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a proposito di jazz - i nostri cd

Jesper Bodilsen – “Santa Claus Is Coming To Town” – Up Art Records
santa-clausIl Natale si avvicina e, come ogni anno, sul mercato compaiono produzioni discografiche dedicate a questa festività. Ecco quindi tre album, piuttosto diversi ma accomunati dall’essere dedicati alle canzoni natalizie.
Il primo è il nuovo CD di Jesper Bodilsen, “Santa Claus is Coming to Town”, uscito lo scorso 21 ottobre, su etichetta Up Art Records. Contrabbassista, compositore, arrangiatore e didatta danese, Bodilsen vanta un curriculum di tutto rispetto avendo collaborato con artisti di assoluto livello quali, tanto per citare qualche nome, Enrico Rava, Kasper Villaume, Stefano Bollani, Katrine Madsen, George Colligan, inoltre dal 2003 si è esibito in tutto il mondo con il celebre Danish Trio insieme a Stefano Bollani e al batterista Morten Lund. Adesso ha deciso di mettersi in proprio e in breve tempo ha prodotto due importanti album: del primo , “TID”, abbiamo parlato di recente; il secondo è questo “Santa Claus Is Coming To Town” in cui il contrabbassista si presenta alla testa di un gruppo con Peter Rosendal al piano, Regin Fuhlendorf chitarra, Francesco Calì piano e fisarmonica e Claus Waidtlow al sax con l’aggiunta delle voci di Mads Mathias, Joe Barbieri e la piccola (nove anni) Marie Bodilsen. Il repertorio è scelto con molta oculatezza: niente brani particolarmente celebrati ma canzoni tratte dal mondo natalizio italiano, scandinavo e statunitense. Tutt’altro che casuale anche la scelta delle voci: Mads Mathias è artista di punta della nuova musica danese, e Joe Barbieri è ben noto al pubblico italiano per le sue doti di raffinato e sensibile interprete, li si ascolti rispettivamente, in “Have Yourself A Merry Little Christmas” con in bella evidenza il contrabbasso del leader e la chitarra di Regin Fuhlendorf, e “Quanno nascette Ninno” (versione originale di “Tu scendi dalle stelle”); davvero brava Marie Bodilsen nell’interpretazione del brano tradizionale svedese “På Loftet sidder Nissen” .

Kurt Elling – “The Beautiful Day” – Okeh
the-beautiful-dayDi impianto diverso questo secondo album firmato da Kurt Elling, ovvero da colui che viene considerato una delle personalità più eminenti nel campo del canto jazz maschile: non a caso ha vinto diverse volte i sondaggi delle riviste Down Beat e JazzTimes. Kurt è accompagnato da un gruppo piuttosto numeroso con Stuart Mindeman al piano, Clark Sommers al basso , John McLean alla chitarra (musicisti che erano con lui anche nell’ultimo tour italiano), Jill Kaeding cello, Jim Gailloreto sax soprano, Tito Carrillo tromba, Kendrick Scott batteria, Kalyan Pathak percussioni, Luiza Elling voce. L’album è molto gradevole anche perché l’artista ha avuto l’intelligenza di pescare nel mare magnum delle canzoni natalizie alcune perle che non si ha spesso l’occasione di ascoltare. Così accanto a molti canti tradizionali, figurano, tra gli altri, tre pezzi scritti da Leslie Bricusse per il musical “Scrooge”, uno scoppiettante “This Christmas” di Donny Hathaway dalla chiara impronta soul impreziosito da un convincente assolo di John McLean, il vagamente rockeggiante “Same Old Lang Syne” scritto e cantato da Dan Fogelberg che come singolo ottenne un buon successo nel 1980…fino a giungere a “The Michigan Farm (Cradle Song , op.41/1) una delicata composizione di Edvard Grieg cui Elling ha aggiunto le liriche facendo arrangiare il tutto al fido Mindeman. Ebbene, in tutte queste occasioni Kurt Elling dimostra di aver affrontato l’impresa con grande serietà, abbandonando qualsiasi atteggiamento gigionesco da grande star, di compiacimento del pubblico e cercando così di trasmettere l’intima essenza dei brani. Quasi superfluo aggiungere che la prestazione vocale è ancora una volta di altissimo livello: mai una nota fuori posto, l’intonazione perfetta, l’uso dello strumento sempre aderente alle volontà espressive…in estrema sintesi una grandissima sensibilità musicale.

