Uscito il nuovo album del cantante e chitarrista Giuliano Ligabue

È uscito il 3 dicembre 2016 nei più importanti Digital Stores il nuovo Album di Giuliano Ligabue, Giuliano Ligabue – Live at Summertime in Jazz, e dal 15 dicembre 2016 è disponbile anche il Compact Disc.

Una registrazione che restituisce l’ultimo grande progetto ideato dal cantante, chitarrista, arrangiatore e compositore italiano, nella sua Prima assoluta, il live inserito nel prestigioso cartellone Summertime in Jazz 2016, organizzato dal Piacenza Jazz Club e tenuto a Travo (PC) lo scorso 15 luglio.

Dodici tracce, sette musicisti, la chitarra e la voce inconfondibile di Giuliano Ligabue che raccontano il nuovo percorso musicale di questo straordinario talento del panorama Jazz, in cui lo Swing si fonde a rivisitazioni di brani Pop e a calde sonorità Bossa nova, in un’intensa, personale e coinvolgente interpretazione vocale e strumentale.

Ad una solida base ritmica – piano, batteria, basso elettrico e la sua chitarra – Giuliano Ligabue ha aggiunto una sezione di quattro fiati – tromba, trombone, sax contralto e sax tenore – a ricreare le suggestioni sonore tipiche delle favolose Big Band che hanno accompagnato dapprima nomi del calibro di Frank Sinatra, Tony Bennett, Nat King Cole, fino ai giorni nostri con quelli di Diana Krall, Michael Bublé e Harry Connick Jr. (altro…)

Leonardo De Lorenzo e il “Meet and Reel”, un crowfunding innovativo

Ogni tanto ci si chiede come si possa riavvicinare il Jazz ad un pubblico più ampio, e magari anche ad un pubblico di giovani. Due settimane fa mi sono trovata ad assistere ad una tra le soluzioni più efficaci: una nuova forma di crowfunding, il “Meet and Reel”.
Questa “raccolta fondi” (di questo parliamo) per finanziare l’uscita di un disco è avvenuta a Napoli, al Godfather Studio, per la registrazione del nuovo lavoro in trio del batterista Leonardo De Lorenzo, in trio con Ettore Carucci al pianoforte e Marco De Tilla al contrabbasso.
Due giorni di sessione aperta al pubblico, ovvero: come nasce un disco di Jazz, registrato live, senza sovraincisioni? Come nasce una musica così complessa eppure così di impatto, che i non avvezzi e non addetti ai lavori percepiscono troppo spesso come tutta improvvisazione e niente regole?
Sold out (il che vuol dire che l’iniziativa – pur nuovissima dalle nostre parti, attira la curiosità di molti) per assistere ad ognuna delle due serate a circa quattro ore di registrazione live e per di più non digitale ma su preziosi nastri analogici, della durata ognuno di mezz’ ora, governati con maestria dal padrone di casa, Massimiliano Pone.
Si entra nel vivo già dalla prima “take”. I musicisti cominciano a suonare un brano soft, per scaldarsi. Alla fine del brano si svela quanta sia l’attenzione ai particolari, quali le difficoltà, quale la complessità della trama, quanto lavoro ci sia a monte e quanto ancora ne occorra per tramutare un’idea in un disco: non c’è modo più efficace di spiegare la musica. Di svelarne i segreti. Di aprire gli occhi su un qualcosa che si è di solito abituati ad ascoltare (come è giusto che sia) come prodotto fatto e finito.
Attenzione: quando i musicisti arrivano in sala registrazione i pezzi naturalmente li hanno già studiati, provati più volte. Non si assiste dunque ad un lavoro ancora in fieri, per quanto, nel Jazz, come sappiamo, anche il fatto che esistano enormi spazi per gli assoli improvvisati ha sempre quel suo lato di imprevedibilità che altri generi musicali non hanno. Si assiste invece al perfezionare, alle fermate per inevitabili imprecisioni da limare, ai dialoghi tra musicisti sul perché quella take vada registrata ancora. Si capisce quale sia la struttura di un brano, cosa voglia dire la cura quasi maniacale sulle dinamiche, quale grado espressivo si voglia raggiungere attraverso pause, crescendo, scambi, quanto sia importante la musica scritta, quanta preparazione occorra anche per improvvisare su quelle parti.
Non c’è forma migliore per la comprensione di quel mistero che è la musica, e di quel doppio mistero che è il Jazz. Ma non è un disvelare meccanico, che ci toglie il fascino dell’ascolto. Anzi, quel fascino aumenta perché si comprendono finalmente lo spessore, la complessità, ed anche la ferrea volontà dei musicisti di esprimere il meglio possibile il significato profondo di ciò che stanno suonando, di arrivare a chi ascolta attraverso quelle sottigliezze che non si immaginava nemmeno esistessero, ma che sono il motivo fondante dell’impatto spesso emozionante di molta musica che si ascolta per la prima volta: solo che non se ne ha consapevolezza. E’ dunque una forma importante di alfabetizzazione musicale, per chi è al di fuori da questo mondo, raggiunta con l’ascolto, con il guardare il lavoro mentre nasce, con la presa di coscienza che la musica, il Jazz, è tutt’altro che una improvvisazione senza regole e senza costrutto.
Il cd del quale ho assistito ad una parte della registrazione si intitolerà “The Ugly Duckling” e vi posso anticipare che ho ascoltato brani originali molto accattivanti, quasi tutti scritti per l’occasione, che è un Jazz denso di swing, di particolarità ritmiche e di giri armonici complessi ma niente affatto ostici, che non mancano assoli di alto livello che il feeling tra De Lorenzo, Carucci e De Tilla è notevole. Che vi saranno anche brani in sestetto (che purtroppo non ho potuto ascoltare) e che l’uscita del disco è prevista a breve.
L’augurio è che questa forma particolare di autofinanziamento prenda sempre più piede: è utile per i musicisti che debbano finanziare la loro musica, ma è estremamente utile anche per far conoscere ed amare il Jazz. In bocca al lupo a Leonardo De Lorenzo per questa nuova avventura.

