I nostri CD

a proposito di jazz - i nostri cd

Nicola Sergio – ‘Cilea mon amour’ – NAU Records
Esiste una “giovane scuola italiana” di jazzisti che non si accontenta di rovistare nel contemporaneo o nella tradizione afroamericana per definire i propri progetti artistici.
Si tratta di uno stuolo di artisti disposti a fare anche dei salti di genere per individuare occasioni non rituali di fare musica. Quelle della lirica, per esempio. Non che sia una novità assoluta. Ruggieri, De Aloe, Arrighini, Polga e Marcello Tonolo fra gli altri si son cimentati con mostri sacri italiani dell’opera; ed ancora ecco Rava confrontarsi su Bizet e Westbrook su Rossini. E via elencando. Nel gruppo oggi annoveriamo il pianista Nicola Sergio che si avventura in un territorio sonoro nuovo, quello di un conterraneo, il calabrese Francesco Cilea, forse il più lirico fra i veristi di inizio novecento. In che “modo”? Di certo non facendo violenza ai temi delle arie selezionate da “Adriana Lecouvreur” (Anima ho stanca, Io son l’umile ancella, Dolcissima effigie), “Arlesiana” (E la solita storia, Era un giorno di festa, Vieni con me sui monti) e “Gloria” (Pur dolente son io) nella rielaborazione effettuata in chiave jazz. In scaletta figura anche “Leonida”, unico brano originale di Sergio dedicato allo scrittore e saggista Repaci, anch’egli palmese come Cilea. C’è infatti nelle produzioni del pianista una sorta di genius loci musicale in qualche modo sottinteso. Un’impresa ardua, quella di arrangiare un innovatore del melodramma come Cilea, autore complesso, quanto a poetica musicale, e mutevole nel tempo, dal verismo robusto e verace di “Tilda” (1892), di cui Sergio non si occupa, al pathos intenso dei gioielli “Arlesiana” (1897) e “Adriana” (1902). Insomma pensare di sincoparne, swingarne, esotizzarne alcune partiture non era idea che potesse venire di primo acchitto; eppure grazie al pianista l’incrocio stilistico è accaduto senza traumi chirurgici, nè semplici copia e incolla da un contesto all’altro. In ciò hanno giocato un ruolo importante quattro musicisti al suo fianco quasi scelti col lanternino: Michael Rosen al sax soprano, Yuriko Kimura al flauto, Stephane Kerecki al contrabbasso e Joe Quitzke alla batteria. Quello che risulta e risalta, oltre all’aver estratto le linee melodiche principali dell’originale, è l’aver smelodrammatizzato (se ci consentite il termine) lo spirito originario del Cilea più vicino a Puccini che a Leoncavallo che è poi quello più moderno a cui anche altri si sono approcciati. Altre eredita’ dall’operista, talune arditezze armoniche e certe raffinate atmosfere che, depurate da un testo a volte ingombrante, paiono paragrafi di un songbook. Dunque un caso riuscito di traduzione dalla lirica al jazz che si chiude in modo esemplare con una interpretazione al piano di Dolcissima effigie che pare nata oggi. Ma l’ “Adriana Lecouvreur” è un’arzilla ultracentenaria, anche se non lo dimostra! (altro…)