Nils Landgren – “Christmas With My Friends V” – ACT 98302
christmas-with-my-friend-vQuesto terzo album dedicato al Natale si inserisce in una storia che parte nel 2006: il trombonista scandinavo Nils Landgren pensò, bene, in quell’anno, di raccogliere accanto a sé alcuni degli amici musicisti e festeggiare il Natale in musica; il concerto venne registrato nella Chiesa di Odensala a Stoccolma e poi pubblicato su CD. Dato il successo di questa prima esperienza, Landgren ha deciso di ripeterla ogni due anni, effettuando un tour natalizio tra la Svezia e la Germania. Queste tournées hanno prodotto altrettanti album tutti premiati con un Germa Jazz Award. Eccoci quindi al quinto CD che presumibilmente otterrà lo stesso successo dei precedenti sia per il messaggio di pace che intende veicolare sia per la qualità della musica. Sulla statura artistica del leader non esistono dubbi, così come per gli altri artisti scelti per questa nuova avventura: i quattro cantanti: Jeanette Kohn, Jessica Pilnäs, Sharon Dyall e Ida Sand, che suona anche il pianoforte, Jonas Knutsson ai sassofoni, Johan Norberg alla chitarra ed Eva Kruse al basso. Ciascuno di questi musicisti ha proposto due brani arrivando così ad una track list piuttosto variegata in cui il Natale è raccontato sotto varie sfaccettature musicali. Tra i brani che ci hanno maggiormente colpiti , l’apertura basata su un brano di Bach ed eseguita in solitaria da Landgren, “Baby It’s Cold Outside” affidato alla voce di Jessica Pilnäs, il traditional “Go Tell It On The Mountains” interpretato con solida partecipazione da Ida Sand e lo strumentale “Seven Stains From Christmas Eve” di Johan Norberg.
Joey Alexander – “Countdown” – Motema Music
countdownE’ possibile adoperare il termine “fenomeno” per definire questo pianista tredicenne che risponde al nome di Joey Alexander? Ascoltando con attenzione questo album che fa seguito al primo CD , “My Favorite Things” del 2015, la risposta non può che essere positiva. Se si pone attenzione esclusivamente alla musica, prescindendo dall’età dell’esecutore, ebbene si ha la netta sensazione di trovarsi dinnanzi ad un artista maturo, completo, perfettamente consapevole dei propri mezzi, in grado di ben interpretare un repertorio assai vasto e diversificato che va da celebri standard a composizioni originali. Non a caso “Countdown” presenta nove tracce, di cui tre composizioni originali di Joey , nuovi arrangiamenti di classici del jazz di John Coltrane (“Countdown”), Thelonious Monk (“Criss Cross”), Billy Strayhorn (“Chelsea Bridge”) e Herbie Hancock (“Maiden Voyage”), cui si aggiungono “For Wee Folks” di Wynton Marsalis e il sempre affascinante “Smile” di Charlie Chaplin. Ebbene, pur dinnanzi a brani celebri, incisi dai più grandi personaggi della storia del jazz, Alexander se la cava più che bene: il suo è un pianismo sempre equilibrato tra scrittura e improvvisazione, sorretto da una tecnica eccellente e da un gusto tali che gli consentono di mai eccedere in una direzione piuttosto che nell’altra. La sua ricerca melodica connota costantemente le sue composizioni che, specie in questo secondo album illuminano questo coté della personalità di Alexander: si ascolti al riguardo “Sunday Waltz” Infine, quella maturità cui prima si faceva riferimento è testimoniata anche dall’oculatezza con cui il pianista ha scelto i suoi partner che sono rimasti gli stessi rispetto al primo album, vale a dire il bassista Larry Grenadier ed il batterista Ulysses Owens, Jr., con l’aggiunta del bassista Dan Chmielinksi in tre tracce, e del sassofonista Chris Potter, in “Maiden Voyage” .

Michel Benita – “River Silver” – ECM 2483
riversilverAnche il contrabbassista Michel Benita approda alla corte ECM e lo merita ampiamente dato che, a nostro avviso, si tratta di uno dei migliori contrabbassisti che il jazz europeo possa vantare. Per questa sua prima uscita per la casa tedesca, Benita si presenta con il suo abituale quintetto completato da Matthieu Michel flicorno, Mieko Miyazaki koto, Eivind Aarset chitarra elettrica, elettronica e Philippe Garcia batteria. Si tratta di una sorta di multinazionale del jazz: il leader è algerino, Michel svizzero, Mieko giapponese, Aarset norvegese e Garcia francese. Pur provenendo da mondi diversi, i cinque mostrano un’intesa perfetta declinata attraverso tutto il cd: nove composizioni di cui sei a firma del leader e gli altri tre – “Yeavering”, “Hacihi Gatsu” e “Lykken” – a firma rispettivamente di Kathryn Tickell, Mieko Miyazaki ed Eivind Aarset. L’atmosfera che si respira è sostanzialmente intimista, ricca di sottigliezze ritmico-armoniche, di raffinatezze melodiche disegnate soprattutto da due musicisti: Matthieu Michel flicornista di grande sensibilità e soprattutto Mieko Miyazaki squisita specialista del koto, lo strumento a corde giapponese mutuato addirittura dalla tradizione cinese. Ed è forse nel dialogo tra questi due musicisti, nel connubio tra questo strumento “antico” e il clima voluto da Benita che si richiama esplicitamente al jazz nord-europeo, il pregio principale dell’album. Esemplare, al riguardo, il brano d’apertura, “Back From The Moon”, vero e proprio manifesto della concezione estetica di Benita e compagni.