Enrico Pieranunzi a Radio Tre

Di Maurizio Alvino

Se vi chiedono il nome di un pianista jazz italiano facilmente vi verrà in mente Enrico Pieranunzi. Questo sicuramente per la storia del musicista, costellata di importanti collaborazioni, una su tutte quella con Chet Baker. Ma dopo aver assistito alla serata di ieri 14 dicembre, andata in onda in diretta su Radio Tre Rai per la cura di Pino Saulo, mi viene da dire anche per le caratteristiche dell’uomo. Pieranunzi è persona colta, un bibliofilo come ebbe a dirmi qualche mese fa quando lo incontrai a Torino in occasione di un suo concerto. I suoi aneddoti sono interessanti ed ironici, nonché raccontati con grande capacità di tenere desta l’attenzione del pubblico.

La serata è in piano solo, e si apre con un paio di chorus da Body and Soul, lo standard degli standard. Il tocco del musicista fa sì che le note si materializzino come  perle una dopo l’altra, e già la magia scende nella Sala A della storica sede RAI di via Asiago, a Roma. Pieranunzi, stuzzicato da Saulo, racconta la sua vita a partire da quando, ragazzino, il papà comprò un pianoforte. Iniziò da lì un percorso a doppio binario: da una parte gli studi classici, che faceva privatamente per poi dare gli esami in conservatorio, dall’altra le giornate passate col padre chitarrista a “tirare giù” ad orecchio brani come Please Dont Talk About Me When Im Gone, di Errol Garner, e cercando di penetrare nei meandri del Bebop attraverso i velocissimi fraseggi di Charlie Parker e Bud Powell. Un mondo completamente diverso da quello che poteva essere il mondo di qualunque altro ragazzino cresciuto a Roma nel quartiere di S. Giovanni, un mondo che il giovane Enrico vive con passione ma in grande solitudine rispetto ai coetanei.

