Davide Tidoni e Markus Stockhausen: 2 workshop a Mestre per Live Arts Cultures‏

Evento: due workshop per musicisti
con DAVIDE TIDONI / 15 – 17 Aprile
e MARKUS STOCKHAUSEN / 11 – 13 Luglio
Associazione culturale “Live Arts Cultures”
Forte Marghera – Mestre, Venezia
L’associazione culturale Live Arts Cultures
annuncia i due laboratori per musicisti e sperimentatori sonori
parte delle attività formative del 2016 rivolte alle arti dal vivo.
Gli ospiti chiamati quest’anno a condurre le attività laboratoriali dedicate alla musica sono Davide Tidoni, ricercatore e artista Italiano interessato alla dimensione umana e relazionale dell’ascolto, e Markus Stockhausen, trombettista figlio del celebre compositore tedesco e massimo rappresentante dell’approccio alla creazione tramite la Musica Intuitiva.
Il primo appuntamento con la formazione è “Venice by Night”, condotto da Davide Tidoni: una sessione di 3 incontri notturni a Forte Marghera, Mestre (VE) il 15 – 16 – 17 aprile finalizzati a portare in primo piano la fisicità del suono, preparare i corpi dei partecipanti ad avere a che fare e interagire con una presenza che coinvolge e mette in vibrazione tutto ciò che tocca. I corpi dei partecipanti si alleneranno ad agire come veri e propri filtri in grado di gestire, fronteggiare e rispondere alla forza del suono che li colpisce. Il workshop si svolgerà a Venezia e si rivolge a chiunque sia interessato a confrontarsi con le possibilità d’interazione tra suono, corpo e spazio.
Davide Tidoni lavora con le registrazioni audio e il field recording; le sue performance invitano all’esperienza fisico/emotiva del suono, i suoi workshop mirano a produrre e sperimentare strategie di ascolto, di intervento e attivazione dello spazio acustico.
DAVIDE TIDONI, Venice by Night, Venezia 15 – 17 Aprile 2016
Link al sito: www.davidetidoni.name
[Costo di iscrizione al laboratorio per una sessione notturna € 25. Costo di iscrizione al laboratorio per 3 sessioni € 70 (Sconto studenti: 60 €). Il laboratorio è destinato ai soci Live Arts Cultures, costo della tessera: € 3.
Per iscrizioni e informazioni: electronicgirls.fest@gmail.com]

Federico Mondelci e Gianni Iorio. Quando la musica si fa poesia

Mondelci1

Una lettura della musica per tòpoi, che ha saputo elicitare un profondo coinvolgimento emotivo, ha contraddistinto la splendido recital del sassofonista Federico Mondelci e del pianista Gianni Iorio, esibitisi al Teatro Comunale di Monfalcone, in provincia di Gorizia, l’8 febbraio 2016. Il concerto rientrava nel cartellone di ‘900&oltre’, la rassegna dedicata alla musica contemporanea e al Novecento storico. Federico Mondelci, che il pubblico di Monfalcone ricorda per un’applauditissima performance nel 2011 con l’Ensemble Italiano di Sassofoni – del quale è il fondatore – è tra i grandi maestri della moderna scuola italiana del sassofono classico ed oltre ad essere un concertista affermato in tutto il mondo, il maestro Mondelci dirige orchestre e solisti di fama internazionale. Eccezionale cultore ed interprete della musica contemporanea del Novecento, Mondelci ha un repertorio vastissimo, in cui trovano posto grandi autori, che spesso hanno composto espressamente per lui, come Nono, Kancheli, Glass, Donatoni, Sciarrino, Gentilucci, Graham Fitkin, Nicola Piovano, ma anche composizioni di musicisti giovani e meno noti. La sua esecuzione solistica di “Kya” di Giacinto Scelsi, contenuta nel cd monografico a lui dedicato e pubblicato dall’INA (Institut National de l’Audiovisuel di Parigi), ha ottenuto l’importante riconoscimento “Diapason d’or”. Gianni Iorio, pianista e compositore, vanta una brillante carriera come concertistica, esibendosi nei più prestigiosi jazz club e teatri Europei. Da sottolineare le sue importanti collaborazioni, con Horacio Ferrer, il poeta e drammaturgo uruguaiano scomparso nel 2014, una leggenda del tango e paroliere di Astor Piazzolla, e con il Premio Oscar Luis Bacalov. Il concerto monfalconese si apre con una della pagine più eseguite del compositore francese Darius Milhaud: “Scaramuouche”. Scritta originariamente nel 1937 per due pianoforti (op. 165b) e qualche anno più tardi per sassofono e orchestra (op. 165c – anche per clarinetto, suonata per la prima volta in questa versione nel 1941 da Benny Goodman), Scaramouche è una suite in tre movimenti – vivo, moderato e brazileira (in tempo di samba)- che fa parte delle musiche di scena di una piéce teatrale del drammaturgo Charles Vildrac, messa in scena a Parigi al Theatre Scaramouche negli Champs-Elysées. Un’opera dall’impatto melodico seducente e dal ritmo trascinante, in cui i due esecutori si muovono con grande scioltezza di lettura, rigore tecnico e perfezione formale, sic et simpliciter. Nell’ultimo dei tre movimenti Milhaud attinge a piene mani dalla musica sudamericana, e proprio in Brasile egli soggiornò come segretario del poeta Paul Claudel, Ambasciatore di Francia in quel Paese. Mondelci stesso evidenzia il filo logico che unisce questo brano iniziale a quello che concluderà la performance, con l’esecuzione di una suite di Iorio, in prima assoluta, dedicata al tango. È del fondatore del “Groupe des Trois”, Henri Sauguet, amico di Milhaud e allievo di Satie, la “Sonatine Bucolique”. Il maestro Mondelci ricorda di aver studiato la composizione da studente del Conservatorio (è, infatti, un must nella didattica del sassofono, per il perfezionamento della tecnica strumentale) e di non averla mai eseguita in pubblico. Un’altra chicca riservata all’attenta platea monfalconese. (altro…)