Black String – “Mask Dance” – ACT 9036-2
mask-dance_teaser_550xAlbum affascinante ma non ascrivibile sic et simpliciter alla categoria jazz questo album inciso alla fine di giugno è già immesso sul mercato. Protagonista un quartetto di musicisti coreani, guidati da Yoon Jeong Heo, (specialista di geomungo, sorta di citara a sei corde) nel cui ambito tre suonano strumenti tradizionali mentre il quarto, Jean Oh, è un chitarrista jazz che si è fatto le ossa in quel di New York. Di qui una sonorità a tratti straniante che, in qualche modo, collega la musica coreana ad un sound di carattere più internazionale (è il caso, ad esempio, della title-track). L’atmosfera rimane, comunque, sostanzialmente orientale con delicate melopee che dolcemente si insinuano nelle orecchie e nell’anima dell’ascoltatore (esemplare al riguardo “Growth Ring”, tutta giocata sul contrapporsi di suoni elettronici e suoni tradizionali dovuti allo straordinario utilizzo del daegeum – flauto di bambù – da parte di Aram Lee specialista anche di yanggeum, sorta di salterio coreano). Man mano che si procede nell’ascolto dell’album, si avverte sempre più forte l’intesa tra i quattro musicisti tanto che ancora Aram Lee arriva esplicitamente ad affermare che per ottenere un buon sound è necessario conoscere l’anima l’uno dell’altro. Il che ci riporta alle discipline filosofiche orientali che non possiamo in questa sede minimamente sfiorare. Tornando al fattore musicale, nell’album si alternano brani di chiara ispirazione tradizionale (“Song From Heaven” con la voce di Min Wang Hwang) a pezzi di impronta più moderna e occidentale (“Flowing, Floating” dall’andamento fortemente percussivo e a tratti ipnotico) fino a chiudere con “Strangeness of the Moon” brano etereo e spiazzante essendo davvero tante le fonti da cui trae ispirazione.

Jakob Bro – “Streams” – ECM 2499
streamsDopo “Gefion” del 2013, il chitarrista danese Jakob Bro presenta il suo secondo album da leader per la ECM: accanto a lui il compagno di sempre, il contrabbassista Thomas Morgan stella nascente dalla scena newyorkese, mentre alla batteria Joey Baron sostituisce Jon Christensen. Il risultato è ancora una volta notevole: il musicista, in effetti, approfondisce quella che è la sua idea di trio tutta giocata sulla melodia, sul concetto di spazio quanto mai allargato (com’è nella migliore tradizione del jazz nordico), sul sound e sull’intesa. E al riguardo non si può non sottolineare ancora una volta come chitarrista e bassista costituiscano, oramai, un duo di straordinaria efficacia, riuscendo a sorreggersi vicendevolmente e a portare avanti di comune accordo un discorso, spesso improvvisato e per ciò stesso non facile. Ovviamente importante anche la figura del batterista: così come accadeva nella precedente formazione con Christensen, anche Joey Baron ricopre un ruolo rilevante fungendo da collante e allo stesso tempo fornendo un supporto ritmico puntuale e fantasioso. In repertorio cinque nuovi pezzi di Bro – “Opal”, “Full Moon Europa”, “Shell Pink”, “Sisimiut” e “Heroines” (presentato in duplice versione, dapprima in trio e quindi in solo) mentre il sesto pezzo – “PM Dream”– è frutto di un’improvvisazione collettiva dei tre musicisti; il brano è dedicato a Paul Motian e la cosa si spiega agevolmente ove si tenga presente che sia Bro sia Morgan hanno collaborato con Motian. L’album si ascolta con grande interesse in quanto, grazie anche alle sofisticate armonie di Morgan e alle suggestioni ritmiche di Baron, Bro ha la possibilità di esprimere appieno tutte le proprie potenzialità compositive declinate su atmosfere sempre pacate, alle volte oniriche, mai banali.

Peter Erskine – “As It Was” – 4 cd ECM 2490-2493
as-it-wasLa ECM ha rimesso in circolazione, in un apposito cofanetto della collana “Old and New Masters Series” , i quattro album incisi dal trio del batterista Peter Erskine con il contrabbassista svedese Palle Danielsson e il pianista inglese John Taylor tra il 1992 e il 1997 (“You Never Know” 1992, “Time Being” 1993, “As It Was” 1995, “Juni” 1997). La musica testimonia da un canto la grandezza di questo straordinario gruppo, dall’altro l’eccellenza di un artista – quale Erskine – che proprio in quegli anni attraversava un periodo di profonda maturazione e di mutamento nel suo modo di intendere il ruolo della batteria. E’ lo stesso Erskine a spiegarlo nel corso di un’intervista laddove afferma che mentre prima intendeva “costruire tensione aumentando la gamma percussiva”, nel nuovo contesto costituito dalla collaborazione con Danielsson e Taylor si è reso conto che occorreva “creare tensione senza ricorrere alla forza”. Di qui una tecnica percussiva più controllata, un diverso modo di concepire l’esecuzione con molta più cura per i colori e la tessitura ritmica. Ed evidentemente tutto ciò si riflette sulla musica che si ascolta nei quattro album: il trio appare perfettamente bilanciato, con il pianista (scomparso nel 2015) ad evidenziare ancora una volta il suo gusto melodico e la sua diretta discendenza da Bill Evans, Palle Danielsson a confermare la straordinaria versatilità del suo incedere ed Erskine che abbandona qualsivoglia pretesa di protagonismo per mettersi compiutamente al servizio del collettivo.

