Tiresia – Enten Eller

Alberto Mandarini: trumpet
Maurizio Brunod: electric and acoustic guitars, live sampling, effects
Giovanni Maier: double Bass
Massimo Barbiero: drums and percussions

Per il suo trentennale, Enten Eller, nella sua formazione attuale, presenta Tiresia. Non vorrei troppo dilungarmi sulla storia del gruppo, sulla precedente discografia, su informazioni che si possono trovare agevolmente ovunque. Non vorrei utilizzare righe preziose per contestualizzare questo lavoro, poiché non mi interessa più di tanto inserirlo in uno schema.  Non conta lo schema, bensì il traguardo di un un cd autoprodotto in cui l’ improvvisazione è libera ma tutt’altro che casuale, ed è il propellente per un lavoro nuovo, fresco, e allo stesso tempo strutturato con una certa sapienza.
Tre le tracce in tutto, per 72 minuti di musica.

Morgan le Fay
E’ la chitarra acustica di Maurizio Brunod a dare l’avvio, con un’introduzione in tonalità minore quasi dolente. Quando si unisce il contrabbasso di Maier si passa al modo maggiore: gradualmente si uniscono la batteria di Massimo Barbiero e la tromba di Alberto Mandarini. Da quel momento parte un’ improvvisazione trasognata, emotiva, a tratti giocosa, reciprocamente fondata su un crescendo espressivo, che cambia profondamente, si evolve, approda a diverse atmosfere sonore. Fino ad approdare ad un episodio dall’aria sospesa, quasi fiabesco, in cui inizialmente sono le percussioni a decidere il suono complessivo, con il graduale uniformarsi ad esse della chitarra, del contrabbasso, della tromba. Progressivamente, ogni strumento emerge in duo con Barbiero e non si può definire esattamente chi, tra le percussioni e gli strumenti, canti, o chi, tra loro abbia una funzione meramente ritmica: perché la fusione è totale.  L’inspessirsi e l’assottigliarsi armonico, melodico, ritmico vengono percepiti come organismo unico. Anche quando il contrabbasso di Meier si unisce con l’archetto, anche quando Barbiero cambia strumento a percussione, anche quando la chitarra di Brunod e la tromba di Mandarini si modificano con gli effetti. E al momento della conclusione, con la chitarra acustica che torna a chiudere cerchio intrecciandosi con la tromba in live sampling, si è completamente rapiti: tanto che il silenzio equivale ad un improvviso rumore che ci desta di soprassalto.

Andromeda
A differenza di Morgan Le Fay l’inizio è basato su suoni distorti della chitarra, e su una batteria ritmicamente destrutturata: l’improvvisazione è libera, ma nettamente tesa alla creazione di un magma sonoro centripeto, e volto a riempire ogni spazio di attenzione, in una sorta di “horror vacui” acustico. Anche in questo caso si viene avviluppati completamente fino al divincolarsi della tromba di Mandarini, che improvvisamente si staglia sugli altri con un netto ostinato: che in realtà è semplicemente lo spunto per la creazione di un altro episodio sonoro. Anch’esso ha un effetto quasi ipnotico, un po’ per il ripetersi che pare infinito di quella cellula melodico ritmica, un po’ per il live sampling e gli effetti, un po’ perché questa è musica che sembra non avere un percorso diacronico, ma meditativo piuttosto, una sorta di espansione di un lungo istante nel quale si aspira ad una compiutezza finale.
Una ricerca continua di timbro, di suoni inusuali, di soluzioni armoniche, in cui la batteria non ha mai la funzione di far quadrare, geometrizzare un andamento, ma piuttosto di allargarne i confini. E’ strumento armonico più che ritmico. Gli episodi si avvicendano con un sapiente alternarsi o aggregarsi dei componenti del quartetto, che mutano continuamente timbro, da acustico, ad elettronico, ad acustico. Il finale è un acquietarsi progressivo su suoni di conchiglie, note gravi con l’archetto del contrabbasso, frasi della tromba che si fanno spazio in un’aria sempre più rarefatta.

Aylan
Il tema conduttore iniziale lo introduce la tromba, che viaggia libera fluttuando su uno sfondo reiterato all’infinito dalla chitarra, e che si intreccia al contrabbasso e alla batteria. L’ improvvisazione è totale, libera, aperta, ariosa. Stavolta però si ha la sensazione di procedere in avanti: quella tromba corre veloce, ha un suo tema definito che sembra percorrere luoghi sonori inesplorati fino a trasformarsi, improvvisamente: gli effetti elettronici prevalgono, le percussioni cambiano. Tutto è sospeso fino all’entrata creativa ed incisiva del violino di Parrini, che sembra diventare causa scatenante del successivo assolo di contrabbasso, e del nascere di un nuovo flusso sonoro collettivo, vibrante, straniante. Musica in continuo, veloce divenire: perché quel viaggio libero e fluttuante continua, anche drammaticamente, per certi versi persino in modo teatrale, fino all’epilogo.
Tiresia non è di certo musica semplice: eppure è indiscutibilmente musica che evoca, trascina, che non lascia né distaccati, né tanto meno inerti.

