Il bandoneon Di Daniele di Bonaventura in solo e Roberto Gatto con Quintorigo

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Parole di Daniela Floris
Foto di Carlo Mogavero

Open Papyrus Jazz Festival non è solo concerti ma anche diversi altri eventi, come mostre fotografiche (all' Oratorio Santa Marta esposte le foto più significative relative a varie edizioni del festival di fotografi quali D'Agostino, Dezutti, Bruschetta), reading letterari musicali in librerie ed enoteche di Ivrea, Stage di danza afrocontemporanea.

Venerdì 24 marzo ha visto molti eventi dunque avvicendarsi tra cui la presentazione del libro di Aldo Gianolio, valente e molto critico di Jazz Ottavio il timido, edito da Robin Edizioni e presentato alla sala Santa Marta da Guido Michelone, romanzo già ampiamente recensito in Italia e per il quale anche Enrico Rava ha speso parole lusinghiere.

Dopo un aperitivo a base di prodotti del Consorzio Vini Canavese sono andate i scena “Le voix qui dansent”.

Oratorio Santa Marta, venerdì 24 marzo, ore 19
Coro femminile ” Le voix qui dansent”

(Cliccare sulle foto per espanderle)

Un coro a cappella tutto al femminile di dieci elementi che affronta un repertorio polifonico tutto basato su musica di tutto l'enorme continente africano, dal Niger, al Congo al Sudafrica, riarrangiato naturalmente per un organico coristico occidentale, e che fanno una musica che ha il merito di aprire le frontiere, riadattare, trovare i punti in comune tra culture, paesi, continenti, e sintetizzarli in una musica nuova che comprende l' Europa, il nostro sistema armonico – scalare e ritrmico, e le poliritmie e le melodie africane.

Le voix qui dansent cantano in molte lingue africane, tra cui lo swahili, hanno un'intonazione impeccabile e impeccabile anche il suono complessivo, un ottimo senso ritmico e sono divertenti da ascoltare. E infine, dopo un bel concerto di musica tutta africana propongono la bella ed immortale Summertime e, come bis, Non potho reposare, canzone in sardo conosciuta in Italia soprattutto per una toccante, meravigliosa  versione cantata da Andrea Parodi.

Alle 21:30 si entra nel vivo del festival con il concerto in bandoneon solo di Daniele Di Bonaventura

Teatro Giacosa, ore 21:30
Daniele Di Bonaventura, bandoneon

(cliccare sulle foto per espanderle)

Capita spesso di sentire bei concerti, in grandi festival come questo Open Papyrus di Ivrea. Non capita altrettanto spesso di emozionarsi ad ascoltare musica. Parlo di un'emozione profonda, scaturita dalla capacità del musicista di utilizzare le sue capacità tecniche sopraffine ad un fine espressivo. Che riesce con il suo linguaggio fatto di dinamiche, accenti, fraseggi, costruzioni armonico melodiche, non tanto a stupire per la sua bravura di strumentista, quanto ad esprimersi emotivamente in maniera così diretta che chi ascolta ne riceve emozione. Si crea in quei casi una specie di legame tra musicista e pubblico, una lingua altra, in una dimensione di incanto reciproco, che termina solo alla fine della performance: momento in cui ci si sveglia, oserei dire purtroppo, e ci si ritrova sulla terra. Quella terra però che è stata fonte di ispirazione per il musicista, e dunque, in fondo, con la possibilità preziosa di vedere tutto più bello.

Potrei terminare la mia recensione qui, ma mentre ascoltavo ho cercato di rimanere anche presente a me stessa, in quanto critico musicale, per capire cosa stesse accadendo e perché Daniele Di Bonaventura fosse così bravo: ed è quindi giusto dare conto di ciò che mi sono appuntata nel mio taccuino, al buio del Teatro Giacosa, scrivendo alla cieca per non dimenticare nulla di ciò che ascoltavo e vedevo.  Di Bonaventura ha tra le mani uno strumento tradizionale, il bandoneon, che utilizza però in maniera molto personale, a prescindere dai brani che interpreta.
Il concerto comincia con un pianissimo, note acute e lontane, evocative, che avviluppano l'attenzione: non ti vorresti perdere nemmeno un sospiro di quelle note. Sono il preludio di un lungo brano, quasi tutto suonato piano, per molti versi improvvisato, ma anche ricco di accenni, suggerimenti a musica da noi conosciuta ed amata. Di Bonaventura riesce a tirare fuori l'anima più delicata e poetica dello strumento,  per una particolare e personalissima sensibilità, che gli permette di sfruttare anche i più esili soffi di aria prodotti dal mantice: mantice che non si può fare a meno di guardare, rapiti, dato ciò che si sta ascoltando. Se ne rimane affascinati.
Quando si arriva a Vola, vola, vola lu Cardille, canto tradizionale abruzzese molto noto, e che tutti abbiniamo ad un certo tipo di musicalità “popolare” tipica della fisarmonica, lo riconosciamo, certo, ma in realtà ne ascoltiamo una versione trasfigurata, privata del suo ritmo tradizionale cadenzato, più lenta, riarmonizzata con la tonica a bordone e accordi diminuiti che la rendono struggente, e che ne esaltano la melodia. Vola vola vola diventa un ricordo, un'immagine al di fuori del tempo, un racconto. Anche in questo caso le dinamiche sono sfruttate in tutti i loro affascinanti colori, il brano cresce di intensità, Di Bonaventura vi improvvisa, fino a farne riemergere, lontano, sottile, il tema originale. Un viaggio emotivo di affascinante bellezza.
Come commovente è la sua versione dell' Adagio di Albinoni, e la meravigliosa Soledad di Gardel. E ancora, la Milonga de mis amores. 
Una musica fatta anche di infinite, incantevoli sottigliezze, che sono tutt'altro che esercizio virtuosistico. Che fermano il tempo, e che nel loro svolgersi svelano la bellezza inattesa di suoni che credevamo di conoscere, ma che invece ci si svelano in tutte le loro tante sfaccettature, a noi ignote, prima, o anche magari dimenticate. E l'intensità di ricordi e sentimenti, la dolcezza della nostalgia, l'introspezione ed anche il suo contrario: la capacità estrinsecarsi e di arrivare all'animo di chi, fortunato, si trova ad ascoltare e a condividere quei momenti.

