Con Jordan e Cobham a scuola di chitarra e batteria

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Devo confessare che la chitarra e la batteria non sono tra i miei strumenti preferiti, per cui quando la sera del 18 novembre scorso mi stavo recando all’Auditorium per assistere al concerto di Stanley Jordan e Billy Cobham, per l’appunto chitarrista e batterista, era come se , in un certo senso, avessi deciso di farmi del male da solo. E invece no! Il concerto è stato semplicemente superlativo, spesso trascinante e soprattutto mai banale , mai noioso… e dire che i due non si sono certo risparmiati, suonando per oltre due ore filate.
Bene hanno fatto, quindi, gli organizzatori del Roma Jazz Festival, a chiamare questi straordinari personaggi ché di veri e propri mostri sacri della musica stiamo parlando.
Stanley Jordan, nato a Chicago nel 1959, ha iniziato il suo percorso musicale studiando approfonditamente il pianoforte cosicché quando ha deciso di dedicare la massima attenzione alla chitarra, si è posto il problema di come integrare i due strumenti; di qui la riproposizione di una tecnica particolare (“touch” o “tapping”, già adottata ma non adeguatamente sviluppata da Eddie Van Halen) di non pizzicare le corde della chitarra ma di percuoterle con ambedue le mani come se fossero i tasti di un pianoforte; spesso, durante il concerto, abbiamo visto Jordan suonare contemporaneamente con una mano la chitarra e con l’altra il pianoforte con effetti di notevole valenza artistica oltre che di grande spettacolarità. A tutto ciò si aggiunga l’approfondito lavoro che Jordan ha svolto sulle accordature della chitarra riuscendo a ricavarne sonorità ed effetti particolari.
Dal canto suo Billy Cobham è a ben ragione considerato uno dei pochi batteristi “storici” che ancora si esibiscono sui palcoscenici internazionali. Per lumeggiare la personalità di questo grande artista panamense (classe 1944) basti ricordare che ha lavorato con Miles Davis dal 1970 al 1974, all’epoca cioè della svolta elettrica, (lo ascoltiamo tra l’altro in “Bitches Brew” che secondo molti ha dato praticamente inizio alla fusion) ; successivamente Cobham è stato tra i membri fondatori della Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin…per non parlare dei gruppi a suo nome e delle innumerevoli collaborazioni con i più importanti musicisti di jazz tanto che forse si farebbe prima ad elencare quelli con cui non ha suonato piuttosto che viceversa. Ma la statura di Cobham non si limita al lato esecutivo ché il batterista è anche un prolifico e originale compositore che ha saputo spaziare da un genere all’altro lasciando sempre traccia di sé. (altro…)

Jacky Terrasson e Cécile McLorin Salvant al Roma Jazz Festival

Auditorium Parco della Musica, sala Sinopoli, 22 novembre 2016

Jacky Terrasson, pianoforte;
Cécile McLorin Salvant, voce;
Lukmil Perez, batteria;
Chris Thomas, contrabbasso.

