Daniele Pozzovio – Resurrection

 

Daniele Pozzovio, pianoforte
Luca Bulgarelli, contrabbasso
Amedeo Ariano, batteria

with
Vanda Rapisardi, voce
Giovanna Famulari, violoncello

Un lavoro fresco, suggestivo, curato, morbido, ricco dal punto di vista delle idee melodiche, armoniche, timbriche, questo Resurrection di Daniele Pozzovio, che appare davvero a proprio agio in un’atmosfera complessiva molto varia ma con un denominatore comune: la ricerca di temi accattivanti, di arrangiamenti raffinati, e il loro sviluppo coerente ma mai scontato.
Pozzovio firma tutte le tracce presenti nel disco e dimostra di aver raggiunto una notevole maturità di musicista a tutto tondo.
I brani hanno tutti una loro propria netta connotazione: veri e propri episodi a sé stanti, con una loro appagante compiutezza. A partire da Resurrection, che dà il titolo all’album, e che parte quasi un po’ trasognato, con un piccolo tema dolce e persistente reso rarefatto da accordi sospesi, aprendosi poi in un più definito andamento tematico e ritmico, un cullare ternario ricco di cambiamenti armonici eppure lineare e dolce all’ ascolto. Tell me I’m blind gioca inizialmente su un’ alternanza di un accordo nelle due tonalità maggiore e minore, ma nello sviluppo si trasforma in un ondeggiare simile, ma non uguale (senza entrare in tecnicismi, l’interessante è un’efficace effetto armonico che crea una bella tensione che catalizza l’attenzione). Anche qui il tema melodico è incisivo e rimane impresso, come filo conduttore anche durante le parti più libere.
E se Attitudini Fenomenali è una ballad un po’ malinconica e nostalgica in cui il notevole interplay del trio viene esaltato dall’atmosfera intimistica del brano (che si intensifica e muta durante l’assolo di Pozzovio, intenso e vibrante), con Blue de Paris andiamo in un altro territorio, completamente diverso: un inizio sanguigno, rigoroso, in cui la batteria di Ariano segna un tempo di marcia – cadenza e in cui Pozzovio ci fa tornare con la mente a certi brani virtuosistici del pianismo classico. Veramente bello l’effetto iniziale che poi, inaspettatamente si riversa nel jazz, nel blues, nello swing più puro: uno di quei brani che non si dimenticano e che anzi si va a ricercare spesso per l’ energia che emanano. Swing da vendere (con tanto di walkin’ bass incalzante) anche in People talk too much… always. Un bel brano finale, Song for my mother, cantato da Vanda Rapisardi chiude questo piccolo viaggio nel Jazz piacevole, coinvolgente e a tratti appassionante: resta da sottolineare che gli assoli di Luca Bulgarelli sono notevoli, e che il groove di Amedeo Ariano è spesso decisivo nella connotazione dei brani. Bello anche l’apporto della violoncellista Giovanna Famulari in The night before.
Un cd che definirei appagante: da non perdere.

Nat Hentoff : così lo ricorda Dino Betti van der Noot

di Dino Betti van der Noot

Purtroppo un colpo di coda del nefasto 2016 per il mondo della musica: Nat Hentoff ci ha lasciati il 7 gennaio, a 91 anni compiuti. Non l’ho mai incontrato di persona, anche se nel 1985 ho avuto il privilegio delle sue note di copertina – dirette, precise, obiettive come sempre – per un mio album (“Here Comes Springtime ndr9 e, successivamente, ho avuto delle rapide conversazioni telefoniche mentre era nella redazione della sua creatura prediletta, il Village Voice.

In Italia lo conosciamo come critico e storico del jazz attento e acuto, aperto al nuovo anche se emotivamente ancorato alla musica a cavallo degli anni ’40. Tuttavia la sua importanza nel panorama pubblicistico americano va oltre, perché è stato attivo nel promuovere – anche con articoli estremamente polemici – il movimento per le libertà civili e, coerentemente con il suo pensiero, verso un miglioramento della società, ha scritto romanzi destinati ai giovani, oltre a ricordi delle sue frequentazioni in campo jazzistico.

