In occasione del Festival Acqua e Vino in programma dal 21 al 23 aprile

“Acqua e vino ; Chianciano Terme Music Jazz Festival”: questo il nome della nuova creatura jazzistica che prenderà vita il 21 aprile per chiudersi il 23. Il titolo scelto non è casuale dal momento che gli organizzatori hanno voluto porre l’accento proprio sui due elementi – acqua e vino – che caratterizzano quella parte di Toscana, confinante con l’Umbria, chiamata Val Di Chiana/Crete Senesi. Proprio in queste zone si trova la straordinaria location che ospiterà il Festival, le Terme di Sant’Elena. Quindi musica, cultura, incontri, dibattiti, premiazioni e presentazioni di eccellenze culinarie ed enologiche tipiche del territorio di Chianciano Terme e della Toscana tutta, appositamente selezionate grazie alla sapiente e fondamentale collaborazione con Arcicaccia, si alterneranno per offrire agli intervenuti tre giorni di cultura e, perché no, divertimento. In un periodo in cui lungo tutto lo stivale proliferano Festival che non presentano alcun filo conduttore, presentare una manifestazione come questa che ha alle sue spalle una precisa progettualità è davvero un piacere. Progettualità che si estrinseca non solo nell’esaltare le eccellenze culinarie ed enologiche del territorio, ma anche nel riproporre quella che venti anni fa è stata una vera e propria eccellenza della musica mady in Italy. Domenica 23 ci sarà l’evento clou della manifestazione ovvero la celebrazione dei vent’anni di Banda Sonora, una delle prime bande musicali italiane ad incontrare il jazz, in una formula che ha fatto storia. E’ il 1997 quando Battista Lena registra il disco “Banda Sonora” per l’etichetta francese Label Bleu. II progetto realizzato con Enrico Rava, Gabriele Mirabassi, Gianni Coscia, Enzo Pietropaoli, Marcello Di Leonardo e la Banda Bonaventura Somma di Chianciano Terme ha un grande successo. E Banda Sonora viene replicato in numerosi festival internazionali in Europa e in Cina. Il Cd guadagna lo “Choc de la Musique” della rivista Jazzman e le prestigiose “ffft” di Teléram. Ebbene il 23 Banda Sonora rivive per l’occasione del Festival: uno straordinario ensemble della musica italiana composto da Enrico Rava alla tromba, Battista Lena alla chitarra, Gabriele Mirabassi al clarinetto, Marcello di Leonardo alla batteria e Gabriele Evangelista al contrabbasso, su musiche di Battista Lena. Cinque stelle del jazz che incontrano la Banda Musicale dell’Istituto Bonaventura Somma diretta, come venti anni fa, dal maestro Paolo Scatena.

Ma procediamo con ordine ché oltre all’evento di cui sopra, si registra anche la presenza di un cast musicale di ottimo  livello, il tutto supportato da importanti istituzioni culturali locali, dai principali protagonisti vinicoli, da cantine, imprenditori e marchi del comparto agroalimentare del senese con epicentro Chianciano Terme, da aziende alberghiere e di ristorazione. Nelle giornate preposte saranno coinvolti anche giornalisti di settore come, Paolo Prato, Maurizio Principato, Enzo Gentile, il sottoscritto e vari operatori musicali, editori, organizzatori, tra cui Fabio Ciminiera, tra le firme di jazzconventon.net, e Antonio Ribatti, del direttivo MIDJ (Musicisti Italiani Di Jazz).

Come accennato il Festival si articolerà su  tre giornate. Ogni pomeriggio dalle ore 16.00 si alterneranno incontri con giornalisti, storici della musica jazz, organizzazioni come La Rete dei Festival; il vincitore del Premio Zorzella con Doc Servizi, una finestra anche dedicata al Jazz italiano per L’Aquila e MIDJ che presenteranno il progetto Acquedotte. Intorno alle ore 20.00 per gli aperitivi musicali si esibirà ogni sera il cantautore Marco Massa, che presenta il Vino di Massa, una nuova produzione enologica e musicale. E il 22 aprile anche la giovane contrabbassista Federica Michisanti in una speciale esibizione chiamata “little doublebass solo”. Non mancherà anche uno spazio market di vinili jazz rari e di qualità, curato dallo storico Vinile Milano. Tutte le sere alle 21.30 avranno inizio i concerti, secondo il calendario che qui di seguito pubblichiamo

Venerdì 21 aprile spazio al talento locale per una prima serata all’insegna della contaminazione, con Federica Zammarchi, cantante e compositrice nata e cresciuta in Toscana, tra le verdi colline della terra di Siena, già voce degli Agricantus, che insieme al piano di Gianluca Massetti renderà omaggio in chiave jazz ad alcuni grandi classici della storia del rock. Un modo per ricordare anche la figura insostituibile di David Bowie, artista che la Zammarchi ha riletto nel disco del 2011 “Jazz Oddity – A PowerJazz view on David Bowie’s music”. Ospite di eccezione per l’occasione lo straordinario polistrumentista e compositore Alessandro Papotto (sax-clarinetto-flauto), già con II Banco del Mutuo Soccorso.