Ore 22:30

Quintorigo e Roberto Gatto play Zappa

Roberto Gatto: batteria
Valentino Bianchi: sax
Andrea Costa: violino
Stefano Ricci: contrabbasso
Gionata Costa: violoncello
Alessio Velliscig: voce


Si cambia completamente atmosfera e si passa ad un concerto incentrato (a dispetto del titolo del progetto apparso sui volantini) su tre imponenti figure della scena musicale jazzistica e : Charles Mingus, Jimi Hendrix e, appunto, Frank Zappa.

I presupposti per divertirsi ci sono tutti: un organico anomalo (trio d'archi, sax e batteria), dunque una timbrica particolare, uno dei più celebri batteristi del Jazz italiano e non solo, la voce rock di un giovane interprete in ascesa, un repertorio accattivante, con il quale tutti noi in quanto appassionati di Jazz e anche amanti del rock anni 70 abbiamo un legame emotivo. E' un vincere facile? Non in questo caso, proprio perché alla base della performance divertente, trascinante, coinvolgente di questa compagine, ci sono arrangiamenti complessi, la capacità di convertire i suoni con l'elettronica, in modo da tramutare il timbro di un violoncello, o di un violino, in ben altro. Ma anche un interplay notevole, la scelta di brani ad hoc, la capacità di raggiungere spessori sonori possenti, di esibirsi in assoli avvincenti.
L'inizio è già tutto un programma, con brani leggendari quali Pytecantropus Erectus, Fables of Faubus, affrontati con swing ed energia incredibili, tenendo conto che siamo in assenza di strumenti in grado di garantire un substrato armonico (tastiere, chitarra, o pianoforte che sia): eppure la completezza complessiva del suono c'è ed è un piccolo miracolo di bilanciamento e di scambi di ruolo tra gli elementi della compagine. Il sax di Valentino Bianchi può sempre contare in una base armonica molto ben congegnata per i suoi assoli, ma diventa anch'esso elemento fondamentale per supportare gli assoli degli altri. La batteria di Roberto Gatto ha un groove determinante: nel Jazz lo conosciamo bene. Ma quando lo spettacolo si inoltra nella parte dedicata a Jimi Hendrix, con la sua Hey Joe, ne emerge un'anima rock travolgente e molto convincente, che si riconferma in Foxy Lady e in tutto il set.
L'atmosfera è quella giusta anche per merito della voce di Alessio Velliscig, che interpreta con grinta, e soprattutto credendoci, un repertorio non semplice: ci vuole determinazione per riproporre i brani di due autentici miti del rock, così diversi tra loro, come Jimi Hendrix e Frank Zappa. Velliscig si cala nella parte, tanto da esclamare un “Grazie Ivrea” molto rock, che gli auguriamo di poter esclamare in contesti sempre più rock, con musica sua e con i nomi di mille città possibili e platee sempre più grandi.
La terza parte, dedicata a Frank Zappa, arrangiata ed orchestrata da Roberto Gatto – impresa per nulla facile, anzi una vera e propria sfida, decisamente vinta, a giudicare dal suono e dagli applausi del pubblico, è un'esplosione di groove e di entusiasmo. Cosmik Debris è rock ed è swing. Montana è resa in tutta la sua genialità armonica. King Kong, Zomby Woof sono lì in tutta la loro carica dissacratoria e la loro energia innovativa, ancora oggi dirompenti.
Un concerto che mostra come divertire, intrattenere il pubblico, possa avere la sua sorgente da un lavoro complesso ad opera di musicisti eccellenti: allora si fa musica di altissimo livello. Che ripropone, certo, ma creando e ridisegnando musica nuova.

 

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