La sua continua frequentazione e amicizia con i musicisti, il suo amore per questa musica, hanno improntato il suo stile di scrittura, basato su esperienze personali trasmesse in maniera piana ma colta. Le sue rubriche sul New Yorker, il Washington Post, il Washington Times, il New York Times, il Down Beat, il Jazz Times, oltre al Village Voice, rimarranno nella storia della saggistica sul jazz.

Il figlio Nick ha annunciato la sua scomparsa su Twitter, scrivendo che è mancato circondato dalla famiglia e ascoltando il canto di Billie Holiday, della quale, nel 1957, aveva organizzato la storica reunion con Lester Young. Una scelta precisa, legata alla coerenza intellettuale che ha caratterizzato tutta la sua vita, schiva ma attenta ai fenomeni del suo tempo, con scelte estetiche e di campo ben precise.

In un certo senso, questo addio chiude un’epoca. Una grande tristezza.

A gennaio le finali del concorso nazionale “Bettinardi” dal vivo al Milestone (PC)

Solisti, cantanti e gruppi jazz. Queste le tre categorie cui il Bettinardi, concorso nazionale dedicato ai giovani talenti del jazz italiano, intende dare visibilità. Il concorso infatti è abbinato sin dalla prima edizione al Piacenza Jazz Fest che quest’anno si terrà dal 26 febbraio all’8 aprile.

La prima finale sarà sabato 14 gennaio alle 21.30 ed è quella dedicata ai “Gruppi under 35”, già selezionati dalla giuria sulla base delle registrazioni inviate in fase di iscrizione al Concorso. Sono sei i gruppi finalisti, provenienti da diverse regioni d’Italia, che saliranno sul palco del Milestone per contendersi primo e secondo posto: gli Atrìo di Roma: Gianluca Massetti al pianoforte, Dario Giacovelli al basso elettrico e Moreno Maugnani alla batteria; i Blackish – quartetto di Chieti – con la cantante Miriana Faieta insieme a Christian Mascetta alla chitarra, Pietro Pancella al basso elettrico e Michele Santoleri alla batteria. Da Fabriano – in provincia di Ancona – arrivano gli Eazy Quartet con Alessio Migliorati al flauto, Marco Punzi alla chitarra, Francesco Marchetti al contrabbasso e Fabrizio Carriero alla batteria. Ancora un quartetto – quello dei G SUS di Bologna – con Giacomo Ferrigato alla chitarra, Filippo Bubbico al pianoforte, Basili Vyasa al contrabbasso e Youssef Ait Bouazza alla batteria. Da Torvaianica (provincia di Roma), arrivano invece i Jimbo Tribe con Lewis Saccocci al pianoforte, Dario Piccioni al contrabbasso e Nicolò Di Caro alla batteria. E infine il Motus Quartet, gruppo di ragazzi provenienti da Ascoli Piceno: Fabio Della Cuna al sax tenore, Mattia Parissi al pianoforte, Emanuele Di Teodoro al contrabbasso e Andrea Ciaccio alla batteria.

I cinque musicisti a contendersi la finale di sabato 21, dedicata alla sezione “Solisti under 30”, invece saranno Simone Basile, 26enne di Taranto, che suona la chitarra; Emanuele Filippi, pianista di 24 anni, proveniente da Udine; e i saxtenoristi Marco Marotta, 25 anni, proveniente da Agrigento; Riccardo Sala, il più giovane del gruppo, con i suoi 20 anni, proveniente da Biella e Niccolò Zanella, che di anni ne ha 25 e arriva da Trento.

Si chiuderà con la serata dedicata ai “Cantanti under 30”, che si terrà sabato 28 gennaio e vedrà gareggiare da Felino, provincia di Parma, Giulia Di Cagno venticinquenne già distintasi lo scorso anno classificandosi seconda, Enrica La Penna, ventiquattrenne di Chieti, le pugliesi Federica Orlandini da Lecce, così come Dionisia Cassiano, da un Muro Leccese, sempre in provincia Lecce, la palermitana Valeria Maria Terruso e l’unico uomo del gruppo, Arturo Caccavalle, ventottenne di Nola, in provincia di Napoli. (altro…)