Sabato 22 aprile uno straordinario quartetto, che raccoglie non solo alcune delle grandi eccellenze del jazz italiano, ma anche un cammino musicale tra i classici del jazz e le composizioni originali di Battista Lena. L’ospite d’onore sarà Enrico Rava, una delle leggende dal jazz italiano, che ritrova così Battista Lena, a lungo suo collaboratore e complice in numerose avventure musicali per buona parte degli anni ’90. Con Lena alla chitarra e Rava alla tromba, il quartetto si completa con l’inedita coppia formata da Gabriele Evangelista al contrabbasso e Marcello Di Leonardo alla batteria, due fra i più stimati musicisti italiani. Melodia, armonia e ritmo in un repertorio che comprende composizioni originali, colonne sonore e grandi standards.

Domenica 23 aprile la riproposizione della Banda Sonora cui abbiamo già fatto ampio riferimento per una serata che si preannuncia indimenticabile.

Paesaggi del Novecento nel CD di Miranda Cuckson e Blair McMillen (ECM)

Mentre il mondo galoppa verso il tramonto ci ricordiamo che il programma da concerto, come quello discografico, è una forma di civismo. Dimmi che autori vai e come li accosti
(in una “miscela Lavazza” oppure con certosino e filologico criterio) e ti dirò chi sei.
Vi sono le partigianerìe del programma cronologico, quelle del programma geografico, topografico, persino geopolitico, i fautori del programma monografico, gli amanti degli accoppiamenti giudiziosi, quelli delle ammucchiate, della “lectio magistralis”, i fan del “contemporaneismo”, gli adepti museali, i feticisti, i pii devoti, i ragionieri ed i “bad boys”. Per tacere degli eccentrici, dei contaminatori, dei sicari del cross-over, di quelli che “mettiamo Piazzolla alla fine”, dei propugnatori delle rarità, degli spacciatori di chicche, dei cultori delle trascrizioni (autentiche o quasi) oltreché delle colonne sonore. Potremmo continuare. Ma la disamina dei gusti, psicologici, sessuali e di “gender” non esaurisce la questione nel merito: come si compone un bel programma? Lunga sarebbe la risposta; anzi, di risposte, al plurale, sarebbe più giusto parlare.
Il programma di questo disco è bello sia da leggere sia da ascoltare. Abbiamo, messi a confronto, tre grandi autori del Novecento storico, uno ormai da decenni ben piazzato nel novero dei massimi (Bartók), l’altro, almeno fino a qualche tempo fa, di gran successo (Schnittke), l’ultimo (Lutoslawski) forse più noto nei perimetri delle sale da concerto.
A montare per i tipi dell’ECM l’ardimentoso impaginato è il duo formato dalla violinista Miranda Cuckson e dal pianista Blair Mac Millen. (altro…)

I NOSTRI CD. Una sventagliata di nuovi album dal blues alla musica contemporanea

a proposito di jazz - i nostri cd

John Abercrombie Quartet – “Up and Coming” – ECM 2528

In questo album, che apre la stagione 2017 della ECM, ritroviamo il chitarrista John Abercrombie alla testa di un quartetto composto da “vecchi amici”, se ci passate il termine, vale a dire Marc Copland al piano , Drew Gress al contrabbasso e Joey Baron alla batteria. In un modo o nell’altro Abercrombie, anche nel recente passato, ha avuto modo di collaborare con i musicisti su citati : basti ricordare, al riguardo, l’album “39 Steps” del 2013 che tanti consensi ottenne da pubblico e critica. Ciò per sottolineare come il quartetto già prima di entrare in sala di registrazione per quest’ultimo album fosse ben rodato e pronto a seguire le linee direttrici tracciate dal leader. Linee che si sostanziano innanzitutto nella ricerca di una bella linea melodica supportata da raffinate armonizzazioni e quindi nello splendido suono della chitarra di Abercrombie che dialoga magnificamente con il sound più robusto del pianoforte; l’intesa tra i due è a tratti sorprendente: John e Marc sanno ascoltarsi, comprendersi e mai accade che una intuizione, un input lanciato da uno dei due non venga prontamente captato e sviluppato dall’altro. Così il fraseggio liquido, scorrevole di Abercrombie, a fronte del pianismo più articolato e dinamico di Copland, crea spesso una tensione che affascina l’ascoltatore attento. Ovviamente questo continuo gioco di rimandi non sarebbe stato possibile se i due non fossero stati accompagnati da una eccellente sezione ritmica in grado di fornire un supporto di grande flessibilità ed eleganza. Caratteristiche queste che si riscontrano per tutta la durata dell’album, sia che il gruppo interpreti le cinque composizioni di Abercrombie, sia che ad assumere il ruolo del compositore per due volte sia Marc Copland, sia, infine, che si faccia rivivere un capolavoro assoluto quale “Nardis” di Miles Davis.

