Presentato il 10 ottobre alla Feltrinelli di Milano il nuovo cd dei due chitarristi

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La Feltrinelli di Piazza Piemonte a Milano ha ospitato, lunedì 10 ottobre, la presentazione del nuovo lavoro eponimo dei chitarristi Antonio Onorato e Franco Cerri. Il disco, tutto registrato in Friuli Venezia Giulia in studio e dal vivo (ai Master Studio, sul finire del 2015 e al Teatro Palamostre di Udine il 2 dicembre 2011), è prodotto dalla Abeat Records di Mario Caccia, imprenditore/musicista illuminato nelle cui produzioni è sempre prioritario l'aspetto qualitativo. Caccia ha aperto la serata milanese raccontando del legame con Cerri, che considera – a ragione – un'istituzione del jazz mondiale e con il quale ha inciso Barber Shop I e II (quest'ultimo uscito in occasione del novantesimo compleanno del maestro, festeggiato nello scorso gennaio in un sovraffollato Teatro del Verme di Milano, con 1500 persone all'interno e altrettante fuori!)
Alla Feltrinelli, davanti ad un numerosissimo pubblico e introdotti dal direttore di Musica Jazz, Luca Conti, i due musicisti hanno spiegato la genesi del progetto, soffermandosi sul rapporto di amicizia e di stima reciproca che li lega da anni.
Sebbene vi sia tra loro un gap generazionale considerevole, Cerri e Onorato sembrano aver trovato una perfetta quadratura del cerchio, sotto ogni punto di vista: c'è un feeling speciale tra loro, così speciale che il suo flusso si propaga tra gli spettatori, come un balsamo riparatore dell'anima.
Il duetto di chitarre esiste sin dai primordi del jazz, quel jazz dell'essenza suonato da Cerri e Onorato, quanto mai necessario in tempi in cui la sperimentazione e la ricerca sembrano essere dominanti ed imprescindibili nelle nuove generazioni di jazzisti. La mia affermazione non è una difesa ad oltranza di una certa ortodossia del jazz o di ancoraggio a cliché retrivi, anzi… trovo sacrosanto che si superino le sue limitazioni formali; tuttavia, si avverte (io, almeno) anche il bisogno di ritrovare quell'imprinting stilistico, quel lascito dei grandi maestri, fondamentale per sviluppare qualsiasi processo evolutivo musicale.
E parlando di imprinting, sembra proprio che Antonio Onorato abbia saputo fare tesoro degli insegnamenti ricevuti sin da quando, chitarrista sedicenne più vicino al rock e al blues, si era avvicinato al jazz dopo aver ascoltato “Nuages”, LP del 1975 che già nel titolo dimostrava la passione di Franco Cerri verso il caposcuola del gypsy jazz, Django Reinhardt. Sembra che il disco, prestatogli da un amico e mai più reso, sia conservato da Antonio come una preziosa reliquia, San Gennaro style!
antonio-onorato-e-franco-cerriFranco Cerri è senza dubbio il jazzista più importante in Italia e un colosso della musica mondiale. A novant'anni suonati stupisce ogni volta che imbraccia la sua chitarra su un palco – che continua imperterrito a calcare ovunque lo porti la sua musica – e ancor più per la freschezza dei suoi arrangiamenti sempre raffinati e nei quali si sente tutta la sua vasta cultura musicale e la sua infinita classe.
Anche in questo splendido cd, irrobustito dalla compatta sezione ritmica dei friulani e Simone Serafini (rispettivamente alla e al contrabbasso) alcuni brani sono arrangiati da Cerri. Munasterio ‘e Santa Chiara, un classico della migliore tradizione musicale napoletana, viene “pittato” (è il termine che ha usato Antonio!) dal chitarrista milanese attraverso un arrangiamento armonico, meravigliosamente pulito, che ti riporta a quella Napoli di un tempo che fu, quella di De Filippo, di Totò, di De Sica, ma solo come delicata suggestione e non con rimpianto, perché sui rimpianti non si costruisce nulla…