E.S.T. Symphony – ACT 90342
9034-2_Titel.inddHans Ek è un nome che poco o nulla dirà agli appassionati italiani, eppure si tratta di uno dei più fantasiosi e originali arrangiatori attualmente in attività in quel di Svezia. Ek, a distanza di otto anni dalla morte di Esbjörn Svensson, ha deciso di tributare un omaggio al pianista e al suo E.S.T. Trio completato dal bassista Dan Berglund e dal batterista Magnus Ostrom. Come certamente si ricorderà, l’E.S.T. fu uno dei principali protagonisti sulle scene jazzistiche del primo decennio di questo nuovo millennio, raggiungendo una popolarità che andava oltre gli ancor stretti confini del jazz: non a caso ha scalato le classifiche sia pop sia jazz ed è stato il primo gruppo europeo a meritarsi la copertina di Downbeat. Partendo da queste premesse, Hans Ek ha scelto dieci composizioni del repertorio del trio, li ha riarrangiati (ad eccezione di “Dodge the Dodo” presentato nell’originale arrangiamento di Esbjörn Svensson) e li ha fatti eseguire dalla Royal Stockholm Philharmonic Orchestra, rinforzata da alcuni solisti di vaglia quali il sassofonista Marius Neset, il trombettista Pohjola Verneri, il pianista Iiro Rantala, il chitarrista Johan Lindström, membro dei Tonbruket, band guidata dall’ex bassista dell’E.S.T., Dan Berglund, presente anch’egli nel disco così come il batterista Magnus Öström. Il risultato è davvero eccellente: i brani sono magnifici, – ma già li conoscevamo – e nulla hanno perso dell’originario fascino. Anzi le orchestrazioni di Ek evidenziano quante potenzialità ci fossero nella musica del Trio che a ben ragione lo stesso Svensson considerava avere un respiro quasi sinfonico.

Anat Fort Trio, Gianluigi Trovesi – “Birdwatching” – ECM 2382
birdwatchingDopo “A Long Story” e “And If”, rispettivamente del 2004 e del 2009, la pianista israeliana Anat Fort arriva al suo terzo album ECM con lo stesso trio del precedente (Gary Wang al basso e Roland Schneider alla batteria) ‘rinforzato’ per l’occasione da Gianluigi Trovesi al clarinetto alto. E si tratta di un rinforzo quanto mai prezioso dato che l’apporto di Trovesi appare fondamentale per la buona riuscita del disco. E la cosa non stupisce più di tanto ove si tenga presente che Trovesi è oramai da anni una delle più spiccate e originali personalità del jazz europeo. Nei brani in cui è presente Trovesi aggiunge molto alla tavolozza coloristica e timbrica del trio assumendo spesso il ruolo di capofila e guidando così il combo verso quella cantabilità melodica che gli è congeniale. Dal canto suo la Fort conferma di essere musicista allo stesso tempo intelligente (dato lo spazio concesso a Trovesi) e talentuosa: i suoi assolo sono sempre misurati, in perfetto bilanciamento tra scrittura e improvvisazione, senza alcun cedimento alla spettacolarità a tutto vantaggio di una essenzialità di linguaggio che rende ancor più prezioso l’album. E non basta ché l’artista israeliana dimostra ancora una volta le sue doti compositive dal momento che ben nove dei dieci brani presentati sono da lei firmati mentre il decimo è una composizione collettiva di tutti e quattro i musicisti. Particolarmente convincenti “It’s Your Song” in trio e “Song of the Phoenix Pt.1 “ in quartetto. Ultima notazione: il titolo dell’album, spiega Anat, si riferisce non solo al bird-watching in natura ma anche al monitoraggio di “quell’uccello interiore, che è l’anima.”

Richard Galliano – “New Jazz Musette” – ponderosa 2cd
new-jazz-musetteSono passati trentuno anni da quando Galliano firmava il suo primo album, “Spleen”, e da quando era il leader dei “New Musette Quartet”, ed era il 1991 quando incideva il “New Musette”. L’artista ha voluto ora festeggiare queste ricorrenze con un doppio album alla testa di un quartetto con Sylvain Luc alla chitarra, Pihilippe Aerts al contrabbasso e André Ceccarelli alla batteria. Il titolo non poteva essere più esplicito: dopo il “New Musette” del 1991, il fisarmonicista francese di origine italiana torna sui suoi passi con la ferma intenzione di riprendere la propria strada, di riacquistare quella precisa identità che temeva di perdere essendosi dedicato, in questi ultimi tempi, troppo spesso alla musica classica. Quindi un ritorno alle origini , a quel valse-musette che lo stesso Galliano definisce come “danza, nata in Francia con l’importante influenza degli italiani e quella dei manouches come Django Reinhardt”: ma attenzione, non si tratta di una mera riproposizione di vecchie formule ché adesso, nelle esecuzioni di Galliano, si può avvertire l’eco di influenze provenienti da mondi ‘altri’, da Piazzolla a Debussy, da Coltrane a Bill Evans . Di qui una musica affascinante, spesso velata di malinconia, corroborata dalla bellezza dei temi: Galliano ha, infatti, pescato nel suo vasto repertorio scegliendo e composizioni assai famose sempre richieste durante i concerti, come “Spleen”, “Tango pour Claude”, “Fou rire”, “Waltz for Nicky” e brani magari meno eseguiti ma cari all’artista come “Aurore” e “Billie”, quest’ultimo già presente nell’album “From Holiday to Edith Piaf” registrato live durante il Festival di Marciac nell’agosto del 2008 con il Wynton Marsalis Quintet. Insomma per chi ama il genere, un album imperdibile!