 

Rainbow Nation porta la grande avventura del jazz sudafricano allo Zingarò Jazz Club di Faenza.

Rainbow Nation @ Zingarò Jazz Club, Faenza

Rainbow Nation
Gaspare De Vito. sax alto
Francesco Bucci. trombone
Federico Squassabia. Fender Rhodes
Pierluigi Mingotti. basso
Youssef Ait Bouazza. batteria

Mercoledì 1 Febbraio 2017. ore 22
ingresso libero

Zingarò Jazz Club
Faenza. Via Campidori, 11
web: www.twitter.com/zingarojazzclub

Mercoledì primo febbraio 2017, lo Zingarò Jazz Club ospita uno sguardo al jazz sudafricano con Rainbow Nation, la formazione composta da Gaspare De Vito al sax alto, Francesco Bucci al trombone, Federico Squassabia al Fender Rhodes, Pierluigi Mingotti al basso e Youssef Ait Bouazza alla batteria. Il concerto avrà inizio alle 22 con ingresso libero.

Rainbow Nation vuole essere uno dei tanti ponti che parte dalla penisola italiana per dar vita ad un dialogo creativo con la visione sudafricana del jazz: il fulcro del progetto sono la scoperta di tradizioni e, nello stesso tempo, il volgere lo sguardo verso nuovi possibili orizzonti musicali.

Ritmi straripanti, una vitalità contagiosa e melodie indimenticabili sono l’emblema della musica sudafricana e della sua storia. Rainbow Nation, gruppo diretto da Gaspare De Vito e Federico Squassabia, rende omaggio a questa grande narrazione e a molti dei suoi protagonisti – come Abdullah Ibrahim, Dudu Pukwana, Chris McGregor e Luis Moholo tra gli altri – spesso inevitabilmente profughi in altre nazioni, soprattutto in Gran Bretagna. (altro…)

An Italian Tale: Antonino Cicero e Luciano Troja in concerto!

Sabato 21 gennaio 2017
h. 21.00
Auditorium Rai
Viale Strasburgo 19
Palermo

Venerdì 27 gennaio 2017
h. 21.00
La Feltrinelli Point
via Ghibellina 32
Messina

Sabato 28 gennaio 2017
h. 17.30
Teatro Rendano
Sala Quintieri
Piazza XV Marzo
Cosenza

Tre concerti di presentazione del nuovo disco An Italian Tale per Antonino Cicero e Luciano Troja! Sabato 21 gennaio all’Auditorium Rai di Palermo, venerdì 27 alla Feltrinelli di Messina e sabato 28 al teatro Rendano di Cosenza, i due musicisti messinesi porteranno dal vivo questo eccezionale album pubblicato da Almendra Music. An Italian Tale è una ricerca in musica tra le storie e le canzoni di Giovanni D’Anzi, che sono state lo spunto ispiratore per due musicisti diversi per estrazione e provenienza ma affini per curiosità, intraprendenza, preparazione e fantasia. Cicero e Troja hanno trovato in un nucleo di canzoni di D’Anzi un territorio da esplorare reinventando – si tratta di musiche originali scritte da Troja – il rapporto tra jazz e melodia italiana, equilibri classici e songbook, per condurre l’ascoltatore tra atmosfere, suggestioni e fantasie del secolo scorso, verso un oggi possibile. (altro…)

Massimo Giuseppe Bianchi svela Bach attraverso il tempo

CD Decca 4814521 / Digitale

Un autore può dirsi immortale se nel futuro altri grandi autori non ne potranno mai prescindere. Il che vale per ogni arte: letteratura, arti figurative, musica. Bach è certamente autore immortale, e non occorre in questo articolo darne le prove, tanto più che chi vi scrive non è certo in grado di parlare di Bach: ma di ascoltarne una interpretazione sì.

