Max Rocchetta Rockytrio allo Zingarò Jazz Club di Faenza

Max Rocchetta Rockytrio
Massimiliano Rocchetta. pianoforte
Paolo Ghetti. contrabbasso
Stefano Paolini. batteria

Mercoledì 29 marzo 2017. ore 22
ingresso libero

Zingarò Jazz Club
Faenza. Via Campidori, 11
web: www.twitter.com/zingarojazzclub

Mercoledì 29 marzo, la stagione dello Zingarò Jazz Club prosegue con il concerto del Max Rocchetta Rockytrio, formato da Massimiliano Rocchetta al pianoforte, Paolo Ghetti al contrabbasso e Stefano Paolini alla batteria. Il concerto avrà inizio alle 22 con ingresso libero.

Rockytrio è un progetto di Massimiliano Rocchetta e lo coinvolge nella sua triplice veste di pianista, compositore ed arrangiatore. Come afferma lo stesso pianista, la musica del trio «fissa momenti ed esperienze personali e si lega in maniera indissolubile con persone e immagini di vita vissute, sogni ed emozioni provate. Una musica autobiografica, che mette a nudo molteplici stati d’animo e li esplora in queste dieci tracce. Esse raccolgono i percorsi musicali che mi hanno formato e che con gratitudine racconto.» (altro…)

L’architettura minimalista della natura nel pianoforte di Marco Ballaben

di Marina Tuni

Il recentemente restaurato Salone delle Poste di Trieste è stato l’affascinante scenario, sabato 11 marzo scorso, della presentazione, ad invito, di “Conchiglie e stelle”, il primo progetto discografico interamente a firma del pianista giuliano Marco Ballaben, per piano solo e, in alcuni brani, in trio con Giovanni Toffoloni al basso e Paolo Muscovi alla batteria (uno dei più talentuosi drummer del panorama nazionale: Neffa, Steff Burns, Al Castellana ecc.). Nella composizione che da il titolo all’album e in “L’infinito più infinito” ha collaborato ai testi la cantautrice Mariangela Di Michele (Marydim), protagonista anche delle versioni cantate (di entrambi i brani è presente sia la traccia strumentale sia quella cantata).

Il disco, realizzato con la consueta cura e riconoscibilità dei suoni nello studio Artesuono di Stefano Amerio, a Cavalicco, è la prima prova come compositore di questo poliedrico artista che ha attraversato la scena musicale del Friuli Venezia Giulia, suonando in diverse formazioni e navigando a vista tra jazz, rock, fusion, pop. Con questo lavoro, infine, Marco trova la sua giusta collocazione e una maturità artistica che lo porta inevitabilmente, per affinità sonora, ad approdare sulle sponde tranquille di una delle sue antiche passioni, quella per la musica da cinema.

“Conchiglie e stelle” ha, infatti, la struttura narrativa tipica della partitura musicale di una colonna sonora cinematografica, a partire dal motivo conduttore, che potrebbe senz’altro essere il riff della versione strumentale di “L’Infinito più infinito”, mentre la title track “Conchiglie e stelle”, anche nella versione cantata, potrebbe essere il main theme che accompagna i momenti topici della pellicola.

La musica di Marco è evocativa, evanescente, eterea, sospesa… ha la stessa architettura minimalista della natura e parla il suo stesso, semplice linguaggio, povero di metafore ma ricco di tracce mnestiche che fanno parte della sua sfera emozionale e affettiva.

A Trieste – ma anche ascoltando il disco – questo è il respiro che ho introiettato, guidata quasi ipnoticamente dalle mani di Ballaben, che sulla tastiera descrivono rapide traiettorie curvilinee, come di stelle cadenti.

Ho trovato spettacolare il lavoro della sinistra, anche perché non si tratta di mero esibizionismo virtuosistico né di necessità, leggasi Wittgenstein, ma di una scelta che a Marco riesce in modo naturale per passare di balzo dal grave all’acuto senza sforzo alcuno.

I brani presentati dal vivo non hanno seguito pedissequamente la tracklist del cd, tranne all’inizio del concerto, allestito con la collaborazione della Casa della Musica di Trieste, guidata dall’infaticabile Gabriele Centis, nella cui struttura Ballaben insegna pianoforte. Per la cronaca, la performance è stata ripresa da un rilevante numero di telecamere mobili e fisse – finanche una crane camera che riprendeva dall’alto – ed è imminente l’uscita di un dvd a cura di Kleva Films (che ringrazio per avermi fornito le immagini che completano questo articolo).

Dopo l’avvio, con la splendida “L’infinito più infinito”, brano di ampia liricità con una forte connotazione espressiva e dallo spirito neoromantico, il pianista esegue un’ispiratissima “Il prato dove giocavamo”, seguita dalla briosa “Festa di paese”, le cui atmosfere virano, subito dopo l’intro, marcatamente verso il jazz. Queste composizioni aprono finestre di tempo nel mondo più intimo di Marco, sono le sue emozioni, sensazioni che restano impresse nella memoria e che ogni tanto affiorano sotto forma di ricordo.