H Duo, HBH Trio – “Q sessions” – Slam 2 cd
q-sessionsQuesto doppio CD ci presenta due situazioni: il primo album, registrato nel 2015 durante il Festival Jazz di Buenos Aires, vede come protagonisti David Haney al pianoforte e Jorge Hernaez al contrabbasso; nel secondo, registrato durante un concerto a Mendoza nel novembre del 2015, ai due si aggiunge il chitarrista David Bajda. Dato che si tratta di artisti probabilmente non troppo conosciuti dal pubblico italiano, vale forse spendere qualche parola al riguardo. David Haney, oltre che pianista è anche eccellente compositore come dimostra il fatto che suoi lavori sono stati spesso eseguiti in tutto il Nord America; come strumentista viene considerato improvvisatore di vaglia tanto è vero che ha collaborato con jazzisti del calibro di Julian Priester, John Tchicai, Buell Neidlinger, tanto per citarne alcuni. Jorge Hernaez è il contrabbassista ‘titolare” della ‘Symphony Orchestra of the National University” di Cuyo, Mendoza; anch’egli improvvisatore e compositore ha visto le sue composizioni eseguite in Nord e Sud America. I due suonano assieme, in situazioni sempre di totale improvvisazione, sin dal 2002 e l’intesa si avverte immediatamente ascoltando il primo CD. La musica, seppure, come si accennava, totalmente improvvisata scorre fluida, mai banale e neppure di troppo astrusa fruizione. Il pianoforte si libra nell’aria con tocco deciso e grande controllo della dinamica mentre Hernaez stupisce per la pertinenza e la velocità con cui disegna, anche con l’archetto, complesse armonie non disdegnando di porsi egli stesso, come strumento guida. David Bajda è un chitarrista di estrazione classica ed eccellente compositore le cui influenze derivano tanto dal Sud America quanto dall’Est Europeo; di qui uno stile compositivo ed esecutivo di grande originalità. Il trio da lui composto con Haney e Hernaez , che si ascolta nel secondo CD, ha a disposizione una tavolozza più variegata che sfrutta adeguatamente. In particolare Bajda è spesso in primissimo piano (lo si ascolti particolarmente in “Tocayo”) in funzione ora leaderistica ora ritmica non disdegnando di intervenire anche in funzione quasi puntillistica dando ad ogni nota un sua precisa e pesante rilevanza ad evidente scapito del tessuto musicale. D’altro canto il terreno su cui si muovono i tre, come già sottolineato, è quello dell’improvvisazione totale in cui spesso il tessuto musicale complessivo non è certo la principale preoccupazione degli artisti.

Frode Haltli – “Air” – ECM New Series 2496
airI lettori di “A proposito di jazz” conoscono la mia passione per la fisarmonica, passione che mi porta a segnalarvi album in cui si esibiscono fisarmonicisti di vaglia anche se al di fuori dell’ambito prettamente jazzistico. E’ il caso di questo splendido volume targato “ECM New Series” che ci propone un esauriente spaccato della moderna musica scandinava. Protagonisti due compositori danesi Bent Sørensen, e Hans Abrahamsen rispettivamente classe 1958, 1952; i “Trondheim Soloists” gruppo costituito nel 1988 che trae il nome dalla omonima città Norvegese; l’ “Arditti Quartet” fondato nel 1974 e guidato dalla violinista inglese Irvine Arditti, e in veste solista il fisarmonicista norvegese Frode Haltli che collabora con la ECM dal 2002. Quest’ultimo album si inserisce nell’alveo della cosiddetta ‘new semplicity’, corrente nata a cavallo tra gli anni ’60 e ‘70 in contrapposizione alla complessità della cd. corrente di Darmstadt. Ma nel caso in oggetto, specifica Haltli, si tratta di semplicità solo apparente ché Hans Abrahamsen non lascia alcunché al caso essendo tutto molto ben scritto e specificato nelle partiture. Partiture che vengono affrontate da Haltli con organici diversi: ora con i ‘Trondheim Soloists’, ora in splendida solitudine ora con l’Arditti Quartet. Il fisarmonicista è molto legato ad ambedue i compositori: per sua stessa ammissione le composizioni di Sørensen hanno influenzato il suo modo non solo di intendere la musica ma di concepire il ruolo stesso della fisarmonica come strumento improvvisatore negli ambiti più diversi mentre il legame con Abrahamsen è così forte che il compositore ha accettato il suggerimento di Hatli di riprendere un vecchio lavoro “Canzona” del 1978 e farne un nuovo pezzo: ecco quindi il brano che dà il titolo all’intero album. Comunque, indipendentemente dal contesto in cui si esprime, Haltli evidenzia una classe di eccelso livello. La sua padronanza strumentale è perfetta, assoluto il controllo della dinamica così come incredibile appare la sua capacità inventiva. Sotto le sue dita l’ascoltatore è immerso in un alternarsi di atmosfere che si creano e si dissolvono, in un gioco di rimandi del tutto coerente ma allo stesso tempo del tutto imprevedibile.