Comincio questo articolo con una considerazione. Nel Jazz ci sono standard stranoti che pensiamo di non voler più ascoltare: li abbiamo incrociati troppe volte, in tutte le salse, ci sembrano format oramai sterili e sfruttati anche malamente fino allo spasimo.
In realtà nella maggior parte dei casi ciò che capita veramente è che quei brani li sentiamo troppe volte da chi NON sa suonare il Jazz e si appoggia come ad un sostegno sicuro a brani che potenzialmente danno la sicurezza di piacere a prescindere, permettendo di “nascondere” le proprie innegabili carenze.
Quando capita di ascoltare, ad esempio, Caravan da un trio come quello di Jacky Terrasson, o Love for Sale cantata da una interprete come Cécile McLorin Salvant, ci si rende conto che non si è affatto stufi di ascoltare quei piccoli gioielli: anzi forse non si vedeva l’ora di riascoltarli filtrati da chi il Jazz lo sa fare veramente.
Non che Jacky Terrasson e Cécile McLorin Salvant abbiano suonato all’ auditorium solo standard.
La performance inizia in trio, con un lungo episodio costruito sulla giustapposizione di una parte lirica, dolce (su progressione armonica discendente), con una parte più dissonante, ritmicamente netta, fatta di accordi martellanti, di ostinati incrollabili al contrabbasso, di batteria martellante. L’ alternanza dura diversi minuti fino ad arrivare ad un terzo episodio, morbido, melodico e improvvisato: a questo punto fa capolino My funny Valentine. Bella, variata, inizialmente appena accennata in un pianissimo tanto sommesso quanto denso di armonici. Le dinamiche e questi pianissimo così tesi ed intensi sono stati una delle caratteristiche profondamente attraenti della musica di questo bellissimo concerto.
L’episodio successivo, in 5/4, suonato prevalentemente alla tastiera, comincia con una cellula tematica fissa che si sviluppa in un flusso sonoro quasi sensuale, attraverso diminuendo e crescendo sfumati tra il pianissimo ed il forte, e che sfocia in una flebile traccia di Take Five, che appare tra esplosioni energiche a volume intenso, subito soffocate in silenzi improvvisi. Il tema riappare dopo un po’,e migra dal piano al contrabbasso, fino alla svolta in 4/4, per poi riapparire al contrabbasso e terminare, dopo un andamento terzinato, in un altro pianissimo conclusivo.
Potrei descrivervi tutto il concerto in questo dinamismo continuo: come forse qualcuno sa, mentre ascolto prendo appunti per fissare tutto ciò che accade, ma l’importante è capire che la musica di questo trio si sviluppa in una progressione continua che non prevede mai il “voltarsi indietro”. E’ un andamento travolgente ma anche pieno di momenti introspettivi, e chi ascolta è portato a chiedersi “cosa succederà ora”?
Caravan è presentato con il tema tesissimo, un tempo superveloce, quasi adrenalinico, un assolo di batteria fulminante che comincia tutto su rullante e cassa, per poi diventare afro con un rullio continuo sui tom: il brano riesce a diventare ipnotico per le continue reiterazioni circolari melodico – ritmiche, tra le quali il tema riappare a momenti ridestando i sensi da un quasi ottundimento.
A metà performance appare sul palco Cecile McLorin Salvant.
Vincitrice di un Grammy per il miglior album di Jazz vocale: questo lo si scrive per un giusto dovere di cronaca, ma i titoli non valgono a far comprendere la particolarità di una voce come quella di questa interprete che non esito a definire straordinaria. Intonazione e tecnica perfette, va detto, ma tutt’altro che una delle mille “brave cantanti” di cui è disseminato il panorama Jazzistico odierno. Ironica, appassionata, deliziosamente civettuola, espressiva all’inverosimile. Registro grave possente, registro acuto cristallino, un timbro cangiante, un’estensione vocale notevolissima, virtuosa ma non “circense”.
E come i musicisti che in questo concerto la accompagnano, anche Cecile McLorin Salvant cura le dinamiche con notevole grazia, e in particolare i piano, i pianissimo, in tutte le loro infinite gamme. I suoi leggeri glissando sono colmi di leggiadria. La sua voce è strumento potente e gentile: ed è in perfetta sintonia con il trio. Oh my love, di John Lennon, comincia come se fosse Someone to watch over me e poi diventa una piccola meraviglia di dolcezza e di maestria, di tutti: del contrabbasso che fa poche note ma intense, della batteria che soffia su rullante e sul charleston, del pianoforte che suona poco e piano ma nei momenti giusti, quelli dell’impatto emotivo corrispondenti al cambio dell’ accordo, e della voce, sognante, perfetta, da brivido.
Il bis è una splendida Alfonsina y el mar, commovente ed intensa.
Penso di concludere qui questo articolo, perché potrei andare avanti all’infinito. Ma chiudo con il consiglio di ascoltare appena potrete questi musicisti e questa, lo ripeto, straordinaria cantante, anzi, no… musicista, anche lei.

