Un ricordo del sassofonista argentino scomparso il 2 aprile

Tempo di lettura stimato: 2 minuti

gato barbieri

Il tempo passa velocemente, troppo velocemente, eppure ce ne rendiamo conto soprattutto quando riflettiamo su noi stessi. Viceversa, se riserviamo la nostra attenzione al di fuori di noi, a persone che stimiamo e amiamo, stentiamo a realizzare che il tempo passa per tutti con la stessa identica velocità. Così quando apprendo dalla televisione che anche se n'è andato, stento a credere che avesse già superato gli ottanta. Ma com'è possibile? Sembra ieri che l'ho sentito al Music Inn di Roma; sembra ieri che me l'hanno presentato dopo la fine di un applauditissimo concerto; sembra ieri che ho ascoltato per la prima volta i suoi magnifici capolavori,” The third world” registrato a New York nel novembre del '69, la serie dedicata all' Latina,” Chapter one: Latin America”, “Chapter Two: Hasta Siempre”, “Chapter Three: Viva Emiliano Zapata”, “Chapter four: alive in New York”, “Bolivia” registrato dal vivo a new York, “El Pampero” dal vivo al festival di Montreux e poi, ovviamente, la colonna sonora di “Ultimo Tango a Parigi” che gli valse un Grammy e di cui tante volte mi aveva parlato il caro amico Mandrake partecipe di quell'incisione effettuata nel novembre del '72 a Roma, con un organico di straordinari musicisti tra cui Franco D'Andrea e un'orchestra diretta da Oliver Nelson.
E invece tutto ciò non accadeva ieri ma alcuni decenni fa, tanto che Barbieri al momento in cui è stato sopraffatto da una polmonite in un ospedale di New York aveva ottantatre anni, ma era stato attivo fino a pochi mesi prima. In particolare nel novembre scorso aveva vinto un Latin Grammy per l'eccellenza musicale a coronamento di una carriera straordinaria impreziosita da una quarantina di album noti e ascoltati in tutto il mondo.Gato Barbieri 2

L'argentino Leandro Barbieri, detto “Gato” per la velocità con cui a Buenos Aires si spostava da un locale all'altro, studia musica sin da bambino; impara a suonare il clarinetto a 12 anni ascoltando Charlie Parker, dopo di che passa al sassofono contralto. La prima svolta importante nel '53   quando suona con l'orchestra di Lalo Schifrin abbracciando definitivamente il sax tenore. La fama arriva negli anni '60 con il free e si fortifica con le citate registrazioni di jazz latino negli anni '70. Nel '62 arriva in Italia paese d' origine sia della sua famiglia che della sua compagna Michelle, e risiede a Roma dove si fermerà per qualche anno. Come spesso accade, la consacrazione mondiale non è frutto delle sue migliori produzioni ma della colonna sonora del film di Bernardo Bertolucci “Ultimo tango a Parigi”, nel 1972.
A mio avviso Gato Barbieri è stato uno dei più grandi sassofonisti della storia del jazz, sicuramente il migliore per quanto concerne il latin-jazz. Ricordo perfettamente l'enorme sensazione che mi fece quando lo ascoltai per la prima volta dal vivo nel novembre del '75 a Roma: non fu tanto la tecnica a impressionarmi quanto la straordinaria originalità del linguaggio, la capacità di incrociare gli stilemi jazzistici con la musica dell'America latina (alla luce anche di una certa visione politica terzomondista), la commovente vena lirica e soprattutto il suo personalissimo suono, così carico di pathos. Il suo sassofono non suonava ma parlava, alle volte gemeva e le note che uscivano dal suo strumento erano laceranti, strazianti. E questa sua caratteristica Gato l'ha mantenuta intatta nel tempo; ascoltavi il suono e lo riconoscevi immediatamente, era la carta d'identità di un artista che, dopo una lunga e perigliosa ricerca, era finalmente riuscito a trovare la propria identità in grado di articolare e proporre una poetica specifica.
Non credo ci sarà un altro Gato Barbieri!

Gato Barbieri disco

Articoli scelti per te:

Ti è piaciuto l'articolo? Lascia un commento!

Commenti

commenti

Shares