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Prosegue senza sosta la lunga teoria di decessi che oramai da parecchi mesi sta interessando il mondo del jazz: Al Jarreau se ne è andato all'alba del 12 febbraio  in un ospedale di Los Angeles, alla soglia dei 77 anni. L'artista era stato ricoverato qualche giorno fa dopo aver cancellato le date di un tour e annunciato il suo ritiro dall'attività concertistica.
La notizia, almeno per quanto mi riguarda, è giunta improvvisa anche se non del tutto inattesa: in effetti si sapeva che Jarreau non stava benissimo ma francamente non immaginavo una fine così repentina.
Avevo imparato a conoscere Al Jarreau tanti anni fa, quando uscì il suo primo album “We Got By” del 1975, che mi aveva immediatamente colpito.
Da allora ho cercato di seguirlo attraverso la sua produzione discografica. Come non ricordare, al riguardo, lo straordinario album “Breakin' Away” del 1981, che contiene due brani particolarmente significativi:  “We're in This Love Together” con cui vincerà il Grammy come miglior cantante pop e “Blue Rondo à la Turk”, rivisitazione del successo di Dave Brubeck, con cui ottiene il Grammy come miglior cantante jazz uomo.
Sempre negli anni ‘80 ho avuto l'opportunità di ascoltarlo dal vivo e me ne sono innamorato. Prima di Al, non amavo moltissimo il canto jazz al maschile, fatte ovviamente le debite eccezioni: Al Jarreau mi aveva fatto cambiare idea tanta e tale è stata la forza della sua arte, della sua musica, del suo canto. Ascoltarlo era davvero un piacere: baritono naturale, Al Jarreau aveva messo a punto una sua personalissima maniera di utilizzare lo scat e il vocalese, per non parlare dell' abilità nell'utilizzare la voce come un vero e proprio strumento a percussione (si ascolti l'originale versione di “Take Five”), risultati raggiunti grazie ad una solida formazione non solo musicale: poteva infatti vantare  un diploma in psicologia e uno in riabilitazione vocale .
Grazie a queste doti Al sapeva dapprima catturarti, farti entrare nel suo mondo, e poi prenderti per  mano e condurti ad esplorare universi sconosciuti, in cui non c'era più solo il jazz o solo il pop ma un unicum di rara bellezza. In possesso di una voce straordinaria che gli consentiva di saltare tra le ottave, di un senso del ritmo senza eguali, di  una versatilità incredibile, aveva imposto un nuovo modo di affrontare il materiale sonoro, un modo che ben difficilmente poteva essere racchiuso entro gli argini di un solo genere. Non è un caso che a tutt'oggi sia tra i pochissimi se non il solo ad aver vinto tre Grammy Award nelle diverse  categorie del jazz, del pop e del R&B.

Lo ricorderemo come una delle voci più belle e interessanti che la musica abbia mai conosciuto.

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