La Cupa Jazz Festival 2017

Dato il successo della prima edizione, siamo lieti di presentare la 2° Edizione de “La Cupa Jazz Festival”, che anche quest’anno affida la direzione artistica a Massimo Manzi.
Come sempre, nel tipico stile de La Cupa Spazio Autogestito, aperitivo, cena e bar aperto dalle 19:30!!
Il food sarà curato dalla “Cucina Ribelle della Cupa Sp.A.”, che penserà per voi dei piatti con prodotti rigorosamente BIO.
Ogni serata sarà dedicata ad uno strumento in particolare e al suo ruolo nel jazz con un’introduzione di Massimo Manzi e degli artisti coinvolti.
Prima e dopo i concerti, sottofondo musicale a cura di Alberto Alba.
Un ringraziamento speciale agli amici della Aps Fonte della Serpe per il sostegno nell’organizzazione!!!

Inizio live rigorosamente ore 21:30 (altro…)

I nostri CD

a proposito di jazz - i nostri cd

Nicola Sergio – ‘Cilea mon amour’ – NAU Records
Esiste una “giovane scuola italiana” di jazzisti che non si accontenta di rovistare nel contemporaneo o nella tradizione afroamericana per definire i propri progetti artistici.
Si tratta di uno stuolo di artisti disposti a fare anche dei salti di genere per individuare occasioni non rituali di fare musica. Quelle della lirica, per esempio. Non che sia una novità assoluta. Ruggieri, De Aloe, Arrighini, Polga e Marcello Tonolo fra gli altri si son cimentati con mostri sacri italiani dell’opera; ed ancora ecco Rava confrontarsi su Bizet e Westbrook su Rossini. E via elencando. Nel gruppo oggi annoveriamo il pianista Nicola Sergio che si avventura in un territorio sonoro nuovo, quello di un conterraneo, il calabrese Francesco Cilea, forse il più lirico fra i veristi di inizio novecento. In che “modo”? Di certo non facendo violenza ai temi delle arie selezionate da “Adriana Lecouvreur” (Anima ho stanca, Io son l’umile ancella, Dolcissima effigie), “Arlesiana” (E la solita storia, Era un giorno di festa, Vieni con me sui monti) e “Gloria” (Pur dolente son io) nella rielaborazione effettuata in chiave jazz. In scaletta figura anche “Leonida”, unico brano originale di Sergio dedicato allo scrittore e saggista Repaci, anch’egli palmese come Cilea. C’è infatti nelle produzioni del pianista una sorta di genius loci musicale in qualche modo sottinteso. Un’impresa ardua, quella di arrangiare un innovatore del melodramma come Cilea, autore complesso, quanto a poetica musicale, e mutevole nel tempo, dal verismo robusto e verace di “Tilda” (1892), di cui Sergio non si occupa, al pathos intenso dei gioielli “Arlesiana” (1897) e “Adriana” (1902). Insomma pensare di sincoparne, swingarne, esotizzarne alcune partiture non era idea che potesse venire di primo acchitto; eppure grazie al pianista l’incrocio stilistico è accaduto senza traumi chirurgici, nè semplici copia e incolla da un contesto all’altro. In ciò hanno giocato un ruolo importante quattro musicisti al suo fianco quasi scelti col lanternino: Michael Rosen al sax soprano, Yuriko Kimura al flauto, Stephane Kerecki al contrabbasso e Joe Quitzke alla batteria. Quello che risulta e risalta, oltre all’aver estratto le linee melodiche principali dell’originale, è l’aver smelodrammatizzato (se ci consentite il termine) lo spirito originario del Cilea più vicino a Puccini che a Leoncavallo che è poi quello più moderno a cui anche altri si sono approcciati. Altre eredita’ dall’operista, talune arditezze armoniche e certe raffinate atmosfere che, depurate da un testo a volte ingombrante, paiono paragrafi di un songbook. Dunque un caso riuscito di traduzione dalla lirica al jazz che si chiude in modo esemplare con una interpretazione al piano di Dolcissima effigie che pare nata oggi. Ma l’ “Adriana Lecouvreur” è un’arzilla ultracentenaria, anche se non lo dimostra! (altro…)