I NOSTRI CD. Novità da tutto il mondo

I NOSTRI CD

Weather Report “The Legendary Live Tapes: 1978-1981″ – Legacy Recordings
wheaterreportAnche nel jazz il mercato discografico attraversa un momento particolarmente difficile: si producono molti, forse troppi dischi che poi nessuno compra anche perché, diciamolo chiaramente, gli album davvero interessanti, degni di essere ascoltati con attenzione e di essere conservati sono pochi. A questa seconda categoria appartiene la sontuosa realizzazione della Legacy Recordings, una divisione della Sony Music Entertainment: un cofanetto di 4 album contenente concerti inediti della band le cui concezioni avrebbero rivoluzionato il mondo del jazz – e non solo – influenzando generazioni di musicisti. Registrato dal vivo tra il 1978 e il 1981, “Weather Report, The Legendary Live Tapes” presenta quella che a detta di molti è stata la migliore formazione del gruppo, vale a dire, Joe Zawinul (tastiere), Wayne Shorter (sassofono), Jaco Pastorius (basso elettrico) e Peter Erskine (batteria) cui si aggiunge nei concerti in quintetto  Robert Thomas, Jr. (percussioni). Questa sorta di compilation da concerti inediti è stata curata e prodotta da Peter Erskine e Tony Zawinul (figlio del compianto Joe); le performances sono state registrate o dal data mixing engineer Brian Risner o direttamente dal pubblico (bootleg). Il tutto è completato da un libretto di 32 pagine scritto da Peter Erskine, con rare fotografie del periodo. I risultati sono assolutamente apprezzabili: abbiamo, infatti, l’opportunità di riascoltare il gruppo in uno dei momenti di maggiore creatività grazie anche all’innesto di quello straordinario fenomeno che fu Jaco Pastorius (lo si ascolti, tra l’altro, in due strepitosi assolo alla fine del CD 1 e nel quarto pezzo del CD 4). Ma è tutta la band ad esprimersi su livelli di eccellenza, evidenziando grande coesione con Zawinul e Shorter impegnati sempre a ricercare nuove vie espressive e un Peter Erskine che già allora dimostrava di essere uno dei batteristi più inventivi e originali della storia del jazz. Venendo ad una disamina più particolareggiata del cofanetto, va subito rilevato che lo stesso non è organizzato in forma cronologica: il primo e il terzo CD si riferiscono ai concerti effettuati in quintetto nel 1980 e ’81 mentre il secondo e il quarto sono dedicati al quartetto registrato durante il 1978. L’ascolto di questi album ci consente alcune considerazioni di fondo: innanzitutto se è vero che i Weather Report ottenevano grandi risultati in studio, è altrettanto vero che dal vivo la qualità delle loro esibizioni non era inferiore e questo indipendentemente dal fatto che il gruppo si esibisse in quartetto o in quintetto. In secondo luogo risalta evidente la maestria pianistica di Zawinul: troppo spesso si è considerato Joe un abilissimo assemblatore di suoni e un grande tastierista trascurando la sua dimensione pianistica: ebbene lo si ascolti nel duetto con Wayne Shorter che apre il secondo CD sulle note di una medley ellingtoniana (“Come Sunday” e “Sophisticated Lady”) per avere un’esatta percezione del suo pianismo. Infine viene ribadita sia la grande capacità del gruppo di controllare sempre e comunque le dinamiche sia la sagacia compositiva di Zawinul i cui temi resteranno nella storia del jazz: due titoli per tutti “Birdland” e “Black Market” registrati in quartetto alla Koseinenkin Hall di Tokyo il 28 giugno del 1978.