Greg Burk Expanding Trio @ Zingarò Jazz Club, Faenza

Greg Burk. pianoforte, Moog
Stefano Senni. contrabbasso
Enzo Carpentieri. batteria

Mercoledì 30 novembre 2016. ore 22

Zingarò Jazz Club
Faenza. Via Campidori, 11
web: www.twitter.com/zingarojazzclub

Mercoledì 30 novembre 2016, lo Zingarò Jazz Club ospita il Greg Burk Expanding Trio con Greg Burk al pianoforte e al Moog, Stefano Senni al contrabasso e Enzo Carpentieri alla batteria. Il concerto avrà inizio alle 22 con ingresso libero.

Greg Burk ha scelto il contrabbassista Stefano Senni e il batterista Enzo Carpentieri, due tra i musicisti più interessanti del panorama italiano, per dare vita ad un trio che si espande verso direzioni espressive meno consuete rispetto alle solite dinamiche del piano trio jazz. La loro collaborazione comincia nel 2011 e, sin da subito, il trio acustico “aumenta” grazie all’inserimento del Moog da parte del pianista e grazie, soprattutto, alla capacità di interplay e di dialogo che i tre fanno nascere sul palco e che utilizza tutte le potenzialità e le sfaccettature contenute nella loro musica. (altro…)

I grandi del Jazz nelle foto di Jean-Pierre Leloir

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Bel progetto che sicuramente interesserà tutti gli appassionati di jazz, in particolare quanti amano le foto: stiamo parlando del catalogo di fotografie inedite dei grandi del jazz ad opera di Jean-Pierre Leloir .
Appassionato di musica sin dall’adolescenza Leloir (1931-2010) inizia a scattare fotografie per pubblicazioni come Jazz Magazine, L’Express e Le Nouvel Observateur, appena ventenne. Nell’arco della sua carriera, ha immortalato molti dei musicisti jazz che hanno visitato Parigi o hanno fatto della capitale francese la loro casa fra il 1950 e gli anni ’60, tra cui Louis Armstrong, Chet Baker, Sydney Bechet, Art Blakey, Donald Byrd, John Coltrane, Miles Davis, Duke Ellington, Ella Fitzgerald, Billie Holiday, Charles Mingus e Lester Young. Le molteplici fotografie utilizzate in questa splendida raccolta sono state accuratamente selezionate dall’immenso catalogo di Leloir. Molte delle immagini non erano mai state pubblicate prima in nessun formato. (altro…)

Cafiso e Marchioni rivivono Charlie Parker

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“I concerti nel parco” chiude in bellezza domenica 27 novembre alla Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica, in collaborazione con Musica per Roma, con L’Inseguitore, con Vinicio Marchioni e il Francesco Cafiso Quartet. Si tratta di un Monologo in jazz sulla vita di Charlie Parker tratto da “L’Inseguitore” del grande scrittore argentino Julio Cortázar (1914-1984). Pubblicato nel 1959 nella raccolta “Le armi segrete”, il racconto s’ispira liberamente agli aspetti più drammatici della vita di Charlie Parker, ribattezzato Johnny Carter, la cui vicenda è filtrata dalle parole del suo amico Bruno, critico musicale.
Vinicio Marchioni ha adattato il testo e lo ha messo in scena insieme ad uno dei più brillanti musicisti postparkeriani, il sassofonista Francesco Cafiso, che con il suo quartetto, Mauro Schiavone al pianoforte, Pietro Ciancaglini al contrabbasso e Adam Pache alla batteria, interagisce con il corpo e la voce di Marchioni. (altro…)

Moncalieri Jazz Festival 19′ edizione

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Report di Daniela Floris
Foto di Carlo Mogavero (cliccare su ogni foto per ingrandire)

