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I NOSTRI CD

Roberto Cecchetto Core Trio – “Live At Cape Town” – NAU

Live at cape townSi respira aria di , in “Live At Cape Town”, album che il chitarrista Roberto Cecchetto ha affidato ai tipi musicali della NAU, praticamente in ognuno dei brani registrati due anni fa nel detto Cafe' milanese. Già in “Nowhere Man”, titolo che ricorda l'Uomo senza luogo beatlesiano, sigilla il numero 01 della collana, senza che dal suo Core Trio traspaia una precisa collocazione stilistica. In realtà quello a cui si guarda è un mondo di suoni affrancato e libero, così come nella slappante “Easy Walker”, dall'iniziale fraseggio a due fra il basso elettrico di Andrea Lombardini e la batteria di Phil Mer; e più avanti la chitarra elettrica a far da collante al loro dialogo.
La dimensione di musica in action assume, in “That Evening”, i contorni di una ballad costruita con tavolozza di impressioni del momento e colori mutanti.
L'impronta dell'istantaneo è ancora più forte nella successiva “Core Awake” dall'improvvisazione permeata di suoni concreti, richiami elettronici, sprazzi cyber, affreschi free. Poi rimossi in “Daylight”, dove l'ispirazione vaga sulle ali di un ritmo costante e contemporaneo. Nella successiva “Gift”, vero e proprio inno alla musica, Cecchetto conferma il proprio chitarrismo essenziale, sfrondato, incentrato sulla timbricità dello strumento e sull'attenzione armonica di accordi e di sequenze melodiche che vi si posano. Ed è, questa, una composizione-Manifesto per il nostro “Roberto Cecchetto Experience” per un album che trasuda il calore degli applausi “veri” della esibizione dal vivo. Infine” Waiting List” disegna a tratti uno scenario post Jazz/Rock che di fatto si rivela un laboratorio di fusione nel Nucleo (Core, in inglese) di filoni differenti: nota per nota, nota su nota, mentre il drumming si fa insistente e insegue a ruota il beat, il battito scandito dalle linee di basso; con la sei corde del leader del Trio proiettata verso innovativi spazi extratonali, extramodali, extraformali, “sitting in his nowhere land” pur tenendo fermo il centro di gravità della propria musica.

Giancarlo Mazzu'/ Luciano Troja – “Tasting Beauty” – Slam Records 563

Tasting BeautyRegistrare a New York fa bene allo spirito … jazzistico. E' la prima cosa venutaci in mente al cospetto di “Tasting Beauty”, recente creatura discografica del duo formato dal pianista Luciano Troja e dal chitarrista Giancarlo Mazzù, prodotto in studio a Brooklyn, presso il Wombat Recording Co. Ciò a prescindere dal dato della levatura tecnica dello staff fonico. E' che, avendo già avuto occasione di ascoltare lavori dei due musicisti dalla collaborazione più che decennale, fra cui alcuni di stampo più classico del chitarrista e quello fondamentale su Zindars del pianista, questa produzione a marchio Slam pare ancor più impregnata del sacro fuoco dell'arte musicale afroamericana. Ed è quanto si riscontra non solo nel Blues For Giuseppino, tanto per fare un esempio, cosa tutto sommato abbastanza naturale in un tipo di organico che annovera, nel proprio olimpo, grandi accoppiate quali Petrucciani/Hall e Peterson/Pass. Così come nella composizione d'apertura, quella da cui trae titolo l'album, una sorta di habanera carica di consonanze da Nuovo Mondo. E' soprattutto in alcune ballad – Quando Amavamo l'America – vere e proprie occasioni to taste the feeling, che si può gustare l' interplay jazzistico, seppure frammisto di echi colti e popolari, del sodalizio. Si ascolti in proposito Qui, commento in note a un sogno, quasi un film muto, in cui appare sullo sfondo la banda di un paesino della Sicilia di Troja, “ponte” ideale sullo Stretto di Messina verso la Calabria di Mazzù. Forse l'unico momento, diciamo, di concessione dichiarata alle origini, al genius loci. Almeno in apparenza. L'anamnesi, nel senso platonico di reminiscenza delle idee, non consente, in questa sede, approfondimenti. Ancora, se si guarda a Somiglia, brano costruito ed eseguito in 6 misure, l'approccio, l'esecuzione, l'interpretazione sono neroamericani. C'è spazio per una dedica sonora a Barbara e Blaise, amici newyorkesi, prima di aprirsi alle visioni di Natural Wisdom e di Village Flowers e al saettante di Fat Mouse in Brooklyn. La chiusura è un ritorno a un concerto in Italia, con Caserta, a suggellare il decalogo creativo scritto da due esteti di quel Bello Sonoro che anche nuove forme espressive ed improvvisative possono ovunque configurare.

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