Keith Jarrett – “A Multitude of Angels” – ECM 4 CD Set 2500-03
a-multitude-of-angels_allaboutjazz_kaEcco un bel regalo per i tanti estimatori di Keith Jarrett: un cofanetto targato ECM e contenente registrazioni inedite tratte da concerti in piano solo tenuti in Italia nel mese di ottobre 1996 a Modena, Ferrara, Torino e Genova. Negli ultimi tempi non abbiamo risparmiato critiche a Jarrett per i suoi comportamenti spesso inaccettabili pur restando il suo pianismo una delle cose più interessanti che ancora oggi il jazz possa riservarci. E questi quattro CD lo confermano appieno anche se, ovviamente, si riferiscono ad un passato non troppo recente. Come si accennava, Jarrett viene registrato nel mese di ottobre di vent’anni fa, in un periodo particolarmente significativo per il pianista di Allentown che ha da poco superato la soglia dei settant’anni. Chi in quei mesi ebbe la fortuna di ascoltare Jarrett, ricorderà forse come in questi concerti il pianista fosse solito proporre due set di improvvisazione molto lunghi e senza pause; ad esempio la prima parte del concerto di Ferrara del 25 ottobre dura oltre 43 minuti. Ebbene questi concerti rappresentano la conclusione degli esperimenti del pianista in tal senso: “Questi – afferma lo stesso Jarrett – sono stati gli ultimi concerti in cui ho suonato senza pause all’interno di ogni set”. Ora prescindendo dal valore storico di queste registrazioni nella carriera di uno dei più grandi pianisti di oggi, al di là di qualsivoglia etichetta, qual è la qualità della musica che si ascolta nei quattro CD? Sarebbe facile rispondere : ottima, e il discorso si chiuderebbe qui. Ma forse la realtà è più complessa. Jarrett in quel periodo sperimentava, sperimentava di continuo con grande dispendio di energie nervose; non a caso dopo questi concerti Keith rimase lontano dalle scene per due anni a seguito della diagnosi di sindrome da affaticamento cronico. Ovviamente quando si affronta una strada di cui non si conosce preventivamente il percorso, qualche momento di stanca inevitabilmente si presenta. Ed è quanto accade anche in queste performances, ma si tratta davvero di pochi momenti ché l’impianto generale dei concerti rimane di grande fascino. Jarrett suona molto bene, con quel tocco che da sempre lo caratterizza, con la sua straordinaria capacità di improvvisare componendo in tempo reale e restando – come sostiene Stefano Battaglia – naturalmente spontaneo, con quel virtuosismo spesso al servizio dell’espressività, con un linguaggio prettamente jazzistico che altre volte Jarrett aveva abbandonato. Insomma grande musica eseguita da un grande artista.

Branford Marsalis Quartet, Special Guest Kurt Elling – “Upward Spiral” – Okeh
upwardspiral_cover_1500x1500Quattro Grammy in due: tre per Branford Marsalis e uno per Kurt Elling. E sono proprio loro i protagonisti di questo gradevole album; il sassofonista si presenta con il suo oramai abituale quartetto completato da Joey Calderazzo al piano Eric Revis al basso  e Justin Faulkner alla batteria con l’aggiunta, come accennato, della splendida voce di Kurt Elling. Data per scontata la statura artistica dei personaggi , la musica prodotta è di gran qualità: certo si può sempre affermare che questo tipo di jazz non incontra i propri favori, ma non si può discutere l’abilità dei musicisti e quindi la valenza dell’album. Marsalis è in forma smagliante e i suoi lunghi assolo evidenziano un artista che sa piegare il proprio strumento alle esigenze espressive e che soprattutto sa ben adattare il proprio fraseggio al brano che esegue. Così appare convincente sia nella melanconica ballade “Practical Arrangement” (di Sting e Robert Matheson) – uno dei brani più toccanti dell’album – sia nell’iniziale “There’s A Boat Dat’s Leavin’ Soon For New York” di Gershwin dall’andamento ben più mosso. Dal canto suo Kurt Elling dimostra ancora una volta quanta sia fondata l’opinione di coloro che lo considerano uno dei migliori – se non il migliore – interprete del canto jazz maschile in questo momento. E quanto sia azzeccato il connubio Marsalis-Elling lo evidenzia la splendida esecuzione, in duo, di `I’m a Fool to Want You’di Sinatra, Wolf, Herron Per quanto concerne gli altri artisti, splendida l’intesa tra Joey Calderazzo e Branford Marsalis: i due si intendono con naturalezza e il pianismo di Joey appare sempre lucido, capace di seguire con pertinenza l’evolversi del discorso musicale sia quando sottolinea le ampie volute disegnate dal sax del leader sia quando si lancia in assolo senza rete. Perfetto l’apporto della sezione ritmica, precisa, puntuale, propositiva.

Wolfgang Muthspiel – “Rising Grace” – ECM 2515
risinggraceCinque fuoriclasse sono i protagonisti di questo album targato ECM: Wolfgang Muthspiel chitarra, Larry Grenadier contrabbasso (i due suonano assieme da circa un trentennio), Brian Blade batteria, Ambrose Akinmusire tromba, Brad Mehldau pianoforte, In programma dieci brani di cui nove scritti dal chitarrista, mentre il decimo, “Wolfgang’s Waltz”, è un evidente omaggio a Muthspiel scritto da Mehldau. Dando una scorsa ai componenti il gruppo, le aspettative per una musica di livello non possono che essere molto alte e occorre dire che, dopo aver ascoltato l’album tali aspettative sono pienamente rispettate. Anche se il CD vede il chitarrista come leader, si tratta in effetti di un gruppo in cui c’è un altro personaggio di grande spicco, Brad Mehldau. Il pianista si è fatto ascoltare di recente a Roma come vi ha riferito la nostra Daniela Floris, e non c’è dubbio che si tratti oggi di uno dei migliori pianisti jazz in attività. La sua visione della musica è aperta, onnicomprensiva, di qui la bellezza delle sue composizioni come il delizioso “Wolfgang’s Waltz “ impreziosito, come al solito, da un fraseggio sempre fluido, elegante, che si sostanzia in un flusso continuo di idee . E l’apporto di Mehldau va ben oltre questa sua composizione ché il suo tocco, le sue invenzioni sono ben percepibili per tutta la durata dell’album. Non secondario, poi, il contributo del trombettista Ambrose Akinmusire, elegante, misurato, mai sopra le righe a disegnare musica dalle ampie ed aree volute potendo, tra l’altro, contare su una sezione ritmica di assoluta eccellenza. Infine , ma giusto per facilità di esposizione, c’è lui, il leader, Wolfgang Muthspiel che, se pur ce ne fosse stato bisogno, si dimostra artista oramai maturo; il chitarrista austriaco è in grado di guidare un gruppo di musicisti di altissimo livello grazie ad un perfetto controllo del percorso musicale che gli consente di alternare parti d’insieme e assoli in un gioco continuo di rimandi che evidenziano quale grado di empatia si sia instaurato tra i cinque.

