Groove, energia ed estro creativo per un Jazz di eccellenza

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A Roma ci sono locali su cui davvero si può contare se si vuole ascoltare ottimo Jazz: uno di questi è il Bebop. Non vi parlo da avventore comune, ma da appassionata: il Jazz è bellissimo ascoltarlo ovunque, naturalmente, nei teatri, negli auditorium, ma nei club è sempre un po' diverso, se c'è l'atmosfera giusta. E l'atmosfera giusta è quella in cui c'è silenzio, certo, ma non il silenzio assoluto: ci deve essere una specie di flusso vivo tra musicisti e pubblico. Il palco non deve essere così lontano e nemmeno troppo in alto: li si vede scambiarsi , li si vede suonare da vicino. Si diventa parte di ciò che sta accadendo.
Sabato sera (per meglio dire, sabato notte, nei club si suona tardi) ha suonato un di eccellenze: uno di quei gruppi che vai a sentire contento, perché già sai che suoneranno bene, anche se non sai esattamente cosa potrà accadere, perché sono musicisti che non si accontentano di proporre un format fisso, del quale si sentono sicuri, un compitino già confezionato così siamo tutti contenti. Il trio in questione è costituito da LorenzoTucci – Max Ionata  – Luca Mannutza, rispettivamente alla batteria, al sax tenore e all'organo Hammond.
Quando si parla di Trio, nel Jazz, si pensa spontaneamente, come è ovvio che sia, alla compagine pianoforte, contrabbasso, batteria. Un hammond trio come quello qui sopra indicato porta chi ascolta in un mondo sonoro abbastanza inconsueto rispetto a quello più tradizionale. Il suono dell'organo elettrico è particolare, inconfondibile: è ovattato ma allo stesso tempo piuttosto pervadente. Gli accordi che si ottengono su un organo hammond si percepiscono nettamente, hanno una forza armonica persistente, continua, alla quale l'hammondista ha anche la possibilità di imprimere dinamiche notevoli. Ed il click tipico dovuto alla pressione dei tasti ha una sua valenza ritmica non indifferente. Il sax tenore (con la sua voce potente e duttile) e la batteria (con le sue infinite possibilità ritmiche e dinamiche), se i musicisti sono all' altezza di gestire cotanto materiale timbrico, si intrecciano con uno strumento così particolare dando luogo ad una performance molto interessante, anzi, avvolgente. Chi ascolta viene avviluppato, imbrigliato – difficile sottrarsi o distrarsi – in un' esperienza musicale forte, divertente e di sicuro non piatta o ripetitiva.
Al Bebop è andata così. Tucci, Mannutza e Ionata sono prima di tutto tre solisti di altissimo profilo, e questa non è certo una novità. Proprio in quanto tali, paradossalmente, sono capaci di fondersi in un'unica macchina di suoni in cui nessuno è leader ma in cui ognuno “lavora” per sublimare le caratteristiche degli altri. E dunque far emergere reciprocamente proprio quella vena solistica che è insita in ognuno.
E così quando Ionata espone un tema melodico per poi scioglierlo in una improvvisazione audace, Mannutza con l'hammond ha la cura di creare per il sax uno sfondo armonico  ritmico che nel suo svolgersi però ha una sua intellegibilità a se stante, una pienezza che, guarda caso, è quella che occorre nell'intreccio con la batteria di Tucci, che è a sua volta tutt'altro che “solo ritmo”. A ben ascoltare, anche l'infinita varietà di soluzioni ottenute dalle bacchette (o dalle spazzole) di questo batterista dalla fantasia inesauribile ha una sua precisa progressività armonica e melodica molto tangibile, e dunque godibile.
Se il tema principale è in carico all' hammond di Mannutza, Ionata potrà fare le veci, inaspettatamente, di una bella linea di contrabbasso. Ci saranno momenti in cui la batteria di Tucci si “limiterà” (se di limitarsi si può parlare, in un contesto in cui il fine non è certo la spavalderia del singolo ma la buona musica) a percuotere charleston e piatti per sottolineare gli impasti armonico ritmici dell' Hammond durante le improvvisazioni di Mannutza.
Voi direte “beh ma questo è il jazz”.
Appunto, questo è il Jazz, e bisogna saperlo fare, specialmente con tre strumenti così intrinsecamente assertivi, ognuno per le sue particolari caratteristiche. Il pericolo sempre in agguato è quello di “caracollare” in un minestrone indistinto, confuso, e voluminoso di suoni quasi sempre ad alto volume e dallo spessore ingombrante: si rischia di diventare monocordi e si rischia anche l'assuefazione da parte del pubblico al suono stesso. Invece il concerto al Bebop è stato un concentrato di groove, energia, contrasti timbrici e dinamici curati nei particolari, capacità di ascolto reciproco, estro creativo: il tutto in un clima di rilassatezza, quella rilassatezza di chi il suo mestiere lo sa fare molto bene, e può permettersi di divertirsi mentre suona, e dunque di divertire.
La scaletta molto varia tra blues, latin, standards adrenalinici e suggestive ballads ha fatto la sua parte.
Il Jazz è vivo. W il Jazz!

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