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Il grande direttore magiaro Ferenc Fricsay (1914-1963) divenne famoso, oltreché per le equilibratissime interpretazioni di un vasto repertorio, anche per aver costituito un’orchestra, la RIAS (Radio nel Settore Americano) destinata a divenire sotto la sua guida un organismo ammiratissimo in tutto il mondo. «Per un interprete è doveroso suonare tutto. Non si deve mai insistere su un compositore in particolare». Così ammoniva, e fu coerente. Allievo dei grandi musicisti-docenti dell’Accademia Liszt di Budapest (Bartók, Kodály, Weiner ) Fricsay era un polistrumentista, caso raro già fra quanti la musica la suonano, figuriamoci tra i direttori. Altra qualità fu la grande apertura culturale, che lo avvicina forse solo a Mitropolous. Non a caso l’incarico berlinese gli venne affidato con due opere nuove: “Dantons Tod” di Gottfried von Einem e “Le vin herbé” del compositore svizzero Frank Martin, autori che non erano certo delle ‘pop star’. La morte prematura a 59 anni, nel 1963, consegnò quindi agli archivi del mito un nuovo nome intramontabile. Karajan, dopo la morte di Furtwängler, prese il timone della Filarmonica di Berlino e la trasformò, come noto, nella migliore orchestra del mondo, ma l’eccellenza raggiunta dalla RIAS di Fricsay non fu inferiore. Anzi: se è vero che il gregge vincolò il nomade Karajan a seguirlo, le scelte direttoriali di Fricsay e della sua orchestra, meno vincolati allo star-system, furono in certo qual modo più libere. Particolarmente feconda poi fu la naturale collaborazione con alcuni compatrioti come i pianisti Géza Anda, Andor Foldes e Louis Kentner e il grande violinista Tibor Varga. Una squadra di talenti che poteva gareggiare, senza sfigurare, con le agguerrite falangi delle più importanti nazioni musicali quali la Russia e l’America e anche, perchè no, la “valanga azzurra” dei Cantelli, Votto, Michelangeli, Ferrara, Zecchi, Pollini. La personalità di Fricsay può apparire meno spiccata di quella di altri più noti contemporanei, come il sopracitato Karajan o Sergiu Celibidache, ma solo per l’indole. A lui potrebbe adattarsi benissimo l’affermazione di Montaigne: “La gente guarda sempre avanti a sè, io guardo dentro di me”. Ferratissimo tecnicamente, mai fu prono ad alcunché di diverso dalla la musica in cui fermamente credeva. Tutto esce sempre necessario, in piena naturalezza e senza spazio per l’effimero. Egli tra l’altro ripristina, vorrei dire incarna, un gusto architettonicamente neoclassico in contrapposizione alle ondate di modernismo che stavano dilagando nel dopoguerra, per ogni dove. Tale visione però non è reazionaria, si tratta di una volontà naturale di perpetuare la fiamma dell’equilibrio, la passione per la forma e le proporzioni, e non ‘usque ad mortem’ ma come necessità primigenia dell’arte. In questo egli, è vero, fu un po’ messo in ombra da figure dionisiache (certamente grandissime) come Bernstein o Kleiber, o come il più messianico di tutti, Herbert von Karajan, ma non sempre coraggiose quanto lui. Due stupendi cofanetti DG presentano allora un’ampia retrospettiva di questo grande direttore, il primo della produzione sinfonica, il secondo di quella operistica. Impossibile citare qui tutti gli autori inclusi, che sono millanta. Maestro di lòica, appartenente meno alla specie dei funamboli che a quella dei seduttori, Fricsay è interprete amabile sempre. Tra i partner strumentali, oltre agli ungheresi di cui sopra, non si può non citare la pianista Clara Haskil, con la quale realizzò fra l’altro alcune forse insuperate incisioni di concerti mozartiani. I ‘suoi’ italiani, direbbe forse Massobrio, sono spumeggianti, o radiosi come certi piatti di agnolotti che allietano l’anima; i russi per contro risultano privi di quel dolorismo slavo che appesantisce: last, but non least, eccelse nel sinfonico come nell’opera, qualità unica più che rara. Dischi assolutamente da conoscere.
Concludo: queste ristampe in cofanetto sono una vera manna dal cielo. Permettono di collezionare, e collazionare, incisioni che a volte si erano perse, inoltre vengono proposte in confezioni molto pratiche, sobrie ancorché eleganti. E ad un prezzo assai più che ragionevole.

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