Theo Bleckmann – “Elegy” – ECM 2512

In perfetta sintonia con il titolo, atmosfere sognanti, oniriche quella disegnate dal vocalist e compositore tedesco Theo Bleckmann al suo esordio da leader nell’ambito della prestigiosa etichetta ECM. Ad onor del vero Theo aveva già registrato per la casa tedesca ma come sideman: lo ritroviamo, infatti, accanto a Julia Hulsmann in “ A Clear Midnight—Weill and America” (ECM, 2015) e ancora con Meredith Monk ‎in “Mercy” (ECM, 2002) e “Impermanence” (ECM, 2008) album, questi ultimi due, in cui suona anche lo stesso batterista di “Elegy”, John Hollenbeck. Ma soffermiamoci adesso su quest’ultima produzione di Theo che ha scelto di guidare un quintetto completato da Ben Monder chitarra, Shai Maestro piano, Chris Tordini, contrabbasso e, come si accennava, John Hollenbeck batteria. Il gruppo appare perfettamente funzionale alle idee del leader vale a dire una musica semplice ma non banale, un organico che si esprime quasi per sottrazione, la precisa volontà di non prediligere il lato virtuosistico della performance ma di affidarsi all’espressività, ad una concezione che in qualche modo potremmo avvicinare al cosiddetto minimalismo. Ovviamente per raggiungere in pieno tali obiettivi occorreva un repertorio acconcio: di qui i dodici brani presenti nell’album, tutti a firma del leader eccezion fatta per “Comedy Tonight” tratto da “A Funny Thing Happened on the Way to the Forum” , musical andato in scena per la prima volta a Broadway nel 1962, con musiche e versi di Stephen Sondheim. I brani sono tutti interessanti anche se una menzione particolare la merita “The Mission” un vero e proprio esercizio di bravura per Theo Bleckmann che dimostra ancora una volta, se pur ce ne fosse bisogno, quanto sia meritata la stima di cui gode nell’ambiente musicale di tutto il mondo.

Dave Brubeck – At The Sunset Center – Solar 4569973

Questo album riporta, per la prima volta integralmente, il concerto tenuto dal quartetto di Dave Brubeck al ‘Sunset Center’ di Carmel (California) nel giugno del ’55. La ‘storica’ collaborazione tra il pianista Dave Brubeck e il sassofonista Paul Desmond era iniziata nel 1946 all’interno di un ottetto dal sapore vagamente sperimentale. Negli anni a venire, in particolare nel 1951, Brubeck e Desmond costituirono un quartetto completato da Fred Dutton al basso e Herb Barman alla batteria, questi ultimi poi sostituiti rispettivamente da Bob Bates e Joe Dodge. In quel periodo il quartetto, nonostante avesse tenuto diversi concerti soprattutto in università e college, realizzò solo un album “Jazz Goes To College” registrato nel corso di vari concerti in college nel 1954. Di qui l’interesse non solo artistico ma anche storico dell’album in oggetto. Dal punto di vista squisitamente musicale, non occorrono certo molte parole per sottolineare come si ascolti una delle formazioni più importanti della storia del jazz, una formazione che seppe dire qualcosa di originale. Certo lo stile può piacere o meno ma il ruolo ricoperto da Brubeck e Desmond resta lì, indiscutibile. L’album contiene otto standards registrati, come si accennava al ‘Sunset Center’ di Carmel cui è stata aggiunta una inedita versione di “Two Part Contention” dello stesso Brubeck registrata durante un concerto al ”Basin Street Club” di New York del 1956. Un’ultima notazione di carattere cronachistico: il “Sunset Center” era un teatro che ospitava dei cicli di concerti jazzistici ed è proprio lì che il 19 settembre dello stesso 1955 Erroll Garner registrò il suo indimenticabile “Concert by the Sea”.