In seguito arriva il diploma e l’insegnamento. Ma Pieranunzi continua il suo percorso di jazzista, frequenta il Music Inn del principe Pepito Pignatelli dove suona, tra gli altri, con Philly Joe Jones. Enrico ci racconta che all’inizio del secondo set Philly Joe ha un violento alterco con il suo pianista, un tedesco, il quale arrabbiatissimo se ne va dal locale. Pepito cerca di convincere Enrico a sostituire il tedesco, anche perché Philly Joe ha fama di girare con un coltello di venti centimetri e non è uno che va per il sottile. Enrico si convince, si siede al piano e parte un blues. Ma qualcosa non torna, e le canoniche dodici misure diventano a volte undici, a volte dieci. Enrico suona a testa bassa senza guardare mai il resto del gruppo, e per dieci lunghissimi minuti soffre cercando di tenere duro. Alla fine, al colmo dello sconcerto, alza lo sguardo e guarda  Philly Jones che gli spalanca un sorriso ad un solo dente e si mette finalmente a suonare a tempo. Enrico ha superato la prova e si è guadagnato di poter suonare con il grande batterista.

Si parla, ovviamente, di Chet. Enrico era andato a suonare a Macerata con Roberto Gatto e Riccardo Del Fra, e in un impeto di sfrontatezza chiese a Chet di registrare un disco con lui. Fu così che nacque Soft Journey, disco di grande fascino, con un Baker lirico (da par suo) ed un Pieranunzi energico e pentatonico. Un disco che contiene, tra l’altro, Night Bird, brano scritto da Enrico per l’occasione e inciso da Chet in almeno quindici dischi.

Tante le storie, gli incontri. Si parla dei tanti anni durante i quali Pieranunzi ha lavorato per il cinema, con Ennio Morricone su tutti. E poi del trio, formazione prediletta dal pianista e da lui declinata con musicisti i più diversi, citando tra i tanti quelli del Live at the Village Vanguard, Marc Johnson e Paul Motian.

Dove va oggi Pieranunzi, grande jazzista italiano e appassionato di Domenico Scarlatti? Verso il mondo classico, a sentire i suoi progetti per il 2017. Ma quello che penso, alla fine di questa gradevolissima serata, è che artisti completi come lui sono ossigeno per i nostri polmoni. Respiro profondamente e vado a casa felice.

 

“A proposito di jazz” cambia pelle

Cari amici,

anche il 2016 sta per andare in archivio e quindi ci sembra giusto tracciare, insieme a voi, un bilancio della nostra attività. Consentitemi, quindi, di iniziare queste poche righe con un sentito ringraziamento ai nostri lettori che ci seguono con affetto non risparmiando elogi.. ma anche critiche il più delle volte ben motivate. Il numero di chi ci legge è in costante crescita tanto che chiuderemo l’anno con un incremento del 20% nelle visite e oltre il 100% in più di pagine viste. Anche la frequenza di rimbalzo è scesa quasi a niente (15%). Ovviamente il buon successo dipende, sarebbe sciocco nasconderlo, anche dalla  buona qualità del servizio offerto e al riguardo è doveroso un ringraziamento ai miei più stretti collaboratori, Simone Minzi, che sin dall’inizio ha fornito quel supporto tecnico senza cui “A proposito di jazz” mai sarebbe esistito, e Daniela Floris che, venuta subito dopo a barca avviata, è stata  fondamentale per far lievitare il tasso qualitativo del sito, dato che a mio avviso (e non solo a mio avviso) è uno dei pochissimi personaggi che quando scrive di musica sa cosa dice avendone studiato i più intimi meccanismi ed essendo perciò in grado di capire esattamente cosa i musicisti stanno facendo.

