Intervista con il presidente dell’associazione “Syntonia Jazz”

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Andolfi e Bona

Abbiamo sempre sostenuto che oggi un Festival del Jazz si giustifica nella misura in cui non si limita a proporre musica, seppure di qualità, ma serve a valorizzare un territorio con tutte le sue risorse culturali e imprenditoriali. E la conferma, se pur ce ne fosse stato bisogno, viene dal Sant’Elpidio Jazz Festival che domenica 17 luglio ha vissuto la sua serata inaugurale con l’applaudita performance di Richard Bona & Mandekan Cubano, di cui riferiamo in altro articolo. Ebbene, ci siamo recati a ‘Sant’Elpidio a mare’ e abbiamo scoperto una realtà che non conoscevamo. Innanzitutto un paese splendidamente tenuto, ricco di suggestioni: arrivando si notano immediatamente i resti dei tre kilometri della cinta muraria (XIII e XIV secolo) medioevale, mentre delle sette porte originarie ne sono rimaste solo tre. Nella piazza centrale si ammira la splendida Torre gerosolimitana, ultimata nel XVI secolo dai Cavalieri Gerosolimitani, con un’altezza di circa 28 metri ed una forma quadrata (circa 8,19 metri di lato) con spesse mura perimetrali (1,60 metri). Nella stessa piazza la Basilica di Santa Maria della Misericordia ben conosciuta, questa sì, al mondo degli organisti perché è una delle tre chiese italiane ad ospitare, uno di fronte all’altro, due straordinari organi a canne. Non è un caso, quindi, che in questa località, organizzata dall’Accademia Organistica Elpidiense si svolga ogni anno una serie di concerti dedicati per l’appunto all’organo.
Ma, quel che più ci interessa in questa sede, è il Festival del Jazz che, come si accennava, ha preso il via domenica 17 luglio. Sul significato e la valenza di questa manifestazione, prima del concerto inaugurale abbiamo intervistato Alessandro Andolfi, imprenditore, presidente dell’associazione “Syntonia Jazz” nonché, al di là delle cariche, vera e propria anima della manifestazione.

-Lei è un imprenditore di successo; come Le è venuta la malsana idea di organizzare un Festival del jazz?
No, perché sgradevole? E’ la passione che mi ha spinto e anche il desiderio di fare qualcosa che in un certo modo potesse essere utile alla mia città e ai miei concittadini.

-D’accordo; ma come Le è nata questa idea?
Era il 1991 e mi trovavo a Boston per studiare la lingua. Senonché in quel periodo mi dilettavo anche a suonare il pianoforte. Così quando mi resi conto che a Boston c’era una scuola prestigiosa come la Berklee, decisi di iscrivermi. E ne rimasi letteralmente affascinato. Tutto era organizzato magnificamente e dallo studio si traeva un effettivo giovamento soprattuto era utile nel maturare la conoscenza e il gusto musicale. Così un giorno chiesi a Jack Perricone, insegnante di armonia alla Berklee ‘ma perché non portiamo queste classi in Italia?’ e lui, molto seraficamente, mi rispose “ MAKE A PLAN”‘vai e fai’. E io così feci.

-Cioè
Tornato in Italia, tornato a Sant’Elpidio a mare, con la collaborazione di GREG BURK, insegnante della Berklee, e di LUISA MARINO della Ediat di Boston , organizzai subito delle master-class che ebbero un successo strepitoso anche perché i corsi erano tenuti da insegnanti prestigiosi, provenienti anche dal tempio sacro della musica jazz, per l’appunto il Berklee College of Music di Boston . Avevamo molti ragazzi entusiasti. La cosa andò avanti per qualche anno, poi, a causa del terremoto in Umbria-Marche, una delle strutture diventò inagibile. Poi decisi, a malincuore, di chiudere (per un po’) quella esperienza. Ma a questo punto molti mi chiedevano che, finite le master-class almeno in qualche modo la musica jazz continuasse ad avere diritto di cittadinanza nelle nostre zone e io ho cercato di accontentarli. In effetti, parallelamente all’attività didattica si era nel frattempo sviluppata un’intensa attività concertistica che si è concretizzata dapprima nell’organizzazione di vari concerti di jazz e di gospel, e quindi nel varo del “SANT’ELPIDIOJAZZ FESTIVAL”