François Couturier, Tarkovsky Quartet – “Nuit blanche” – ECM 2524

Parlare semplicemente di jazz a proposito di questo album appare improprio: siamo piuttosto nel campo della musica contemporanea eseguita da artisti che hanno frequentazioni importanti con il mondo del jazz. François Couturier piano, Anja Lechner violoncello, Jean Marc Larché sax soprano, Jean Louis Matinier accordéon sono infatti musicisti che abbiamo spesso incontrato in contesti più prettamente jazzistici. Da qualche tempo i quattro hanno costituito questa formazione dall’organico assai insolito che hanno chiamato “Tarkovsky Quartet” in omaggio ad Andrei Arsenyevich Tarkovsky, celebre regista russo scomparso nel 1986. Ancora una volta il quartetto si impone alla generale attenzione per la profondità di campo che riesce a dare alla sua musica. Ascoltando i diciassette brani dell’album – di cui sette sono libere improvvisazioni e gli altri scritti da Couturier da solo o con gli altri compagni di strada – non si può non restare colpiti dalla purezza del suono, dalla estrema linearità con cui si esprime ciascun artista, dall’atmosfera dialogante per cui violoncello e fisarmonica riescono ad esprimersi su un piano di assoluta parità e soprattutto dalla straordinaria capacità improvvisativa dei singoli che, anche nel caso dei brani scritti, trovano ampi spazi per dar libero sfogo alla fantasia. Di qui una musica aperta, nuova ad ogni ascolto, ricca di sottigliezze. E, per chiudere, consentitemi di sottolineare la straordinaria prestazione di Jean Louis Matinier il quale dimostra, se pur ce ne fosse bisogno, come la fisarmonica, se in mani sapienti, sia strumento adatto ad ogni situazione, anche la più sofisticata e quindi lontana da quel recinto popolare cui ancora oggi molti vorrebbero rinchiuderla.

Matt Dibble, Fabio Zambelli – “Songs and Soundscapes” – Xtreme

Album interessante questo proposto da Matt Dibble e da Fabio Zambelli; il clarinettista inglese e il chitarrista italiano hanno costituito da qualche tempo un duo che tralascia facili situazioni per addentrarsi in terreni scivolosi, imprevedibili come quelli rappresentati dalla ricerca e dalla sperimentazione. Intendiamoci: mai abbiamo sostenuto che ricerca e sperimentazioni nel campo musicale siano valori in sé, occorre che le stesse siano sostenute da profonda conoscenza della materia musicale, da eccellente tecnica di base e soprattutto – almeno a nostro avviso – da una onestà di fondo che si sostanzia nell’assoluto abbandono di qualsivoglia ansia di stupire, di meravigliare. Ebbene, ascoltando l’album in oggetto, sembra proprio che i due artisti abbiano le carte in regola per soddisfare anche i palati più esigenti: la loro è una musica tutta basata sull’interplay, sulla coralità, ben equilibrata tra parti scritte (songs) e improvvisazioni (soundscapes), sempre alla ricerca di soluzioni nuove, affascinanti, impreziosite da belle linee melodiche e da una robusta tecnica strumentale. Questi elementi non stupiscono ove si tenga presente che i due si sono conosciuti nel 2001 a Londra, durante i loro studi di jazz performance e composizione presso il conservatorio “Guildhall school of music and drama” e che successivamente hanno suonato, tra l’altro, nella GSMD jazz band misurandosi su repertori di jazz classico e contemporaneo, e con cui hanno vinto il premio BBC come migliore orchestra jazz Britannica. Nel corso della loro attività, prima di questo “Songs and Soundscapes”, hanno inciso nel 2009 in Francia come duo “Minor Mood”, poi pubblicato nel 2011 da Sonitus, e quindi “Spring” sempre in duo pubblicato nel 2015, album che hanno aperto la strada quest’ultima realizzazione.

Duke Ellington – “Blues in Orbit + The Cosmic Scene” – Essential Jazz Classics 2 CD

Duke Ellington – “Sacred Concerts” – “Rondeau”