Ogni tanto noi di A proposito di Jazz ci spostiamo da Roma e andiamo a sentire concerti in giro per l’Italia: veniamo a contatto così direttamente con realtà culturali importanti, tra cui Festival che oramai fanno parte di un panorama consolidato e sono diventati per il pubblico – non solo locale – e per gli artisti – anche internazionali – veri e propri punti di riferimento, appuntamenti molto attesi di cui si interessano media a tutti i livelli.
Uno di questi è il Moncalieri Jazz Festival, arrivato alla 19’ edizione, il cui successo è certamente dovuto alla strenua passione del direttore artistico Ugo Viola.
Strenua perché come in altri casi con cui siamo venuti a contatto e di cui vi abbiamo spesso parlato su questo sito, ha sfidato e sfida tutte le difficoltà (molte) dovute a molteplici fattori, non ultima la crisi economica che si protrae oramai da anni abbattendosi naturalmente anche sulle manifestazioni culturali. E che si tramuta essa stessa in una crisi culturale.
Arrivare a scavallare 19 anni di impegno su tutti i fronti significa avere forza, creatività, capacità anche manageriali e soprattutto ottimismo e anche un po’ di abnegazione. E a volte anche rimetterci quattrini di propria tasca.
La passione, e quel pizzico dell’”essere visionari” dona a questi eventi sempre un’atmosfera particolare, che è quella che va al di là dell’essersi accaparrati un artista ad un buon prezzo, o del margine più o meno ampio di guadagno che si riesce a spuntare: è l’emozione di chi organizza (direttori artistici, associazioni, volontari) che dona quel qualcosa in più, sia che poi partecipino le istituzioni o solo gli sponsor faticosamente cercati e trovati per poter andare in scena.
Ho visto questa atmosfera ad Alba, ad Atina, ad Ivrea, a Formia, a Cassino, a Laigueglia, e in tante altre realtà ed ora l’ho visto anche a Moncalieri.

Detto questo, sono arrivata a Festival quasi concluso ed ho assistito alle due serate finali: in realtà l’apertura dei giochi era stata il 29 ottobre, con la oramai celebre “notte nera”, arrivata al suo decennale: concerti gratuiti in piazza, eventi collaterali, una vera festa in piazza che mi è dispiaciuto sinceramente perdere. Ma c’era Carlo Mogavero: ecco alcune foto che mostrano il clima di questo evento che ha avuto un grande successo. Protagonisti del doppio concerto Gegè Telesforo 5tet e Horacio El Negro Hernandez con il suo progetto Italuba Quartet. La Marchin’ Band Route 99 ha girato swingando per le vie della città.

 

Gli eventi sono proseguiti per tutta la settimana successiva tra concerti in vari luoghi della città e workshop anche nelle scuole, e persino proiezioni di film.

Il festival vero e proprio è cominciato venerdì 11 novembre con il concerto “Dallo Spiritual al Gospel”, protagonista lo “Spiritual Trio” di Fabrizio Bosso alla tromba, Alberto Marsico all’organo, Alessandro Minetto alla batteria, con special guest Walter Ricci (voce) e il Sunshine Gospel Choir diretto da Alex Negro. Concerto applauditissimo e Fonderie Teatrali Limoni sold out: su questa splendida location vale la pena spendere qualche parola, perché è uno di quei posti magici recuperati con gusto e sapienza valorizzandone gli elementi architettonici con quella lungimiranza un po’ visionaria che permette di pensarli come altro e di non vederli andare in rovina. E’ così che una ex fonderia di ghisa, alluminio e bronzo, chiusa negli anni 70 è stata già dagli anni 90 recuperata come Teatro ma anche spazio per la produzione Teatrale e per l’allestimento di mostre.
Vi documentiamo il concerto di Spiritual Trio ancora con le foto di Carlo Mogavero

Sono arrivata a Moncalieri il sabato per assistere alle due serate finali. Il tema della serata di sabato era ““Nuovi e Vecchi Talenti” . Ma non vi immaginate una gara muscolare tra categorie in contrasto. Ancora una volta piuttosto si dimostra come il Jazz, sia in ogni caso un genere musicale vivo, multiforme, se chi lo suona ha energia creativa e comunicativa.
Il nuovo talento che Ugo Viola ha voluto a Moncalieri Jazz è stato Fabio Giachino, che ha suonato in piano solo in un concerto suggestivo ed applauditissimo.