Nell’intento di allargare i nostro orizzonti abbiamo acquisito altri collaboratori che condividono con noi la passione per questa musica dato che, come dirò più avanti, quel che ci spinge non sono certo i soldi. Avete avuto, quindi, l’occasione di leggere contributi provenienti da Parigi con Didier Pennequin (uno dei critici più stimati della scena pubblicistica francese), dalla Lapponia svedese con Luigi Bozzolan eccellente pianista e didatta; per restare entro i confini nazionali ecco Luigi Onori e Marco Giorgi due critici che non hanno certo bisogno di ulteriori presentazioni cui si sono aggiunti dal nord-est del nostro Paese Marina Tuni e Angelica Montagna, e Amedeo Furfaro dalla Calabria; ultimo, ma non certo in ordine di importanza, il maestro Massimo Giuseppe Bianchi che ha aperto uno spazio dedicato alla musica classica, anche contemporanea, che ha avuto uno straordinario successo.

Come accennato, tutto questo si muove sulla base di una parolina che oggi non è così facile trovare: passione. In effetti da quando è nato “A proposito di jazz” il sottoscritto non ha visto un solo euro. Mi si potrebbe chiedere: allora perché lo fai? La risposta è molto semplice: avendo dedicato tutta la mia vita al giornalismo (economico e musicale) una volta andato in pensione non mi andava di appendere la penna al chiodo. Né mi andava di lavorare ancora “sotto padrone” vista la situazione allucinante in cui versa oggi il mondo dell’informazione nel nostro Paese. Di qui la decisione di creare qualcosa di personale che mi consentisse da un canto di proseguire nella mia professione dall’altro di dedicarmi a ciò che in questa fase della mia vita mi interessa maggiormente, il jazz (moglie e figlio esclusi naturalmente, scusate la precisazione ma ne va della mia sopravvivenza).

Sono stato fortunato nel trovare quei collaboratori che ho ringraziato e abbiamo intrapreso una navigazione che sta proseguendo felicemente. Al riguardo devo riprendere un discorso spinoso che Daniela Floris ha già affrontato su Facebook. Uno dei compiti più delicati per un sito come il nostro è quello delle recensioni discografiche; l’ho detto molte volte ma forse è il caso di ripeterlo: il fatto che noi riceviamo gli album (dato anche il numero degli stessi) non ci obbliga in alcun modo a recensirli, chi dovesse pensare che l’invio di un CD implica automaticamente la sua recensione o anche semplicemente una segnalazione, si sbaglia e farebbe bene a non inviarci alcunché. L’unica cosa che posso affermare è che ogni album verrà da me personalmente ascoltato con attenzione e vi assicuro che non è un impegno da poco. L’equivoco che bisognerebbe sciogliere una volta per tutte è che noi non siamo promoter, quello è un altro lavoro, che potremmo anche svolgere singolarmente ma che, in quanto lavoro, implica una prestazione ed una controprestazione… in parole povere è un lavoro che va retribuito. La recensione, la presentazione, la segnalazione su “A proposito di jazz” è qualcos’altro, è un’attività di servizio che svolgiamo gratuitamente a vantaggio dei lettori e dei musicisti, anche in quei casi in cui i nostri giudizi non sono positivi in quanto cerchiamo di avanzare delle critiche che in qualche modo siano costruttive. Purtroppo non sempre le cose vanno in questo modo. I musicisti (non gli artisti) spesso sono ipersensibili per cui finché scrivi bene nulla quaestio ma se poco poco ti azzardi ad avanzare qualche dubbio allora nel migliore dei casi non capisci alcunché, nel peggiore sei un venduto alla casa discografica concorrente. C’è stato un musicista che è arrivato a minacciarmi “sei finito” senza però specificare a che sorta di fine si riferisse… e via di questo passo.

Comunque, come potete constatare, sono ancora qui. E vorrei chiudere con una precisazione: per motivi strettamente organizzativi, dal prossimo anno “A proposito di Jazz” si trasferisce su altro dominio e quindi probabilmente cambia nome. Ovviamente sarete informati attraverso la newsletter e attraverso avvisi che pubblicheremo su questo stesso spazio.

Nella certezza che continuerete a seguirci con l’attenzione di sempre, vi auguro un BUON NATALE per chi ci crede e un FELICE ANNO NUOVO a tutti.