Il perché di questi due titoli , “Blues in Orbit” e “The Cosmic Scene”, viene illustrato efficacemente nell’esaustivo libretto che accompagna i CD laddove si spiega che, dopo il lancio nello spazio dello Sputnik 1 di fabbricazione sovietica il 4 ottobre del 1957, l’idea di poter viaggiare nello spazio conquistò l’animo della gente. Neanche il jazz ne rimase immune come dimostrano questi due album di Ellington risalenti al 1958-59, ma non solo ché altri lavori dedicati allo spazio furono registrati da Dave Brubeck e da George Russell. Ciò detto occorre sottolineare come i due CD di Ellington contengano integralmente gli LP originari con l’aggiunta di ben diciotto bonus tracks di cui otto alternative takes tratte dalle stesse sedute di registrazione e dodici da altre date. Nel primo album compare la band ellingtoniana al completo mentre nel secondo si può ascoltare un nonetto di livello assoluto con la presenza dei più rappresentativi solisti dell’orchestra. Ellington prese la decisione di ridurre l’orchestra ad un nonetto dopo lo strepitoso successo ottenuto al Newport Jazz Festival del 1956, sempre alla ricerca di nuove vie espressive. Straordinario il repertorio dei due album comprendente sia celebri standard rivisitati e riattualizzati sia nuove composizioni mai registrate in precedenza. Dal punto di vista squisitamente musicale, ambedue gli album sono semplicemente straordinari: l’orchestra ellingtoniana è colta in uno dei suoi momenti migliori, impreziosita dagli assolo di Paul Gonsalves, di Clark Terry, di Jimmy Hamilton, di Johnny Hodges … e via discorrendo in una galleria delle meraviglie che comprende alcuni dei migliori solisti che la storia del jazz possa vantare.
Il secondo CD contiene una recente (2015) registrazione live di brani tratti dai concerti sacri di Ellington, effettuata in Germania dalla Big Band Fette Hope e dal Junges Vokalensemble Hannover sotto la direzione rispettivamente di Timo Warnecke o Jorn Marcussen-Wulff Klaus e di Jürgen Etzold . E’ noto agli appassionati di jazz come i concerti sacri rappresentino , almeno nella considerazione dello stesso Ellington, le pagine più importanti da lui scritte nel corso degli anni. Composti tra il 1962 e il 1973 i tre Concerti rappresentano al meglio l’anima del compositore e la sua stessa concezione della spiritualità. Ben si capisce, quindi, il perché questa musica non venga spesso eseguita risultando assai difficile ricreare le emozioni che Ellington trasmetteva con la sua orchestra. Ben venga, quindi, questa impresa che ci restituisce pagine di musica che non conoscono età. E bisogna dire che sia la band sia i vocalist se la cavano assai bene: da un punto di vista orchestrale, la band riesce a rappresentare quella concezione orchestrale che caratterizzava l’opera di Ellington mentre i cantanti sono tutti all’altezza del compito: Claudia Burghard (mezzo soprano), Joachim Rust (baritono), magistralmente supportati dal già citato Junges Vokalensemble Hannover, danno energia a brani celeberrimi come “Ain’t But The One”,“Come Sunday” , “Something’Bout Believing” riportandoli all’attualità del nuovo secolo.

Ellery Eskelin Trio – “Willisau Live” – hatOLOGY 741

Oramai vicino ai sessanta, il tenorsassofonista statunitense Ellery Eskelin è stato definito da “Down Beat” il miglior artista nel campo della musica creativa di oggi. E per avere conferma di quanto tale considerazione sia meritata basta l’ascolto di questo album registrato dal vivo durante il Festival Jazz di Willisau, in Svizzera, il 28 agosto 2015. Ellery suona in trio con Gary Versace all’organo Hammond B3 e Gerry Hemingway alla batteria. L’organico è inusuale ma non per il sassofonista che sta esplorando questa particolare formula già dal 1994 quando costituì un trio con il tastierista Andrea Parkins e il batterista Jim Black, formula ulteriormente perfezionata nel 2011 con la creazione del Trio New York, dove accanto a Eskelin e Versace c’era Gerald Cleaver alla batteria, in questi ultimi tempi sostituito per l’appunto da Gerry Hemingway. Ed eccoci alla serata del 28 agosto 2015 a Willisau: il trio inizia la sua performance con una medley lunga oltre cinquanta minuti in cui figurano, in successione, un originale – “Our (or about)” –firmato da tutti e tre i musicisti, e tre standard , “My Melancoly Baby”, “Blue and Sentimental” di basiana memoria ed “East of the Sun”. Il set si chiude con altre due perle, la monkiana “Wee See” e “I Don’t Stand A Ghost of A Chance With You”. Ebbene dal primo all’ultimo istante la musica del trio appare innervata da una grande energia e dalla perfetta consapevolezza, da parte di tutti e tre i musicisti, di stare esplorando nuove strade pur restando fortemente ancorati alla tradizione. Di qui il fraseggio e la sonorità del leader che dimostra di aver ascoltato e assimilato la lezione dei grandi del passato quali, tanto per fare qualche nome, Sonny Rollins e Ben Webster; di qui il fantasioso apporto ritmico, davvero originale e timbricamente unico, della batteria di Hemingway che deve aver molto apprezzato le sezioni ritmiche delle orchestre di Count Basie; di qui il particolare approccio alla materia sonora da parte di Versace che stravolge un po’ il modo di suonare di Jimmy Smith, da un tutto pieno ad un gioco di pause e di sottigliezze timbriche non proprio usuali nel mondo degli organisti.