La percezione del tempo è un mistero e ognuno di noi ha una personale concezione del suo trascorrere. Certo è che per quanto la vita possa essere breve o lunga, il tempo dato ci appartiene sempre. Sta a noi avere cura di non sprecare ogni singolo e prezioso istante. Non so se Marco abbia pensato a questo nel comporre “10 minuti, forse 15”, ma sicuramente è lì che la mia immaginazione mi ha portato, nell’ascoltare questa poetica traccia, delicatamente intrisa di una leggera malinconia.

Della bellezza di “Conchiglie e stelle” ho già parlato in apertura, posso solo aggiungere che ascoltata dal vivo ha una forza irresistibilmente trascinatrice. Il pezzo inizia e termina con una sequenza di accordi ripetuti, sui quali si apre il tema, con una serie di essenziali passaggi melodici che si intrecciano circolarmente alla struttura iniziale; poco più di due minuti ma un tale condensato di grazia e soavità che ti sembra di essere nel punto esatto dove finisce il mare per lasciare spazio al cielo… immaginando che forse le conchiglie non sono altro che frammenti di stelle cadute…

E dopo tanti celebri notturni pianistici, da Field ai più famosi Chopin, Debussy, Liszt, Beethoven e, nel ‘900, Fauré o Satie, Marco Ballaben s’inventa un “Diurno”, che porta il numero 1 ed è in tempo di valzer. Visto lo splendido luogo in cui mi trovo, il Palazzo delle Poste, costruito fra il 1890 e il 1894 dall’architetto Friedrich Setzt sotto l’Impero Austro-Ungarico, verrebbe da alzarsi dalla poltroncina per volteggiare aristocraticamente seguendo la musica… 1, 2, 3… 1, 2, 3… retaggi culturali della Mitteleuropa!

Ad un caro amico argentino, maestro di tango, scomparso qualche anno fa, è dedicata “Carlos”, che Marco ricorda come una persona piena di vita e di carisma. E queste sono anche le caratteristiche del brano, che racchiude una matrice latin-jazz e un gioco intrigante di fughe repentine nel tango.

Tra le infinite declinazioni del tempo c’è anche l’attesa. Cesare Pavese scrisse che “aspettare è ancora un’occupazione. È non aspettare niente che è terribile”. Ne “L’attesa” composta da Ballaben c’è il sapore della speranza che qualcosa di buono possa ancora accadere; è una ballad morbida ed ariosa, piena di luce, un dipinto sonoro dai delicati arpeggi.

“Tutto intorno a te” è una composizione dalla geometria dinamica, che esprime la spontanea continuità del movimento mentre “Un viaggio”, brano dalla struttura melodica semplice, ti fa chiedere che cosa ci sia accaduto e perché non riusciamo più ad osservare ciò che ci circonda con gli occhi di un bambino, lavorando di fantasia, di poesia e riempiendoci ancora di stupore.

Marco ci saluta con un inedito, ancora senza titolo, invitandoci a trovargliene uno. Beh… un po’ influenzata dall’aria che si respira nel  palazzo che ci ospita, già sede delle Poste, un po’ per il potere evocativo di questa musica che, non so spiegare il motivo, mi catapulta in paesaggi incantati alla ricerca dell’aurora boreale, uno degli spettacoli più affascinanti della natura, il titolo a cui ho immediatamente pensato è “La nave postale”. Anche un po’ per ricordare un ieri non troppo lontano, quando esistevano ancora le lettere “vere” e le comunicazioni lente… molto lente… tanto quanto un viaggio su una nave postale, che si fa strada a fatica tra i ghiacci.

Quale altro bis avrebbe potuto concederci Marco Ballaben se non una delle variazioni del tema tratta dalla colonna sonora dell’epico film “L’ultimo imperatore” (diretto da Bernardo Bertolucci nel 1987) e composta da Ryuichi Sakamoto?

“Le parole sono sempre importanti. – Perchè? –  Bisogna saper usare le parole per poter dire ciò che si pensa”

Si. Però, talvolta basta anche solo la musica.

“Conchiglie e Stelle” è disponibile online per l’ascolto e per l’acquisto sui maggiori network web quali iTunes, Spotify, Apple Music, ecc.. di seguito il link

https://open.spotify.com/user/11101570482/playlist/7ILHCR1KLo926xQdA2s44s

Affrancare il Jazz. Con una serie di francobolli sul grande jazz italiano!

 

Per il 30 aprile 2016 la Repubblica di San Marino ha dedicato alla Giornata Internazionale del Jazz tre valori bollati realizzati dal designer Lucio Schiavon. La ricorrenza è stata adottata dall’Unesco a partire dal 2012 con la motivazione che il jazz è strumento di sviluppo e crescita del dialogo interculturale volto alla tolleranza e alla comprensione reciproca.