Les Ambassadeurs – “Rebirth” – World Village 479113
rebirth“Pop mandingo e groove inalterabile…Il gruppo faro delle nuove musiche africane è di ritorno”. Così recita la fascetta di presentazione di quest’album ed in effetti queste poche parole racchiudono mirabilmente il senso dell’album: il ritorno sulle scene di una band che ha fatto la storia della musica africana. Si era nel 1969 e il vocalist Salif Keita, stella di primaria grandezza, diede vita a questo gruppo che in breve conquistò dapprima il pubblico del Mali e poi dell’intera Africa dell’Ovest grazie alla fortissima carica ritmica, all’inimitabile groove e alla sincerità di ispirazione. E l’orchestra ha avuto anche una ragguardevole importanza sociale dal momento che ha indirizzato verso la musica moltissimi ragazzi che probabilmente avrebbero intrapreso strade diverse, più pericolose. Dopo l’esperienza africana e la fine di questa esperienza, in questi ultimi quaranta anni i singoli componenti degli “ambasciatori” si sono affermati singolarmente nel resto del mondo, divenendo tutti musicisti di primissimo piano . Anche di qui il favore con cui è stata accolta la rinascita della band nel 2015, per una tournée europea e questo EP di quattro titoli uscito a fine giugno in formato CD ed LP. L’organico è straordinario: oltre al già citato Keita, abbiamo – tanto per fare qualche nome – Amadou Bagayoko et Ousmane Kouyate alla chitarra, Cheikh Tidiane Seck et Idrissa Soumaoro alle tastiere, Sékou Diabaté al basso. E la musica non è da meno: fresca, trascinante, coinvolgente come nei primissimi anni ’70. Infine c’è un risvolto umanitario che non ci sentiamo di trascurare: Salif Keita è un albino e gli albini in Africa sono fortemente discriminati; lui ce l’ha fatta, ma per aiutare gli albini in Mali, è stata creta la fondazione “Salif Nantenin Keita” cui andranno i proventi ricavati dalla vendita dell’album.

The David Benoit Trio – “Believe” – Concord 37154
BelieveA chi predilige la musica d’avanguardia e/o improvvisata, poco o nulla dirà l’ascolto di questo album che invece presenta notevoli motivi di interesse per chi ama un jazz più tradizionale. In primo luogo la bontà degli esecutori. Il pianista, compositore e arrangiatore David Benoit si è conquistata negli anni una solida reputazione che gli ha fruttato per ben tre volte la nomination ai Grammy: nel 1989 per Best Contemporary Jazz Performance – Every Step Of The Way; nel 1996 per Best Large Jazz Ensemble Performance – GRP All_Star Big Band; nel 2000 per Best Instrumental Composition – Dad’s Room from Professional Dreamer. Identico discorso per la vocalist Jane Monheit anch’essa insignita di due nomination ai Grammy: nel 2003 , per Best Instrumental Arrangement Accompanying Vocalist(s)- “Since You’ve Asked” e nel 2005 per Best Instrumental Arrangement Accompanying Vocalist(s) – “Dancing in the Dark” , per non parlare della vittoria – nell’ormai lontano 1998 – alla Thelonious Monk International Vocalist Competition. I due avevano già collaborato pochi mesi or sono incidendo il cd ‘2 in Love’ dedicato alla voce e si sono ritrovati per questo disco che, pur nascendo con l’etichetta di ‘album natalizio’ in effetti è perfettamente fruibile in ogni stagione dell’anno. I due sono accompagnati dall’eccellente flautista Tim Weisberg e da una sezione ritmica di assoluta eccellenza composta da Jamey Tate alla batteria e David Hughes al basso cui si aggiunge in alcuni brani un’eccellenza della musica corale, l’ All-American Boys Chorus diretto da Wesley Martin. Come si accennava, il gruppo affronta un repertorio di canzoni natalizie che gli appassionati di jazz gradiranno certamente… anche perché tra queste figura la celebre “My Favorite Things” arrangiata dal trio e dalla vocalist. A questo punto è opportuno sottolineare ancora la levità, la delicatezza con cui i musicisti affrontano un repertorio facile se si vuol produrre semplicemente della buona musica d’ascolto, assai difficile se si pretende qualcosa di più. E crediamo che sia proprio questo il caso di David Benoit e Jane Monheit.