Cameron Graves – “Planetary Prince” – Mack Avenue 1123

Cameron Graves al pianoforte , Kamasi Washington al sax tenore: dovrebbero bastare solo questi due nomi per far capire che tipo di musica si ascolta in questo cd. Ma il gruppo è più largo e comprende altri eccellenti musicisti del moderno jazz di Los Angeles quali il trombettista Philip Dizack, il trombonista Ryan Porter, ed una formidabile sezione ritmica costituita dal batterista Ronald Bruner Jr., dal bassista elettrico Hadrien Feraud considerato oggi un numero uno e dal contrabbassista Stephen “Thundercat” Bruner. La presenza di Kamasi Washington in questo album di debutto come leader di Cameron Graves non deve meravigliare ove si tenga presente che il pianista era partner del sassofonista in quell’album “Epic” che tanto successo ottenne alla sua uscita nel 2015. Insomma questo “Planetary Prince” rappresentava , per Cameron, una occasione assai importante per consacrarsi definitivamente come uno dei migliori, più fantasiosi e visionari pianisti, tastieristi e compositori delle ultime generazioni. E le premesse c’erano tutte anche perché i pezzi dell’album sono da lui stesso scritti e arrangiati. Peccato che anche ad un primo sommario ascolto l’album risulti tutt’altro che imperdibile. Certo Graves suona bene, Washington non deve dimostrare alcunché, ma è tutto l’impianto del disco che non regge, proponendo una musica scontata e poco originale. E qui ci fermiamo in quanto è ben possibile che Graves ritorni sui suoi passi e ci proponga qualcosa all’altezza delle sue enormi possibilità. (altro…)

OPEN PAPYRUS JAZZ FESTIVAL 37′ EDIZIONE, tutte le foto

PRIMA SERATA – Giovedì 23 marzo 2017
Sala Santa Marta
Tre quadri coreografici sulle musiche del cd Mantis
Scuole di danza Arabesque, Accademia, Baobab.

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Sala Santa Marta
Carlo Actis Dato – Enzo Rocco Duo

SECONDA SERATA – Venerdì 24 marzo 2017

Sala Santa Marta -Coro femminile ” Le voix qui dansent”

Teatro Giacosa
Daniele Di Bonaventura, bandoneon

Teatro Giacosa
Quintorigo e Roberto Gatto play Zappa

Roberto Gatto: batteria
Valentino Bianchi: sax
Andrea Costa: violino
Stefano Ricci: contrabbasso
Gionata Costa: violoncello
Alessio Velliscig: voce

TERZA SERATA, sabato 25 marzo 2017

Sala Santa Marta:
Boris Savoldelli

Teatro Giacosa:
Paolo Fresu Devil Quartet

Paolo Fresu: tromba, flicorno, effetti
Bebo Ferra: chitarra
Paolino Dalla Porta: contrabbasso
: batteria

Teatro Giacosa
Odwalla e Baba Sissoko

Massimo Barbiero: marimba, vibes, percussions
Matteo Cigna: vibes, percussions
Stefano Bertoli: drums
Alex Quagliotti: drums, percussions
Dudù Quate: percussions
Doussou Bakary Touré: djembè
Andrea Stracuzzi: percussions
Baba Sissoko: kora, tama, voice
Vocal: Gaia Mattiuzzi
Dance: Vincent Harisdò – Jean Landruphe Diby

OPEN PAPYRUS JAZZ FESTIVAL Ivrea – La terza serata

Parole Daniela Floris
Foto Carlo Mogavero

Sabato 24 marzo, ore 18, Sala Santa Marta

Una serata davvero densa di musica e non solo musica, quella di sabato 24, che comincia con un dibattito all’ Oratorio di Santa Marta sul progetto Odwalla, che andrà in scena in seguito la sera al Teatro Giacosa.
“Maurizio Franco, riflessioni su Odwalla”, sulla falsariga del libro di Davide Ielmini Odwalla, tempus fugit, moderato da Alberto Bazzurro, è il modo con cui si analizza, si descrive, si spiega e si cerca di comprendere un progetto oramai ventennale che si rinnova ogni anno, in quanto progetto aperto: aperto a suggestioni, cambiamenti, ospiti accolti, e dunque definibile in toto come Jazz. Strutturato ma in continuo cambiamento. I preziosi ascolti proposti da Maurizio Franco disvelano proprio l’unicità di un progetto che è quello ma che non sarà mai lo stesso. Come sarà chiaro, ancora una volta, come leggerete, al Teatro Giacosa, dove Odwalla entrerà in scena in questa 37 edizione con Baba Sissoko.

Dopo la degustazione aperitivo offerto dal Consorzio Vini Canavese, va in scena il concerto di un fenomenale Boris Savoldelli.