Emile Parisien with Joachim Kühn – “Sfumato” – ACT 9837-2
sfumatoIl jazz francese sta vivendo un momento particolarmente felice grazie ad alcuni artisti quali Emile Parisien e Grégory Privat di cui parleremo nella successiva recensione. Ambedue incidono per la ACT e ambedue questi album sono di recentissima pubblicazione. Ma soffermiamoci adesso sul solo Parisien. Il sassofonista si presenta in quintetto con il grande pianista tedesco Joachim Kühn, Manu Codjia alla chitarra, Simon Tailleau al contrabbasso e Mario Costa alla batteria cui si aggiungono, quali special guests, Michel Portal al clarinetto basso e Vincent Peirani all’accordion in tre brani. Il repertorio è composto in massima parte da pezzi di Parisien (scritti da solo o in collaborazione con Julien Touéry, Ivan Gélugne e Sylvain Darrifourcq due e Joachim Kühn uno ) più due brani del pianista tedesco. Il risultato è semplicemente eccellente: innanzitutto davvero ottima l’intesa che si è creata tra i musicisti in studio ad onta della grande differenza di età (Kühn classe 1944, Portal classe 1935 e Parisien classe 1982). Il fatto è che Parisien è un artista visionario, un musicista che riesce a conciliare passato, presente e futuro conoscendo assai bene sia il linguaggio di tutto il jazz sia la musica popolare sia la musica classica contemporanea. Ed è proprio da questa considerazione che si capisce bene come Emile sia riuscito a far convivere la sua personalissima visione del jazz con quella dei due straordinari compagni di viaggio , l’uno – Portal – clarinettista, sassofonista, bandoneonista, grande interprete di pagine di Mozart e Brahms, così come di Boulez, Berio, Stockhausen e Kagel, nonché del jazz d’avanguardia europeo, l’altro – Kühn – che ha saputo alternare un’ anima “jazz/rock” con progetti più “sperimentali” concernenti sia il jazz propriamente detto (Paul Bley, Cecil Taylor…) sia la musica moderna. Di qui un jazz aperto, in cui alla classe dei tre su nomati artisti si aggiunge una sezione ritmica di assoluta eccellenza e un Vincent Peirani che ancora una volta dimostra di essere uno dei più originali fisarmonicisti europei…e non solo.

Grégory Privat Trio – “Family Tree” – ACT 9834-2
familytree-cover-2Grégory Privat – ci scuserete questa divagazione di carattere privato – ci rimanda indietro nel tempo, agli anni ’90, quando per motivi di lavoro frequentavamo la Martinica e partecipavamo sia ai Festival del Jazz sia ai Carrefour de la guitare. Ebbene, nel corso di uno di questi viaggi in quell’isola, avemmo modo di conoscere i componenti del celebre gruppo “Malavoi” di cui faceva parte proprio il padre di Grégory, José Privat, che lo indirizzò sin da piccolo allo studio del pianoforte. Così Gregory , dopo aver studiato pianoforte classico e intrapreso gli studi di ingegneria, a 27 anni decise di dedicarsi esclusivamente al jazz e i fatti gli hanno dato ragione. Eccolo quindi sulle scene francesi registrare nel 2011 « Ki Koté » e nel 2013 « Tales of Cyparis » ambedue in quintetto, mentre nel 2015, incide l’album « Luminescence » in duo con il batterista-percussionista Sonny Troupé . Per questo debutto in casa ACT, Privat ha scelto Linley Marthe al contrabbasso (notevole il suo assolo in “Filao”) e Tilo Bertholo alla batteria (particolarmente bravo in “Ladja” e “Galactica”). L’album è caratterizzato da una bella linea melodica, a tratti venata di nostalgia come la title-tracke a nostro avviso il pezzo più convincente dell’album. Album che segue una precisa linea d’ispirazione: il titolo, spiega lo stesso Privat, si riferisce all’albero genealogico della sua terra e quindi della sua musica; gli abitanti della Martinica provengono, storicamente, da varie parti del mondo, l’Africa, l’Europe, l’India forse anche dalla Cina, e in questa isola dei Caraibi (così come in altre isole dell’arcipelago) tutte queste culture si sono fuse in un unicum di grande interesse e Privat, traendo ispirazione da tutti questi input, spiega come ancora oggi tali culture coesistano in perfetto bilanciamento. Di qui una musica assai variegata, tutta composta da Privat, a tratti di ispirazione europea, a tratti più profondamente caraibica ma senza che tutto ciò minimamente alteri l’equilibrio complessivo dell’album che proprio da queste disparate influenze trae il suo motivo di fascino.