Chick Corea & Bela Flech – “Two” – Stretch Records 37992 02
twoPersonaggio complesso, immaginifico, visionario, Chick Corea sta attraversando molte stagioni del jazz lasciando sempre un’impronta ben visibile della sua arte. Egli appartiene a quella schiera di artisti che mai riposa sugli allori tentando sempre nuove vie, sperimentando continuamente contesti diversi, sonorità inusuali. E’ in quest’ambito che si iscrive la sua collaborazione con il banjoista Bela Fleck che oramai data da lunga pezza. In particolare Corea fu invitato da Bela Flech dapprima a suonare in tre brani nell’album “Tales From The Acoustic Planet” inciso con i Flecktones nel ’94 e quindi ad essere presente in altri tre brani nel doppio “Live art” pubblicato nel ’96. Dal canto suo Corea ricambiò la cortesia invitando il banjoista come ospite d’onore nel DVD “Rendezvous in New York” del 2005. Di qui una fertile collaborazione declinata attraverso varie tournées in duo e la realizzazione dell’album “The Enchantment” nel 2007 che ottenne grandi consensi tanto da guadagnarsi il sesto posto nella classifica di Billboard dei Top Jazz albums mentre Fleck riceveva una nomination al Grammy award per “Spectacle” nella categoria “Migliore composizione strumentale”. E non c’è dubbio che anche questo “Two” ottenga gli stessi favori di pubblico e di critica. I due CD contengono quattordici brani , di cui cinque scritti da Corea e sei da Fleck, cui si aggiungono il celeberrimo “Brazil” di Barroso & Russell presentato in versione tanto originale quanto convincente, “Bugle Call Rag” di Pettis, Meyers, Schoebel e “Prelude en Berceuse” di Henri Dutilleux compositore francese venuto meno nel 2013. Brani che provengono tutti dagli spettacoli che i due hanno portato in giro per il mondo negli ultimi sette anni. Quindi registrazioni live che ,come facilmente intuibile da quanto sopra detto, evidenziano la perfetta intesa tra i due: Chick e Bela sanno benissimo come rapportarsi, quando prendere l’iniziativa e quando lasciarla al compagno, in un gioco di rimandi che non conosce attimi di stanca. La loro comunicazione va al di là del fatto squisitamente musicale articolandosi anche su un piano molto più intimo tanto da toccare chi li ascolta con attenzione e partecipazione.

Bill Frisell – “When You Wish Upon a Star” – Okeh 88751
When you vishPersonalità complessa come quella del già citato Chick Corea, anche Bill Frisell è artista che non disdegna le sfide misurandosi su terreni non proprio facili. E’ il caso di questo album in cui Frisell affronta un repertorio tratto da film e dalla TV che sarebbe potuto risultare banale se non fosse stato illuminato dai lampi di classe di questo chitarrista. Frisell ci riporta ad un periodo non troppo lontano in cui James Bond imperversava sul grande schermo e i programmi televisivi si mantenevano ancora su standard accettabili; di qui una sorta di viaggio onirico in un passato ancora presente – ci si consenta l’ossimoro – in cui vengono rivisitati brani che ben conosciamo. Ecco quindi organizzati in forma di suite “To Kill A Mockinbird” di Elmer Bernstein, “Psycho” di Bernard Herrmann, “Once Upon a Time in the West” di Morricone, “The Godfather” di Nino Rota… e poi altri classici tratti e da film (“When You Wish Upon a Star” una canzone contenuta nel film Pinocchio, con testo di Ned Washington e musica di Leigh Harline, “Moon River” di Henry Mancini e Johny Mercer, “The Shadow of Your Smile” di Heywood, Mandel e Webster da “Castelli di sabbia”, “You Only Live Twice” di John Barry dal celebre “Goldfinger”, “The Bad and the Beautiful” scritto da David Raksin da “Il bruto e la bella” di Minnelli) e da serie televisive (“Bonanza” di Livingston-Evans, “Happy Trails” di Dale Evans) il tutto completato da un eccellente original di Frisell “Tales From The Far Side”. Come si accennava in apertura, Frisell affronta questi brani in modo assolutamente originale rivitalizzando il mistero insito in questa musica che oramai fa parte del patrimonio collettivo. In particolare Frisell e Kang dialogano mantenendo un grande equilibrio tra parte scritta e improvvisazione con Royston e Morgan che supportano il tutto con grande levità. Dal canto suo Petra Haden, pur non essendo un’interprete jazz, si presta assai bene all’intento narrativo del leader.