E poi le prove dell’immortalità di Bach ce le fornisce Massimo Giuseppe Bianchi, che in questo disco con la prestigiosa casa discografica Decca decide di svelare a chi ascolta come Bach abbia attraversato il tempo, filtrato dalla grande personalità artistica di quattro autori magnifici: Ferruccio Busoni, Max Reger, Franz Liszt, CésarFranck.
Ma non pensate che Bianchi ripercorra questa sorta di metalinguaggio musicale bachiano tenendosi distaccato e lontano da ognuno di questi musicisti, Bach compreso.
Perché nella musica colta, chi esegue anche in maniera rigorosa le composizioni altrui, non è mai pedissequo, ma, se artista a sua volta, che è il caso di Bianchi, filtra l’opera con il proprio sentire e con il proprio personale linguaggio, nonché con il proprio tocco, anche quando, come in questo caso, a monte di tutto il lavoro c’è un severo studio filologico, e una cultura del rispetto delle intenzioni degli artisti che vengono eseguiti.
Dunque in questo ambizioso progetto di rilettura di un titano della musica attraverso quattro grandi compositori, ciò che si ascolta è il miracolo dell’eternità di quella stessa musica, ove per eternità si intenda la capacità del rimanere viva, di riuscire a rimanere “coeva” pur risalendo a secoli prima: Bach travalica il 700 e giunge e rinasce nel 900 in Ferruccio Busoni, che ne trascrive la celeberrima Toccata e Fuga in Re minore BWV 565. Un suo tema dall’ opera 81 diventa la matrice preziosa di Variations ad Fugue on a theme of J.S. Bach di Max Reger. Franz Liszt a lui si ispira per Weinen, Klagen, Sorgen, Zagen Variations on Bach Cantata,S.179, facendone quasi una dolente visione onirica. Infine César Franck, con Prélude, Corale et Fugue, mostra come un mondo sonoro apparentemente lontano da Bach sia in realtà così intimamente a lui legato. Per chi sia bravo a coglierlo, lo cita, addirittura, ma non occorrono citazioni: Bach si staglia evidente nella solennità grandiosa e quasi drammatica dell’andamento del Preludio, o in quello placido ma struggente del Corale, o in quello contrappuntistico della Fuga.
Massimo Giuseppe Bianchi infine approda a Bach, senza mediazioni se non quella delle proprie sapienti mani con il Capriccio sopra la lontananza dal fratello dilettissimo, in cui la difficoltà è di certo data anche dal dover interiorizzare per poi esprimere, ed evocare, un sentimento profondamente umano e in questo caso molto definito: la nostalgia di un fratello.
Il virtuosismo, che Massimo Giuseppe Bianchi dimostra possedere non certo come qualità fine a sé stessa ma come possibilità ulteriore di espressività, emerge in tutti i brani di questo disco prezioso: prezioso perché testimonianza di un’eterno “esserci” di Bach in tutta la musica a lui successiva. Prezioso perché testimonianza di quanto ogni artista metta sé stesso e qualcosa di inedito e mai udito prima, nonostante il grande passato che lo precede e che lo ha formato.
Ed infine, prezioso poiché mostra che chi esegue musica non propria, se è a sua volta un vero musicista, imprime molto di sé a quell’opera: non a caso Massimo Giuseppe Bianchi è anche improvvisatore di grande personalità. Solo chi ha personalità può, come Bianchi in Around Bach, raccontare la grande musica in maniera così affascinante: come dire, Shakespeare letto da un corretto e didascalico doppiatore è un conto, letto da un grande attore è tutt’altra questione.

 

“Napoli Trip” con Stefano Bollani e Daniele Sepe

 

“Napoli. Ho sempre amato questa città che vive di estremi, fra grandi difficoltà e grandi gioie e che ho frequentato moltissimo, perfino più di Rio, l’altra mia passione”. Una dichiarazione che rivela tutto l’amore di Stefano Bollani verso Parthenope, la leggendaria dea-sirena, fondatrice della città di Napoli. E a questa splendida città è dedicato il concerto del pianista milanese, che si esibisce mercoledì 25 gennaio alle 21 al Teatro Giuseppe Verdi di Pordenone, in quartetto con il sassofonista napoletano Daniele Sepe.

L’evento, proposto nel cartellone di “NOTENUOVE 10” dall’Associazione Culturale Euritmica di Udine – che con questo concerto avvia una nuova collaborazione con il teatro pordenonese – è sostenuto dalla Regione FVG e dalla Banca Popolare di Cividale.

Dopo il successo delle sette puntate evento, su Rai 1, del late night show “L’importante è avere un piano”, Bollani presenta, quindi,  sul palco del Verdi uno dei suoi più recenti progetti, discografici e live, ‘Napoli Trip’, che nasce da un amore che ha radici lontane, da quando il pianista, appena undicenne, scoprì il grande Renato Carosone, l’artista che prima di ogni altro lo ispirò in quella che diverrà la sua filosofia artistica: “uno che suonava il piano, scriveva canzoni, cantava e si divertiva”.

Ma ‘Napoli Trip’ non è un semplice tributo personale, è un concerto dalle mille anime, tutte quelle che danno vita al fenomenale ensemble di grandi talenti di livello internazionale che sono i suoi compagni in questa avventura nelle sonorità mediterranee. In primis il compositore e sassofonista Daniele Sepe, a garanzia della napoletanità più “popolare”, ma sempre declinata in diversi generi e stili, con Nico Gori al clarinetto e Bernardo Guerra alla batteria.