Ore 18:30

Boris Savoldelli, voce ed elettronica

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Mi verrebbe naturale un incipit che dicesse all’incirca così: “Non fatelo a casa da soli”.
Sì, perché Boris Savoldelli, vocal performer, presenta un’ora di concerto in solo in cui, con l’ausilio della loop station e del sample, moltiplica la sua voce (e che voce, multitimbrica) per tutte le volte che vuole, costruendosi una vera e propria orchestra, o trio, o qualsiasi compagine gli venga in mente di costruire.
Ma per fare questo bisogna essere ottimi musicisti, avere un orecchio finissimo, gusto nell’armonizzare, nonché saper creare basi ritmiche molto precise: la loop station è micidiale, una volta inserita la propria voce, quella viene parte e procede implacabile senza possibilità di aggiustamenti ulteriori, pena l’eternarsi dell’errore, della cattiva intonazione, di un’armonizzazione sbagliata o anche soltanto spiacevole nella resa. No, non fatelo a casa, perché è davvero impresa titanica, e il fallire porta a risultati insopportabili per il malcapitato che vi dovesse ascoltare.
Boris Savoldelli è un musicista, può permettersi questa impresa.
La prima parte consta di una rigorosa arte dell’arrangiamento, estemporaneo, ovvero la creazione di una base strutturata che definire di accompagnamento è certamente riduttivo. La seconda parte è la possibilità di improvvisare su quel ricco substrato autoprodotto, creando secondo la propria sfrenata fantasia: il risultato è di impatto notevole e musicalmente di alto livello.
Savoldelli è divertente, costruisce un repertorio vario e dunque tutt’altro che monocorde (da I mean You, a Leonard Cohen, al blues, a brani leggendari quali My favourite things), e fornisce anche un saggio della propria voce senza sovrimpressioni con un assolo pazzesco, amplificato dalla particolare acustica della Sala Santa Marta.
Se vi capita, andatelo ad ascoltare, perché oltretutto questo artista ha una grande comunicativa e gli piace spiegare, sorridendo e facendo sorridere, tutto ciò che sta creando: dote rara in un settore musicale non di rado un po’ troppo autoreferenziale.

La serata finale entra nel vivo con il Teatro Giacosa sold out per i due concerti di Paolo Fresu Devil Quartet e Odwalla & Baba Sissoko.

Ore 21

Paolo Fresu Devil Quartet

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Paolo Fresu: tromba, flicorno, effetti
Bebo Ferra: chitarra
Paolino Dalla Porta: contrabbasso
Stefano Bagnoli: batteria

Chi, tra chi ama e il Jazz, e non solo, non conosce Paolo Fresu, e anche il Devil Quartet? Anche chi vi scrive lo ha ascoltato più volte, in varie occasioni. Dunque potrei essere in imbarazzo davanti al mio taccuino, quasi vuoto, perché tanto so già tutto e devo solo trovare nuove parole su cose già scritte.
Invece ad Ivrea ho preso molti appunti, come succede sempre quando ascolto musica che mi piace e per la quale ho intenzione di trovare le parole giuste che possano descriverla.
Ho cominciato a scrivere da subito, con Ambre, brano dolce e melodico, suonato piano, forse pianissimo, ma con una intensità e pienezza di suono particolari: la batteria di Bagnoli apparentemente minimale, respira, invece che battere, il contrabbasso di Dalla Porta interagisce con la chitarra e la tromba intrecciandosi con loro anche melodicamente, e non solo con una funzione di accompagnamento. Il tessuto melodico si fa via via sempre più intenso, le spazzole vengono sostituite dalle bacchette, gli scambi tra la tromba e la chitarra che si fanno più fitti, si improvvisa, il flicorno si arricchisce di effetti, fino ad arrivare alla nota lunghissima in fiato continuo, suggestiva sotto i ricami della chitarra di Bebo Ferra: un andamento al quale è impossibile rimanere indifferenti.
Con Moto Perpetuo si cambia atmosfera: comincia Bagnoli alla batteria, si uniscono man mano gli altri a partire da Ferra: prevalgono gli effetti, si sconfina verso un funky trascinante, il duettare tra chitarra e tromba è continuo, la batteria mantiene il punto graniticamente su rullante e charleston, ed è substrato non solo necessario ma davvero irresistibile, quasi ipnotico, fino ad aprirsi in un assolo dirompente e liberatorio. Si continua a lungo, passando per un bellissimo Blame it on my youth, come omaggio a Chet Baker, poetico, sì, ma di certo non melenso, anzi, ricco di particolari, di cura. E ancora un bellissimo assolo di Dalla Porta al contrabbasso, una chitarra fonte di continui e preziosi spunti, e le note lunghe della tromba ricche di dinamiche cangianti.
Giulio Libano di Bagnoli, brano ancora inedito, che uscirà con il prossimo album, completamente acustico, è ancora una volta un esempio di delicatezza ma anche di efficace pienezza, con il tema che passando da uno strumento all’altro cambia nel timbro e non solo nelle note.
Il bis è il tema della popolarissima fiction Un Posto al Sole e dimostra che il Jazz è ovunque, se a suonare ci sono veri Jazzisti. Quali sono, applauditissimi, Fresu, Ferra, Dalla Porta e Bagnoli.