Madelyne Renée, Jacopo Jacopetti – “Some Like It Lyric” – Incipit 218
some-like-it-lyricI tentativi di conciliare lirica e jazz non sono certo nuovi: ricordiamo, al riguardo, lo straordinario arrangiamento di “Nessun dorma” di Giacomo Puccini ad opera di Lester Bowie o le escursioni sempre affascinanti di Danilo Rea nel mondo del ‘bel canto’. Questa volta a riprovarci sono un soprano di provata bravura ed un eccellente sassofonista. Nata a Boston, Madelyn Renée si è laureata alla Juilliard School of Music di New York e ha debuttato accanto a Luciano Pavarotti come Mimi ne “La Bohème”, ruolo che ha poi interpretato con il tenore in molti altri teatri. L’artista ha calcato i palcoscenici dei principali teatri d’opera del mondo, tra i quali, la Staatsoper di Vienna, l’Opéra National di Parigi, la Deutsche Oper di Berlino, l’Opéra di Montecarlo, The Metropolitan Opera , la Scala, la Fenice di Venezia… tanto per citarne alcuni. Jacopo Jacopetti è un sassofonista (tenore e soprano) che si è fatto notare suonando sia con alcuni nomi importanti della musica leggera italiana (Ornella Vanoni, Matia Bazar) sia con alcuni grandi maestri del jazz come Ran Blake. I due sono coadiuvati da un quintetto jazz con Marco Tamburini al flicorno, Paolo Birro al pianoforte, Paolo Ghetti al contrabbasso, Stefano Paolini alla batteria, José Antonio Molino alle percussioni, da una big band arrangiata e diretta da Marcello Tonolo in cui figurano, tra gli altri, Michele Polga al sax tenore, Nicola Fazzini al sax alto, Roberto Rossi al trombone e dalla Belarus State Teleradio Symphony Orchestra di Minsk (Belorussia) arrangiata da Stefano Bellon e diretta da Pierluigi Destro.…insomma un organico di tutto rispetto. In repertorio nove melodie celeberrime rivisitate in chiave jazzistica. L’album si fa ascoltare volentieri: i due sono riusciti a trovare una buona intesa e la copresenza di musicisti jazz e sinfonici crea quell’atmosfera nel cui ambito i due linguaggi riescono a ben integrarsi.

Max Roach Vol.2 – The Complete Remastered Recordings on Black Saints & Soul Note – Cam Jazz 6 CD set
max-roach-vol-2La Cam prosegue nella sua meritoria opera di ristampare i tanti capolavori incisi da alcuni grandi del jazz per la “Black Saints” e la “Soul Note” vale a dire le due storiche etichette condotte con straordinaria lungimiranza e competenza da Giovanni Bonandrini. Questo nuovo cofanetto racchiude sei album di Max Roach vale a dire “Pictures in A Frame” registrato live nel 1979, “In The Light” del 1982, “Live At Vielharmonic Munich” del 1983, “Scott Free” e “It’s Christmas Again” del 1984, e “Easy Winners” del 1985. Il batterista statunitense viene, quindi, colto in uno dei momenti più creativi della sua carriera quando guidava un quartetto composto da Cecil Bridgewater tromba e flicorno, Odean Pope sax tenore e   Calvin Hill o Tyrone Brown  basso. In alcuni di questi album Roach suonava con una formazione più allargata (doppio quartetto o settetto) ma l’ossatura del gruppo rimaneva, in ogni caso, il quartetto. Riascoltare questi album è come respirare una ventata di aria fresca, un’aria che ci ricorda quali e quanti capolavori il jazz abbia saputo regalarci durante la sua esistenza e di quanto, in tale ambito, sia stata importante la figura di Max Roach, artista fortemente impegnato anche nel sociale. Ciò detto risulta veramente difficile una qualsivoglia graduatoria tra i sei CD: tutti sono da ascoltare con il massimo interesse. Comunque per noi italiani “It’s Christmas Again” presenta un ulteriore motivo di interesse: accanto al quartetto di Max Roach con Tyrone Brown, figurano Lee Konitz e gli ‘italianissimi’ Tony Scott al clarinetto e Tomaso Lama alla chitarra che si fanno valere in un contesto pur così impegnativo.

Joona Toivanen – “Lone Room” – Cam Jazz 7904-2
lone-roomDopo alcuni eccellenti album incise sempre per la Cam Jazz e sempre con la medesima sezione ritmica composta da Tapani Toivanen al basso e Olavi Louhivuori alla batteria, il finlandese Joona Toivanen torna al piano-solo, esperienza già vissuta nel 2014 con l’album “Polarities”. Come più volte sottolineato, il solo rappresenta per un pianista un traguardo difficile da raggiungere dal momento che, proprio in questa dimensione, l’artista riesce probabilmente ad esprimere il meglio di sé, a evidenziare le proprie potenzialità, a dimostrare le sue capacità non solo esecutive ma anche – e forse soprattutto – improvvisative. Ciò premesso, come valutare questa prova di Toivanen? Più che positivamente dal momento che l’artista risponde appieno agli interrogativi posti in precedenza. Il suo linguaggio è assorto, originale, capace di fondere in mirabile sintesi gli umori della memoria nord europea dell’ultimo decennio, con gli stilemi della tradizione jazzistica d’oltreoceano. La ricerca del pianista sembra concentrarsi su due punti focali: da un canto la purezza del suono, dall’altro la ricerca della linea melodica e della cantabilità con un perfetto equilibrio tra pagina scritta e improvvisazione. Da non trascurare la bellezza dei brani, otto composizioni originali di Toivanen, tutti caratterizzati da un tono elegante e raffinato nonché da quella atmosfera di quiete propria del Nord Europa.

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