I due opposti espressivi di un artista che vuole comunicare

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Massimo Barbiero, Mantis, autoproduzione 2016
Massimo Barbiero: batteria, marimba, vibrafono, glockenspiel, timpani, bodhrán, gong, percussioni, electronic drums

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Odwalla, Uomo invisibile, autoproduzione 2015
Massimo Barbiero: marimba, vibrafono, percussioni
Matteo Cigna: vibrafono, percussioni
Stefano Bertoli: batteria
Alex Quagliotti: batteria, percussioni
Doudù Kwateh: percussioni
Doussu Tourrè: djembè
Andrea Stracuzzi: percussioni
Israel Varela: percussioni
Marta Raviglia, Sabrina Oliveri, Gaia Mattiuzzi, Manuel Attanasio: voce

Quando si ascolta Massimo Barbiero, specie se lo si ascolta in solo, bisogna far precedere all' ascolto una manciata di secondi di concentrazione sul silenzio.
E' importante dire questo, perché Barbiero sembrerebbe ascoltare prima di tutto proprio il silenzio, che diventa parte fondamentale della sua profonda e continua ricerca di suoni. Una ricerca prima di tutto emotiva, una ricerca di significati tutt'altro che solo estetizzanti. Ma è anche una ricerca che vuole essere espressiva, che vuole arrivare a chi ascolta, colpirlo, renderlo empatico.
Barbiero suonando insegue se stesso e cerca di arrivare a chi ascolta. E' un flusso di suoni che respirano anche di rarefatti silenzi che diventano suoni anch'essi, incorniciando, sottolineando, sfumando e parlando intrecciati ai metalli, ai legni, alle pelli.
Mantis è composta da una suite, ” La via di Morgana“, che si dipana in tredici brani ma che si può decidere anche di ascoltare senza soffermarsi sulla sua segmentazione, facendo diventare musica anche i silenzi che separano un brano dall' altro.

Perché il bello è passare dai metalli che tintinnano e si contrappongono alle pelli nel registro grave, come due facce della stessa medaglia (Cerchi), fatte di domande e risposte con incursioni reciproche, all'atmosfera sospesa ed onirica di Nausicaa, che ti culla con la sua struttura pentatonica. Passare dagli intervalli di quarte e di quinte e i timbri a contrasto di Circe alla marimba, così congeniale a Barbiero, del Canto di Ismene, con il suo incipit lieve ed il suo progressivo intensificarsi e di nuovo diradarsi, tanto da apparire come un continuo riflettere su idee musicali che nascono e vengono amorevolmente accudite, mai dilapidate subito. Dai battiti così melodici de L' Ultima Strega, accompagnati dal ritmo incalzante della batteria, all' atmosfera fiabesca de La Rete, con un glockenspiel tutt' altro che tonale, ma piuttosto indefinito e magico. E così trasportati dal Bodram, dai Gong, dai metalli che prevalgono sulle pelli in Yavonna al vibrafono di Tempus Fugit, si approda alle note prima potenti poi rarefatte, ma anche alla ricerca continua degli armonici nelle note lunghe, in quegli “strascici” indefiniti di suoni che sono essi stessi musica, come il silenzio che li separa l' uno dall' altro. In meno di un' ora che potrebbe essere un minuto come un giorno, ti ritrovi al leit motiv della musica di Barbiero, quel Cristiana che hai sentito in ogni suo disco e che pure è così cangiante, ogni volta.

Barbiero in solo è intimista eppure fortemente espressivo.
Barbiero con Odwalla, ovvero con la sua formazione più nutrita di musicisti, strumenti, suoni, arti, voci, movimenti è espressivo eppure fortemente intimista.
Odwalla è il contrario del solo. Ascoltare “Odwalla uomo invisibile”, ispirato nei testi recitati da Marta Raviglia al romanzo “Uomo invisibile” di Ralph Waldo Ellison, è compiere un altro viaggio, diverso, deflagrante, che non puoi solo sognare da solo nel silenzio ma che devi anche guardare, nel quale ti devi sdoppiare – e non basta – tra musica, testi (e se hai assistito allo spettacolo) danze, musicisti, perché è quasi un urlo collettivo che scuote da quel sentirsi invisibili. Collettivo eppure così intimo, anch'esso. Ognuno è uomo singolo, e quell' invisibilità è solitudine: si torna al solo, al bisogno di esprimersi, di uscire da se stessi e comunicare.
Ecco cosa rende l' ascolto della musica di Massimo Barbiero un' esperienza che avvince e frastorna, e scuote, anche: è il suo bisogno, contagioso, di fermarsi a riflettere ma è anche il suo desiderio urgente di incontrare gli altri per comunicare. Da solo con i suoi battiti e con le sue melodie, o con tutti i suoi strumenti e musicisti e danzatori e voci: ma il suo è un richiamo, al quale è quasi impossibile non rispondere, e per il quale è impellente trovare una risposta esistenziale.

 

 

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