Ahmad Jamal – “Live in Marciac” – Jazzbook Records – CD + DVD 570078.79
lIVE IN mARCIACRecensire un album del genere è impresa quanto mai difficile: cosa, infatti, si può aggiungere che già non si sappia dell’arte di Ahmad Jamal? Praticamente nulla . Né, a memoria, ricordo un solo album del pianista che non sia stato all’altezza della situazione. E anche questo doppio (CD+DVD) non fa eccezione alla regola. L’ottuagenario pianista di Pittsburgh è registrato durante un concerto svolto a Marciac il 5 agosto del 2014 accompagnato dal bassista Reginald Veal, dal percussionista Manolo Badrena e dal batterista Herlin Riley. Il repertorio è lo stesso del concerto di Londra pochi mesi prima, vale a dire alcuni classici dello stesso Jamal e due standards con l’aggiunta, nell’occasione , di altri due pezzi “Silver” sempre di Ahmad e “Strollin’” di Horace Silver presentati proprio per omaggiare Silver venuto meno proprio pochi mesi prima del concerto di Marciac il 18 giugno del 2014. Quasi inutile aggiungere che Jamal nulla ha perso dell’originaria classe. Il suo pianismo è sorretto da grande tecnica, da un groove incessante e soprattutto dalla personalissima capacità di passare con grande disinvoltura da atmosfere raccolte e intimiste a brani caratterizzati da una forte carica ritmica, mantenendo intatta la sua cifra stilistica. Così, ad esempio, dal clima latineggiante di “Sunday Afternoon” eccoci trasportati nel delicato lirismo, in alcuni passaggi, di “The Gipsy”, per transitare successivamente allo spumeggiante swing di “Strollin”… fino al ben noto “Blue Moon” tutto giocato su un tempo veloce ottimamente sostenuto dai partners del pianista. E al riguardo non si può non evidenziare e l’affiatamento fra i quattro e il valore dei singoli che hanno avuto tutti la possibilità di porsi in primo piano, con uno strepitoso Reginald Veal spesso impegnato ad introdurre i brani sia da solo sia in trio con batteria e percussioni.

Stacey Kent – “Tenderly” – Okeh – Sony Music
TenderlyUna splendida voce, un’interpretazione intensa ma sempre ben calibrata, arrangiamenti raffinati, un repertorio che pesca a piene mani nel classico songbook americano: questa, in estrema sintesi, la carta d’identità dell’album in oggetto assolutamente sconsigliabile per quanti cercano la sperimentazione ad ogni costo. La vocalist si muove, infatti, in un contesto jazzisticamente canonico, potendo contare sulla collaborazione di eccellenti strumentisti quali Jim Tomlinson (suo compagno nella vita oltre che nell’arte), al sax tenore e flauto, il bassista Jeremy Brown e soprattutto il celebre chitarrista, compositore e produttore Roberto Menescal, a ben ragione considerato oramai da molti anni una delle personalità più importanti della scena musicale brasiliana. Nonostante Kent e Menescal appartengano a due generazioni diverse e abbiano background non assimilabili, sono tuttavia legati da un idem sentire musicale assolutamente straordinario. In effetti come la Kent era rimasta sin da piccola affascinata dalla musica brasiliana e dalla bossa nova, così Menescal aveva trovato in Julie London e in Barney Kessel una delle prime fonti di ispirazione. Sulla base di questi comuni amori per il jazz e la bossa nova, la loro reciproca stima si era già in qualche modo concretizzata nel 2013 quando il chitarrista aveva partecipato alla realizzazione dell’album “The Changing Lights” della Kent sonando in due brani, “O Barquinho” una composizione dello stesso Menescal e un original di Jim Tomlinson/Antonio Ladeira “A Tarde”. Visto il buon esito dell’operazione, i due hanno deciso di rincontrarsi per una collaborazione più estesa, che ha trovato un’esauriente esplicazione nelle dodici registrazioni contenute nell’album . Alle prese, come si accennava, con una serie di standard (cui si aggiunge “Agarradinhos” di Roberto Menescal e Rosalia De Souza) è stato quasi naturale trovare un terreno d’intesa nella modalità di approccio al materiale tematico quasi minimalista, con la voce di Stacey non particolarmente estesa ma sempre calda, suadente, a tratti emozionante, mai comunque sopra le righe, con la chitarra di Menescal a sottolineare ogni passaggio, ad evidenziare ogni più piccola sfumatura, con Brown e Tomlinson ad assecondare i preziosi arrangiamenti di Menescal tanto da non far minimante avvertire la mancanza della batteria. (altro…)

