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Puglia Jazz Factory – “African Way” Parco della Musica Records

African Way “African Way”, il titolo non inganni, non è un disco etnico. E' che è ispirato dal tour effettuato dal gruppo in quel continente. Musicalmente parlando, l'album che Puglia Jazz Factory licenzia per Parco della Musica Records potrebbe anche esser definito Afroamerican Way perché trattasi di jazz, piacevolmente mainstream, comunque musica neroamericana che con l'Africa ha un'ascendenza, certamente, anzitutto storica. E storico/geografica se pensiamo che i fenici dalle coste della Siria si insediarono in Apulia ben prima dei Greci. Regione che, nell'immaginario odierno, viene vista talora a estive tinte afro/mediterranee: “è una terra / d'incroci dritti / come lame arroventate/ da un sole / che le dona / una speciale luce” (Silvana Palazzo, Poesie di un'estate, Manni). Ma, al di là delle associazioni di idee e rinvio a retaggi, veniamo al cd dei jazzisti “featuring” del collettivo PJF. Una selecao levantina di eccellenti solisti gemellati in quella FabbricaDiMusica/OfficinaDiSuoni che e' la Factory. La formazione è invitante: una line up con due sassofonisti, Raffaele Casarano e Gaetano Partipilo – esiste tutta una letteratura di jazz duets for two saxophones – che insieme rafforzano certe caratteristiche di nitidezza “nordica” del proprio strumento; ancora Mirko Signorile, a piano e tastiere, destro nei dosaggi, nei saliscendi armonici, e nell'amalgama col resto della sezione ritmica che vede a basso e contrabbasso e Fabio Accardi alla batteria, forse le componenti più “nere” della formazione per forza e precisione percussiva. Del 5et si era apprezzato il precedente album “From The Heel”, del 2012, registrato per la stessa label capitolina; del resto Puglia Jazz Factory era nata l'anno prima come produzione del Roma promosso dalla Fondazione Musica Per Roma. Una “missione” all'Auditorium Parco della Musica che si era rivelata beneaugurale anche a livello di apprezzamento generalizzato del relativo disco. In questo caso va all'occhio anzi all'orecchio il come la successione degli otto brani paia seguire un'alternanza forte/piano nel senso che sono sistemati in modo da metterne in evidenza la varietà e variabilità. Ed ancora qui piace pensare alla diversità interna della Puglia, alle chiese di Nardò e al mare di Vieste, a Gravina sotterranea ed a Bari vecchia, alla cattedrale di Trani e a quella di Ruvo, al Gargano e al Salento, alle Murge e al Tavoliere. In fondo il sentire un disco è fatto pure di visioni che afferiscono al personale vissuto di ognuno. E questo album si presta a stimolarle. Il jazz lavora sull'inconscio. Socraticamente maieutico, può condurre l'ascoltatore verso la riconoscibilità di sé stesso.

Sospensiva – “L'insostenibile leggerezza dell'estasi” – Dodicilune

L'insostenibile leggerezza dell'estasiLa prolifica label Dodicilune presenta “Sospensiva. L'insostenibile leggerezza dell'estasi” un progetto discografico che vede affiancati la cantante Paola Arnesano, il clarinettista Gabriele Mirabassi, il pianista Alessandro Galati, il contrabbassista Attilio Zanchi e il batterista Walter Paoli. Il quintetto si cimenta con destrezza e giusta intensità nel rendere in musica un'Idea, quella dell'attesa estatica, della sorpresa incombente, della sospensione insostenibilmente leggera… “Il piacere si consuma dentro di se'/ lascia un varco aperto e accoglie nudità/ Scavando giù è lavico / l'estasi è insostenibile ” cosi intona la vocalist il suo stesso testo che dà il sottotitolo all'album. Cellule poetiche, pillole di pensiero sfarinate qua e là, a far da coagulo ai suoni che gli strumentisti producono, e che ben si innestano nella sequenza dei dieci brani velati da questa sensazione di inclinazione/proiezione … Sembra musica eloquiale quella di “L'araba Fenice”, brano d'apertura, che poi si sviluppa in una dimensione ampia di fusion(i) sonore grazie all'ingresso in scena di Mirabassi, canto e controcanto, alle accelerazioni dosate del ritmo, alle scale sinuose delle tastiere, per un piacevole mainstream, che ricorda certi Metheny/Mays d'annata. ” Chorinando”, di Zanchi, denota tinte di saudade latina su tempo di samba, con escursioni all'unisono di clarino e voce su filo di lana. A seguire, “Jody” è una ballad della Arnesano, che aveva già firmato il primo brano (ma anche “Lella”, una simpatica marcetta “tangueira” con gorgheggi e scat) che fa apprezzare – ed è questa, per chi scrive, una sorpresa – l'attitudine al verso dell'Autrice/interprete già dall'incipit “Cielo è quello che è intorno a te”. Con “Cubicq” è Galati a sfoderare una vena compositiva di prim'ordine, confermata nei successivi “Il rumore silente dell'Io”, di grande bellezza, e poi “Spazi inquieti” ed “Essenze”. Un pianoforte non complementare, il suo, che agisce paritariamente nella costruzione del sound complessivo. Potrebbe sembrare arduo che musicisti provenienti da estrazioni ed esperienze anche diverse si coniughino per declinare un tema non specificamente musicale, in fondo filosofico. Eppure, l'amalgama si compie. E il Senso, alla fine, si rivela.

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