A Milano Antonio e Franco hanno parlato della loro arte e della loro vita, alternando le parole alla musica, suonata dal vivo. E in una sera tranquilla, di stelle, di accordi e di pensieri distesi, abbiamo ascoltato una appassionata esecuzione della serena e malinconica “Corcovado” di Jobim. In questa “nuova onda”, sul tradizionale pattern ritmico, si disegnano morbide progressioni armoniche e le voci dei due maestri, fatte “della stessa materia di cui sono fatti i sogni”, si fondono in una sintesi alchemica perfetta, musicale ma anche umana.
I loro milieu non potrebbero essere più diversi: la napoletaneità solare, calda e impetuosa di Antonio fa da contraltare alla mai eccessiva, misurata, quasi aristocratica nordicità di Franco. Eppure insieme formano una struttura rara, asincronicamente speculare…
Alla Feltrinelli di Milano si mescolano tanti stimoli diversi, le voci, la musica, i rumori tipici della libreria creano una sinestesia sensoriale, dove i suoni e le parole si trasformano in colori, da fissare in una tela immaginaria nella mente. Qui, come nel disco, ci sono i colori caldi del Mediterraneo di Antonio, i rossi, i gialli, l'arancione, che evocano gioia, forza e passione e quelli freddi e brumosi della Milano di Franco, l'indaco, il verde, che diffondono un senso di quiete, di dolcezza, di armonia.
“Ma fugge intanto, fugge irreparabilmente il tempo…” e contro la sua tirannia non si può purtroppo andare e inesorabilmente si arriva al finale.
L'ultimo pezzo, suonato tra delicatezza e passionalità, è “Out of nowhere” di Green, uno degli standard più standard del jazz, nelle sue infinite versioni strumentali o vocali, un brano dalla cui struttura ha spesso attinto anche il mondo del pop.
Da Bing Crosby a Ella, da Charlie Parker (sensazionale, con Miles Davis alla tromba e Max Roach alla batteria!) a Django Reinhardt, da Chet Baker a Stan Getz… poteva sembrare arduo riuscire a scorgere nuove nuances cromatiche in note tanto battute da risultare, a volte, scolorite! Franco ed Antonio ci sono riusciti!
Con un approccio decisamente informale, e pur in una restituzione didascalica e rispettosa, vi si trova un'urgenza espressiva che nasce dal desidero di condividere la musica con passione, energia, creatività, gusto…
Il disco è un'opera preziosa, da collezione, che non contiene soltanto standard ma anche una splendida composizione originale di Onorato “Neapolitan Minor Blues”, dove l'anima blues del neapolitan power si intreccia indissolubilmente con un jazz dalle sfumature metropolitane e contemporanee. C'è anche il classico strayhorniano “Take the A-Train” (live), connotato da un grande affiatamento dialogico, e “Bluesette” di Thielemans, con i suoi intriganti giochi poliritmici in tempo di bossanova.
Il delizioso, raffinato “Bye Bye Blues”, dall'atmosfera swingheggiante, è il doveroso tributo al mainstream dei due chitarristi ed è sicuramente uno dei brani che Franco Cerri più ama suonare.
C'è tutto il jazz di tutti i tempi dentro alla “Body and Soul” di Franco e Antonio, un archetipo del jazz studiato da generazioni di musicisti e cantanti. Qui, in versione dal vivo, i fraseggi chitarristici sono morbidi e veloci ed evidenziano la tecnica superba dei musicisti.
Cerri&Onorato, più che maestro e allievo sono ormai dichiaratamente due anime affini, due storytellers senza eguali, due viaggiatori di nuvole con la stessa visione della musica e della vita, le cui strade si sono incrociate – per fortuna – così come s'incrociano i loro sguardi, quando suonano assieme. Sorridendosi… sempre.

© foto Gherardo Barghini

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