Dedicato a Sinatra il primo numero dell’anno di JAZZiT

Jazzit Frank Sinatra

È in distribuzione nazionale, in edizione cartacea e digitale, JAZZIT 92 [gennaio febbraio 2016], uno straordinario numero dedicato a Frank Sinatra, protagonista dell’ampia cover story monografica di oltre quaranta pagine, curata con passione e competenza da Sergio Pasquandrea . Le mille sfaccettature di una personalità così complessa e discussa come quella di “The Voice” vengono egregiamente lumeggiate attraverso un’analisi mai banale e sempre attenta a non disgiungere l’uomo dall’artista (altro…)

Torna The Unreal Book, la didattica firmata Jazz Club Ferrara

Il Jazz Club Ferrara – con il prezioso sostegno di Endas Emilia-Romagna – rinnova anche quest’anno gli appuntamenti didattici con la seconda edizione di “The Unreal Book”. Il ciclo di studi diretto da Piero Bittolo Bon e Alfonso Santimone, dedicato all’approfondimento di strategie improvvisative e repertori poco battuti all’interno dei canali “ufficiali” dell’insegnamento jazzistico, si svolgerà a partire dalla fine di febbraio (29/2) fino alla fine di marzo 2016 (7/3, 14/3, 21/3).
Gli allievi intraprenderanno un percorso che andrà snodandosi tra la libera improvvisazione ed alcuni elementi desunti sia dalla conduction di Butch Morris, sia dalle tecniche avanzate legate a “Cobra” (uno dei Game Piece di John Zorn), passando per una serie di esercizi di gruppo volti ad affinare l’ascolto reciproco, il gioco di squadra ed il suono dell’ensemble.
In questa seconda edizione sarà dato particolare rilievo alla responsabilità diretta dei musicisti nell’inventare originali modalità di improvvisazione atte a scardinare l’univocità del rapporto tra direzione ed ensemble. Parallelamente, il gruppo affronterà un repertorio composto da brani originali degli insegnanti, nonché da alcune pagine di importanti compositori quali Steve Coleman, Henry Threadgill, Tim Berne, Steve Lehman, George Russell, Bill Frisell ed altri ancora, che verrà eseguito nella cornice della jam session del Jazz Club alla luce dei nuovi strumenti acquisiti. In quest’ambito avrà ampio spazio anche lo studio delle tecniche di arrangiamento in tempo reale e differito.
Infine, a conclusione dell’attività didattica, il gruppo svolgerà un concerto in forma di saggio che aprirà il live della Tower Jazz Composers Orchestra in programma per venerdì 25 marzo. In quell’occasione saranno consegnati gli attestati di partecipazione. (altro…)

Le emozioni di Eduardo De Crescenzo sabato 20 febbraio all’Auditorium

Eduardo De Crescenzo essenze Jazz EDuardo De Crescenzo

Sabato 20 febbraio, all’Auditorium Parco della Musica di Roma, Eduardo De Crescenzo presenta “Essenze Jazz Event”, un progetto che rappresenta un personale bisogno del cantautore e vocalist partenopeo di ritrovare “l’essenza” dell’emozione, la ricerca di un suono che potesse rappresentarlo oggi e che invece è riuscito a materializzare e a fondere con sorprendente naturalezza e coerenza tutto il suo cammino artistico. “Essenze Jazz” è un concerto acustico, rigoroso eppure appassionato, antico e modernissimo perché porta in scena solo “l’essenza” dell’arte: l’emozione. Intreccia passato e futuro; i “generi musicali” hanno confini sfumati, relativi. Del jazz cattura le atmosfere, il gusto per la composizione estemporanea, lascia vivere con toccante emozione quella straordinaria capacità di Eduardo di far “suonare la voce”, di piegarla ora alle esigenze “del fisarmonicista”, ora a quelle del “vocalist” o “dell’interprete”. (altro…)