Federico Bonifazi trio ft Babacar Sall 16 dicembre ore 21.30 Torino Jazz Club

Venerdì 16 dicembre 2016 alle ore 21.30 in occasione della prima edizione dell’Afro Jazz Festival di Torino, il pianista e compositore jazz Federico Bonifazi si esibirà in trio presso il Torino Jazz Club (Piazzale Valdo Fusi, 1) accompagnato da Alessandro Minetto (batteria) e Stefano Risso (cb) affiancando uno dei maggiori interpreti della musica africana, la star internazionale Babacar Sall. Il concerto che sarà anche l’occasione per presentare l’ultimo lavoro discografico di Federico Bonifazi “You’ll See” registrato a New York con Eric Alexander (St), John Webber (b), Jimmy Cobb (d) e prodotto dalla Steeplechase Production, offre al pubblico un continuo dialogo dei musicisti sia nell’esposizione dei temi originali che nei momenti improvvisativi, dando vita ad una musica profonda che intreccia i ritmi serrati di Babacar Sall con le melodie e le armonie del trio di Bonifazi. L’Afro Jazz Festival, dedicato alle sonorità africane” che, dopo essere stata elemento fondante del Jazz , re-incontra il jazz sul terreno delle origini, dei ritmi, della danza, nasce dalla “grande curiosità reciproca ed una speciale sensibilità verso le musiche di tradizioni lontane” ed è organizzato dal Consorzio Piemonte Jazz, in collaborazione con Ancos – Confartigianato, G.A.C.S e con il patrocinio della Regione Piemonte. Babacar Sall, che è anche danzatore e coreografo e proviene da una famiglia di grande tradizione di suonatori di Sabar (lo stretto e lungo tamburo solista che si suona con un bastoncino di salice o ciliegio), si è esibito in grandi festival internazionali

Federico Bonifazi, considerato uno dei nuovi talenti della scena musicale italiana degli ultimi anni, ha all’attivo diverse esperienze e tour che lo hanno portato a suonare in Europa e negli Stati Uniti con grandi nomi del panorama jazz nazionale ed internazionale tra cui Philip Harper, John Webber, Jimmy Cobb, Billy Kaye, Joel Frahm, Eric Alexander, Peter Giron, Paul Jeffrey, Antoine Banville, Emanuele Cisi, Aldo Zunino, Furio di Castri e molti altri ancora. Il suo ultimo CD “You’ll see” – registrato a New York con Eric Alexander al sax tenore, tra i più importanti solisti dell’ultimo decennio; e due mostri sacri del top jazz di tutti i tempi John Webber al contrabbasso e Jimmy Cobb alla batteria, musicisti con un’enorme sensibilità, esperienza e di fama mondiale – testimonia come la musica di Bonifazi racchiuda in sé il giusto mix tra tradizione jazzistica internazionale e una creatività armonica di stampo moderno. Otto tracce frutto dell’estro compositivo del pianista umbro, per la maggior parte composizioni inedite scritte da Bonifazi per questo cd oltre ad un arrangiamento di un noto brano di Luigi Tenco, Vedrai Vedrai, totalmente ri-arrangiato e divenuto la “Title track” dell’album. Molti i richiami alla tradizione jazzistica internazionale da Coltrane a Bill Evans, ma anche alla musica colta con Chopin e Ravel. Bonifazi ha una facilità compositiva che gli permette il giusto equilibrio tra melodie cantabili e una fervida creatività armonica di stile moderno, a volte anche complessa. “You’ll see” concepito e realizzato con forte personalità artistica e con un’enorme generosità comunicativa, nel quale Bonifazi regge bene il confronto con i suoi compagni di viaggio che lo assecondano, lo seguono senza mai sovrapporsi, con l’umiltà e la discrezione che solo i grandi artisti posseggono e che rendono questo cd una vera e propria perla nella sua produzione musicale. Il CD “You’ll See” prodotto dall’etichetta “SteepleChase Production” è disponibile su tutte le piattaforme digitali (Itunes, Amazon, ecc.) e nel classico formato fisico.