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domenico nordio

Dobbiamo ripeterci. Il perché la musica italiana risulti estromessa dal repertorio corrente rimane un mistero, partiture alla mano, non spiegabile.
Non mi riferisco qui tanto al concerto di Castelnuovo- Tedesco il quale, se pure certo non sfiancato da troppe esecuzioni, si conosce tuttavia almeno per via dell' enorme fama del dedicatario, Jascha Heifetz, che consegnò al disco la sua interpretazione (oggi pubblicata da Naxos). L'oblio che circonda il bellissimo Concerto di Alfredo Casella non è motivato da circostanze di ordine musicale: poiché qui regna l'invenzione più fervida, e la più riuscita resa strumentale.
Scritto nel 1928, dopo che il compositore aveva contratto per sua stessa ironica ammissione “il morbo atonale”, è un'opera fiammeggiante che descrive un mondo in perenne moto. Il compositore sa sognare e concepire la musica secondo un concetto di puro timbro, nel quale i gruppi strumentali contrapposti al solista fungono da riflettori, quasi oggetti metallici posti sul limitare di una superficie assolata. In questo senso, e in questo soltanto, il lavoro è paragonabile ad analoghe esperienze dodecafoniche con le loro “melodie di timbri”. Ovviamente il linguaggio adottato qui è più stratificato. L'armonia in particolare ha un suo gradiente, e colori primari vividissimi.
Per il melodizzare, si potrebbero in questo Concerto spendere i nomi di Bartòk e di altri modernisti numi tutelari, alle cui ragguardevoli personalità manca forse, rispetto al Casella, quel geniaccio melodico tipicamente italiano che, con buona pace di chi snobba la nostra musica, ci fa sorpassare non pochi altri genii. L'autore qui sa anche come sviarsi, di quando in quando, dal complesso castello da lui stesso edificato, per rifugiarsi nel canto e nella contemplazione estatica.
Se il Concerto caselliano è, per la libertà innovativa, opera essenzialmente poetica dove regnano le leggi delle più pure associazioni e i voli pindarici, ecco che con Castelnuovo si squadernano nobilissime pagine di prosa.
Massimo Bontempelli affermava che, con il dio Pan, la poesia classica aveva terminato il suo lavoro. Non gli sarebbe piaciuto, pertanto, il secondo concerto per violino e orchestra del compositore fiorentino, “I Profeti” scritto nel 1932 ma spiritualmente appartenente al passato. Una colpa, forse, in quell'epoca. Allora, il presente era – in parte anche per via della recente eredità futurista- tutto proteso a farla finita con la tradizione, vista come un annoso tedio da rivestire con i sorrisi, in attesa dell'avvento della “terza epoca”.
Quale prestigioso passato però!, osserviamo più modestamente noi. Chè, mentre nel Casella l'armonia è forse al centro della scena, per Castelnuovo tutto muove dalla melodia. Melodia che descrive, narra, evoca e ritrae; come l'opera tutta, del resto, di questo autore convintamente neo-romantico. Il Concerto ingloba tre vittoriosi ritratti dei più importanti Profeti dell'Antico Testamento; il linguaggio coniuga, in senso dannunziano, oratoria e poesia traducendole in effetti impressionanti. Oltre al valore del compositore, si ha modo di apprezzare anche quello dell'interprete, chiamato non tanto ad una mera esecuzione quanto ad una fantastica recitazione drammatica.
E' difficile enucleare la qualità migliore di Domenico Nordio, strumentista che di doti artistiche è ricco come pochi altri. Dovessi citarne una direi: l'originalità. Non si tratta di capricciosa baldanza o narcisismo, quanto di obbedienza a un sicuro istinto poetico che gli è, per dirla con Francesco Flora, di argine non meno che di stimolo. Le sue letture si collocano ai vertici, e presentano una qualità di rigorosa follia che le rende irrinunciabili, per tacere di una maestria strumentale che teme, come noto, ben pochi confronti. Molto bene anche l'Orchestra della Svizzera Italiana e il direttore, Tito Ceccherini, ben capaci di restituire quella sfavillante ricchezza di cui si diceva più sopra. Un disco molto bello e importante, prodotto dalla Sony, sorretto da un'ottima qualità d'incisone.

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