Si è trattato di un bel segnale di attenzione da parte della filatelia nei confronti della musica afroamericana, un segnale che si auspica possa influenzare in positivo anche l’Italia. Perché se è vero che hanno avuto il proprio meritato spazio i vari Leoncavallo e Rossini, Verdi e Puccini, Vivaldi e Casella, Pavarotti e Mino Reitano, come anche “Tintarella di luna” e “Nel blu dipinto di blu” fra le canzoni, l’industria della fisarmonica e persino zampogna e launeddas fra gli strumenti etnici, non ci pare che francobolli sul jazz siano state emissioni molto ricorrenti.

Dalle fonti a nostra disposizione non pare rilevare, nella produzione filatelica nostrana, un’apertura costante al grande jazz italiano, nonostante alcune singole emissioni su festival e artisti e diversi annulli su cartoline postali. Eppure non sarebbe male editare una serie filatelica su jazzisti italiani, a partire da Gorni Kramer, Nicola Arigliano, Lelio Luttazzi, Pepito Pignatelli, Dora Musumeci, Nunzio Rotondo, Gianni Basso, Oscar Valdambrini, Gil Cuppini … fino a Massimo Urbani, Renato Sellani, Giorgio Gaslini … insomma quanti storicamente figurano, a diverso titolo, nell’Olimpo del jazz italiano. Ma, si sottolinea, da stampare e diffondere serializzati, e non in modo sporadico, a riprova dell’esistenza di una tradizione, una scuola, un background consolidato. E non solo per la gioia di collezionisti e il vezzo di quanti ancora utilizzano il servizio postale in barba a mail, chat, tweet e chi più ne ha più ne spedisca. O per motivi di promozione culturale. Ma perché il jazz, come ha certificato l’Unesco, è un genere musicale simbolo di libertà e “affrancamento”.. E perché il jazz è anche Immagine in grado di interfacciarsi con diverse discipline artistiche sicuramente adatta alla raffigurazione filatelica.

Ci sono all’estero tanti esempi su come il jazz sia da “affrancatura”.

Dalla Grande Madre Africa ecco il Chad con bella effigie trinitaria su postcard di Ellington/Bechet/Armstrong. Dal Mali voila un Cole Porter del’71. E poi ancora materiale dall’Alto Volta, Senegal, Congo, Gabon, o un Sachtmo versione Niger. In Europa la Francia (vedasi il Django del 1993 o la mitica coppia Piaf-Davis edita da La Poste in partnership con U.S.Postal Service nel 2012) dimostra, come da dna, uno specifico riguardo alla materia. Gli U.S.A., ovviamente, abbondano, in primis con i Morton, Hawkins, Garner, Coltrane, Blake, Parker, Parker, Monk, Mingus fra i Jazz Musicians delle Legend Of American Music Series. E con bei ritratti fra gli altri di Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan, Billie Holiday, Bessie Smith (it.pinterest.com / Black Heritage Post Stamps) e un Ray Charles quotato su Amazon a 10,50 $ (esempio-campione in quanto ci sarebbe di che approfondire anche sulle quotazioni). In Italia va detto che le PT anche negli ultimi tempi stanno registrando, nelle scelte tipo/grafiche dei francobolli, il consueto sguardo ai creativi oltre alle tradizionali materie come occasioni, avvenimenti, natura, fede, spettacolo, storia, tradizione,  monumenti, palazzi, piazze, chiese, città, sport, politici, santi, economisti, scienziati, filosofi, marchi d’impresa, etc. Ed il fatto che il primo francobollo celebrativo del 2017 sia dedicato a Luigi Tenco rafforza un trend per certi versi positivo.

Ma la musica jazz dovrebbe avervi una presenza più decisa, a nostro modesto avviso, come presa d’atto istituzionale di una immagine estetica da (tele)comunicare attraverso i mezzi di cui si dispone.

I francobolli hanno valore economico nominale  e in quanto oggetti da collezione, di mercato; ed hanno una valenza estetica specifica perché questo mini/modo di rappresentare un’arte musicale può coinvolgere fotografia, pittura, scultura, disegno, computer graphic: è forse questa varietà di forme possibili il carattere più tipico del francobollo jazzistico. E del resto questo genere di filatelia, rileva Joaquim Romaguera in El Jazz Y Sus Espejos (Edicion de La Torre, 2002), è arte “plastica jazzistica” così come pittura e comics lo sono nel quadro dei rapporti multidisciplinari che il jazz, polisemico, intreccia (le altre discipline afferiscono a Suono/Immagine e Letteratura).

Si potrebbe proseguire parlando di poster, affiches di rassegne, cover discografiche, fotogrammi filmici… Ma lo scopo di questa nota, scritta in prossimità della Giornata Europea del Jazz 2017, è solo l’auspicio che anche in Italia l’occhio del jazz si posi, in maniera non episodica, nelle emissioni postali. Giriamo l’appello, via posta prioritaria, al manager Ente Poste pro-tempore e per conoscenza al competente Ministero che sovraintende. In attesa di cortese esito. O di gradita smentita.

 

Amedeo Furfaro