Con questi artisti, che condividono con Bollani lo stesso approccio eclettico alla musica e la stessa poliedricità, il pianista può suonare la musica che più ama, classica e meticcia, ma anche inedita e ricca di suggestioni brasiliane, dando vita ogni volta ad un viaggio sempre diverso che rilegge le pietre miliari della musica napoletana, senza spaventarsi davanti a salti di genere e di tempo e, soprattutto, improvvisando. Si passa così da Raffaele Viviani a Nino Taranto, per tornare all’amore per Renato Carosone e omaggiare Pino Daniele, fino a Reginella.

Note Nuove continuerà la sua programmazione al Verdi di Pordenone anche per un altro appuntamento della stagione: il concerto del pianista delle emozioni, Ezio Bosso, in scena con un duo di archi l’11 febbraio. Per questo concerto si annuncia il sold-out.

 

Chiara Pancaldi Trio @ Zingarò Jazz Club, Faenza

Chiara Pancaldi Trio “Songs don’t grow old alone”
Chiara Pancaldi. voce
Giancarlo Bianchetti. chitarra
Stefano Senni. contrabbasso

Mercoledì 25 Gennaio 2017. ore 22
ingresso libero

Zingarò Jazz Club
Faenza. Via Campidori, 11
web: www.twitter.com/zingarojazzclub ; www.ristorantezingaro.com

Mercoledì 25 gennaio 2017, la voce di Chiara Pancaldi è la protagonista sul palco dello Zingarò Jazz Club di Faenza. La cantante presenta il suo progetto in trio,  Songs don’t grow old alone, insieme a Giancarlo Bianchetti alla chitarra e Stefano Senni al contrabbasso. Il concerto avrà inizio alle 22 con ingresso libero.

Le canzoni non maturano da sole, hanno bisogno di essere condivise. Chiara Pancaldi costruisce un concerto intimo e delicato, cerca nella comunicazione intensa e coinvolgente tra i musicisti ed il pubblico l’ingrediente segreto che permette alle canzoni di svilupparsi e maturare. La musica brasiliana, gli standard della tradizione jazzistica e i brani originali vengono interpretati con freschezza e con la spiccata attitudine verso l’interplay e l’improvvisazione.

Un filo melodico ed espressivo tracciato dalla voce insieme alla versatile disposizione di due musicisti esperti e sensibili come il chitarrista Giancarlo Bianchetti e il contrabbassista Stefano Senni.

Chiara Pancaldi si avvicina alla musica con lo studio del pianoforte classico. La sua grande passione, però, è il canto. Dopo aver iniziato come autodidatta, a 18 anni inizia a studiare tecnica vocale: attraverso un lungo percorso, approfondisce lo studio del belcanto con diversi insegnanti e avvia il primo approccio al jazz. Le jam sessions sono la sua prima scuola e poi affina via via la tecnica vocale con seminari e workshop internazionali e con un percorso accademico di secondo livello in canto jazz presso il Conservatorio di Bologna. Si esibisce da oltre dieci anni in numerosi festival, rassegne e jazz club con varie formazioni. È stata finalista al concorso Chicco Bettinardi nel 2009 e vincitrice della Borsa di Studio per i corsi Berklee di Umbria Jazz al Premio Massimo Urbani nel 2010. Nel 2012, è uscito The song is you, il suo primo disco realizzato in quintetto per la Dodicilune Dischi. Grazie all’incontro con il pianista Cyrus Chestnut, si esibisce con il suo trio al Dizzy’s Club di New York. A seguito di questa esperienza, registra I Walk A Little Faster, con il trio formato da Cyrus Chestnut, John Webber al contrabbasso e Joe Farnsworth alla batteria. Il disco, pubblicato dall’etichetta olandese Challenge Records, vede la partecipazione di Jeremy Pelt in qualità di produttore artistico.

La stagione dello Zingarò Jazz Club è accompagnata dalla nuova installazione fotografica di Lorenzo Gaudenzi dedicata al jazz: gli scatti hanno anche una valenza ecologica, in quanto Gaudenzi ha utilizzato un particolare cartoncino riciclato sia per la stampa che per la confezione della mostra.

Mercoledì primo febbraio 2017, lo Zingarò Jazz Club ospita uno sguardo al jazz sudafricano con Rainbow Nation, la formazione composta da Gaspare De Vito al sax alto, Francesco Bucci al trombone, Federico Squassabia al Fender Rhodes, Pierluigi Mingotti al basso e Youssef Ait Bouazza alla batteria.

Lo Zingarò Jazz Club è a Faenza in Via Campidori, 11.