Andolfi

-Come si è integrato il Festival nell’ambito territoriale?
Direi piuttosto bene. Dal 2000 quando ci fu la prima edizione del Festival, molte cose sono accadute ma mi sembra di poter dire che l’entusiasmo mai è venuto meno. Come lei ben sa i tempi sono molto difficili. Le risorse per il Festival sono recuperate in parte dalle pubbliche autorità, in parte dagli sponsor istituzionali e privati e in parte dagli incassi di tutte le persone che arrivano numerose da tutta la regione e da varie parti del nord e sud Italia. . Come si legge nel volantino sono abbastanza numerosi gli sponsor privati che ci danno una mano, segno evidente che il Festival è visto con favore anche dagli imprenditori che agiscono sul territorio.

-A proposito di territorio, io ho dato una rapida scorsa anche ai programmi degli scorsi anni e ho potuto rilevare come gli stessi si siano sempre mantenuti su standard piuttosto elevati. Pensa che il Festival si renderà ancora più conosciuto in campo nazionale?
L’organizzazione del Festival è portata avanti dalla amministrazione comunale in collaborazione con la nostra associazione Syntonia jazz ,un gruppo di sette otto persone che operano nel volontariato , siamo tutti no profit, e dedichiamo quindi gran parte del nostro tempo libero al festival. Si è preferito sempre puntare sulla qualità del cartellone, ma a partire dalla passata edizione 2015 le cose sono cambiate e lo dimostra il fatto che sono venuti giornalisti di rilievo nazionale come Lei e anche altri da varie parti di Italia; la notorietà in campo nazionale è subito ulteriormente cresciuta a macchia d’olio , tramite interviste e servizi, su rai3, skyline tg 24 , radio uno ,Panorama ecc.

E allora parliamo di cartelloni. Quali sono i criteri che segue nella scelta degli artisti?
Penso che innanzitutto sia la serata inaugurale sia la serata finale debbano ospitare artisti di grosso spessore che possano assicurare qualità e nello stesso tempo richiamare pubblico, senza per questo scendere a compromessi di bassa lega. Per il resto la manifestazione deve articolarsi su appuntamenti variegati che, sempre restando fedele ad un criterio di qualità, possano accontentare palati differenti con gruppi musicali diversi ,immaginando le emozioni della loro musica, così come si crea una composizione artistica. Ad esempio, quest’anno, la performance di Richard Bona piacerà soprattutto agli amanti dell’afro-latino mentre Cyrus Chestnut soddisferà quanti prediligono un jazz più canonico, ma di altissimo livello… e via di questo passo.

-Come è cambiato il pubblico nel corso di questi anni?
Tante persone mi dicono che hanno cominciato ad amare la musica colta proprio tramite il festival raccontando che con questa musica ci sono cresciuti, accompagnando quindi una parte dell’infanzia e della loro evoluzione culturale. Altri di età più matura, si sono compiaciuti del fatto che in piazza Matteotti hanno potuto vivere esperienze di concerti che avrebbero ascoltato solo in qualche capitale europea o mondiale. La formazione nostra , della nostra associazione e del pubblico quindi si è evoluta negli anni di pari passo , con una crescita reciproca, lasciando sul territorio un patrimonio culturale notevole e durevole, che non si improvvisa.
Le emozioni della musica e le esperienze dei concerti ,diventano parte del bagaglio culturale di ognuno di noi , sono come mattoni che costruiscono la nostra personalità e rimangono scolpite nella memoria, come i ricordi e le emozioni di un bel viaggio che diventano poi indimenticabili.

-In tutto questo periodo alla guida del Festival, c’è un qualche episodio che ricorda in modo particolare?
Per sottolineare comunque l’umanità degli artisti , mi aveva colpito il famoso sassofonista Francesco Cafiso ora famosissimo e allora tredicenne , che giocava per i vicoli e in piazza Matteotti a indiani e cow boy, con mio nipote Michele ,suo coetaneo e dopo un’ora era sul palco a duettare con una impressionante naturalezza , insieme al grande trombettista Kenny Wheeler allora settantacinquenne.

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