Moncalieri Jazz Festival
Fonderie Teatrali Limone
Sabato 12 novembre, ore 21

Fabio Giachino (piano solo)

Su questo sito abbiamo parlato molto di questo giovane pianista che sta crescendo rapidamente, facendosi oramai conoscere anche fuori Italia come talento creativo del pianoforte.
Una tecnica ineccepibile totalmente finalizzata ad una notevole forza espressiva, swing, energia, cultura musicale e dunque un linguaggio tematico, armonico, ritmico infinitamente vario ed efficace, Giachino ha mostrato quanto possa essere intenso e tutt’altro che monocorde un concerto in piano solo.
Una scaletta ben congegnata che ha toccato brani classici come “It could happen to you” ma anche molti brani originali, a partire da un “Balancing Dreams” (titolo del suo ultimo cd) dal tema melodico incantevole, in 6/8,  che non è solo una ninna nanna ma una sorta di sogno che si anima e che prende progressivamente forza ed intensità: da un suono inizialmente sfumato dal pedale tonale, si arriva ad una specie di concretizzarsi espressivo, fatto di cascate velocissime di note sgranate e perfettamente percepibili nella loro totalità, accordi più percussivi, ottave parallele potenti che progressivamente tornano a concludere su dinamiche dolci e di nuovo sfumate, una specie di finire, del sogno, nel sonno.
Giachino ha mostrato ancora una volta di possedere un tocco personalissimo, un pianismo lirico ma anche ricco, corposo. Di amare i contrasti tra episodi introspettivi, intimi, e altri dal pathos più esplicito, sempre garantendo una benefica profusione di varianti armoniche, timbriche e persino stilistiche.  Un musicista originale, maturo, premiato a Moncalieri Jazz da un pubblico entusiasta.

I vecchi talenti che lo hanno seguito sul palco sono stati musicisti – mito del Jazz americano, concentrati nel supergruppo “The Cookers”

Ore 22

The Cookers

David Weiss, tromba,
Eddie Henderson, tromba
Craig Handy, sax alto
Billy Harper, sax tenore
Cecil McBee, contrabbasso
Billy Hart, batteria.
Antonio Faraò , pianoforte (sostituisce George Cable)

Se vi immaginate un Jazz stantìo perché suonato da un gruppo comprendente anche musicisti in là con gli anni vi sbagliate di grosso: Billy Hart alla batteria ha regalato un groove pazzesco. Cecil McBee con il suo contrabbasso ha strutturato con vigore brani tutt’altro che scontati e ritriti. Billy Harper con il suo sax tenore ha ricamato assoli intensi. La sezione fiati, supportata dalla batteria granitica di Hart si è esibita in obbligati perfetti. Antonio Faraò è apparso perfettamente integrato nel sestetto dando ulteriore impulso creativo alla sezione ritmica e ha improvvisato con il suo stile personalissimo che lo ha reso uno dei pianisti italiani più conosciuti al mondo.
Composizioni originali e qualche standard, quello dei “Cookers” è stato un concerto dalle variegate soluzioni espressive, dalle dinamiche curatissime, dallo spessore sonoro sempre cangiante tra momenti al minimo dell’organico ad altri in cui l’ensemble si ricostituiva in un insieme potente ed energico (specialmente nelle parti scritte, ma anche nelle improvvisazioni collettive).
Nelle ballad non sono mancati episodi in cui la sezione fiati è diventata una morbida ed intensa sezione ritmico – armonica per supportare assoli dai fraseggi pregevoli (Henderson e Weiss con le loro trombe e Craig Handy, infinitamente creativo al suo sax alto), e anche momenti in trio in cui Faraò, Hart e McBee hanno fatto sfoggio di un Jazz coinvolgente, raffinato e sapiente: sapiente è il termine giusto, perché completo di tutto ciò che un trio jazzistico necessita per essere definito tale, a partire da un interplay notevolissimo. Non è mancato il blues, costruito sulla struttura classica ma tutt’altro che “già sentito”, per i continui stop carichi di tensione, per gli assoli anche virtuosistici (come quello di Craig Handy con fiato continuo), per l’energia innegabile di un gruppo coeso e che si diverte da morire a suonare.
Alla fine del concerto nessuno credo abbia più pensato all’età di Cecil McBee e di Billy Hart: si è applaudito un eccellente Jazz.