Ore 22:15

Odwalla e Baba Sissoko

Massimo Barbiero: marimba, vibes, percussions
Matteo Cigna: vibes, percussions
Stefano Bertoli: drums
Alex Quagliotti: drums, percussions
Dudù Quate: percussions
Doussou Bakary Touré: djembè
Andrea Stracuzzi: percussions
Baba Sissoko: kora, tama, voice
Vocal: Gaia Mattiuzzi
Dance: Vincent Harisdò – Jean Landruphe Diby

(cliccare sulle foto per espanderle)

Odwalla è Jazz? E’ musica africana in particolare? E’ musica etnica? E’ un ensemble di percussioni? E’ un progetto sperimentale? E’ musica per danza?
Potremmo partecipare a mille dibattiti, e troveremmo particelle di ognuna di queste definizioni e anche altre. Non credo sarebbe costruttivo classificare, riordinare, strutturare un ensemble così cangiante, aperto, multiforme. Ne perderemmo la parte più suggestiva e in fondo anche il senso. Perché come ho detto più volte, il senso di Odwalla è farsi trascinare dai suoni, dai movimenti, dai colori (Odwalla, quando sul palcoscenico è un’esperienza multisensoriale che comprende anche la danza, i costumi, le luci e anche solo la bellezza visiva di tanti strumenti diversi).
In questa 37′ edizione del Festival l’ospite era Baba Sissoko. Originario del Mali, virtuoso del tama, o tamburo parlante, vocalist eccellente, un curriculum imponente, collaborazioni molteplici con musicisti internazionali di svariati ambiti musicali, tra cui naturalmente il Jazz, è parso essere dal primo istante l’artista perfetto, talmente in sintonia con tutto il gruppo da non sembrare l’elemento esterno, ma uno degli elementi fondanti.
Così come è apparsa assolutamente convincente, compenetrata con il complesso tessuto ritmico armonico del gruppo Gaia Mattiuzzi, con la sua voce capace di essere ad un tempo cosìimmateriale e terrestre.
Odwalla, Baba Sissoko, Gaia Mattiuzzi i due danzatori Cincent Harisdò e Jean Landrupge Dibi hanno creato uno spettacolo di dualismi, di ossimori del tutto apparenti. Il ritmo si è trasformato in melodia, con la tama di Sissoko, la melodia in ritmo, con i vibrafoni di Barbiero e Cigna. Le voci maschile e femminile si sono fuse in un unico suono di cui importava (più che il timbro) la resa come suono universale, punto di arrivo di fusione con il gruppo. Le percussioni, nel loro suonare insieme, hanno creato armonie, oltre che battiti. La innegabile strutturazione ritmica di molti pezzi, come Cappellaio Matto, o più introspettive e melodiche, come Cristiana,  hanno dato il via a poliritmie affascinanti e a lunghi episodi di improvvisazione dove gli assoli però mai hanno determinato l’emergere del musicista in essi impegnato a discapito degli altri.
La danza è apparsa simbolica ma anche fortemente legata a tradizioni ben definite,  gli stessi costumi contrastanti tra il bianco assoluto e i colori sgargianti delle maschere hanno trascinato il pubblico tra sensazioni opposte eppure complementari , in un alternarsi tra il movimento del corpo in tutta la sua fisicità e movimenti invece più astratti o evocativi.
Baba Sissoko è fiero delle sue origini africane, ma con la sua musica, da sempre aperta alle suggestioni “altre” , è una porta aperta alla cultura dell’accoglienza e dello scambio. Odwalla e Sissoko, Massimo Barbiero, anima musicale e culturale di questo progetto imponente i danzatori, i musicisti tutti hanno dato vita ad un concerto di musiche e danze della Terra: inutile andare alla ricerca dei vari tasselli che lo hanno composto e che lo compongono. Il mosaico finale è ciò che si spererebbe accadesse nel Mondo in questo particolare periodo storico: lo abbiamo potuto visualizzare nei metri quadrati di un palco di una città del Nord Italia, chiamata Ivrea. Non poteva esserci una chiusura migliore per l’Open Papyrus Jazz Festival, diventato per due ore, il 24 marzo 2017, il centro del Mondo che, appunto, auspicheremmo abitare.