbaglio ti sono particolarmente cari….
Sì, entrambi. Innanzitutto credo che si tratti delle prime cose che ho sentito da bambino. Poi c’è una vitalità, una gioia, e, senza entrare troppo nel merito, una vicinanza estrema con il mondo del jazz degli esordi, degli anni Venti, sia armonicamente sia ritmicamente. Per una volta direi che il Bolero di Ravel è un brano che ha una intensità ritmica che ricorda quella di tanta musica non solo jazz ma anche leggera. (altro…)