Domenica 13 novembre
Fonderie Teatrali Limone

AZIZA
Dave Holland (contrabbasso)

Chris Potter (sax)
Lionel Loueke (chitarra)
Eric Harland (batteria).

“I Giganti del Jazz” il tema del concerto finale di Moncalieri Jazz Festival.
Ed in effetti questo gruppo stellare, con Dave Holland come leader non ha deluso l’aspettativa che un tema così impegnativo e altisonante aveva creato nel pubblico. Anche stavolta, comprensibilmente, teatro sold out. Musica a livelli stratosferici.

 

Si capisce da subito che questo concerto sarà tutt’altro che musicalmente prevedibile: si parte da piccoli rumori, battiti che si aggregano man mano coagulandosi e progressivamente intensificandosi in un funky irresistibile. Il suono corposo del contrabbasso di Dave Holland emerge quasi subito in un assolo, uno di quegli assoli cui ci ha abituati da sempre e ai quali in realtà siamo tutt’altro che abituati. E da subito emerge la batteria di Eric Harland, star della serata insieme ad Holland: veramente un musicista prodigioso, dalla tecnica spaziale, capace di essere generosamente sobrio (nei momenti in cui serve al quartetto un contributo di semplice ma efficace accompagnamento) ma anche elegantemente esplosivo, senza mai, mai diventare eccessivo, nemmeno negli assoli più potenti e creativi.
La sintonia tra Dave Holland e Eric Harland è stata una caratteristica fondante di questo concerto che non a caso ha entusiasmato il pubblico, nonostante non fosse certo un Jazz di “intrattenimento”. Un Jazz complesso ma di impatto immediato, che ha strappato applausi senza alcun ammiccamento o gigioneria. A turno i musicisti diventano elemento trainante del gruppo partendo dalle proprie improvvisazioni: la chitarra di Lionel Loueke, ad esempio, che con un fraseggio sempre più incalzante dà l’impulso alla batteria di Harland, accordata con le pelli tesissime e dagli attacchi irresistibilmente netti. A sua volta la batteria diventa raccordo e base del brano successivo, coinvolgendo il contrabbasso che pone le basi del brano con un pattern reiterato che poi diventa tema melodico preso al volo e sviluppato dal sax di Chris Potter.
Non ci si ferma quasi mai eppure questa forma in suite non annoia, non stanca, non è mai monotona o piatta. Dave Holland suona il contrabbasso divertendosi un mondo, raccontando un mondo musicale pieno di spunti, ricordi, è morbido ed energico contemporaneamente. Si riconosce un accenno di “But not for me” ma è solo una piccola tappa di quel viaggio, come un piccolo punto di riferimento regalato a chi ascolta, e poi si riparte tra improvvisazioni di sax, exploit possenti di batteria, raffinati fraseggi di chitarra.
Le gamme dinamiche, ritmiche, armoniche, timbriche sono tante, giustapposte a contrasto o sfumate in progressione dal minimo al massimo, e però sempre calibrate in un dialogo complessivo armonico e serrato.
Il concerto si conclude nell’ entusiasmo del pubblico e nella gioia aperta del direttore artistico Ugo Viola, giustamente fiero di aver portato musicisti di questo calibro al suo Moncalieri Jazz Festival. Che già da ora si sta preparando per il suo ventennale, previsto l’anno prossimo. La musica, la cultura, in queste realtà piene di passione hanno ancora una speranza di risorgere.