NOVADI’ alle Rane Di Testaccio stasera

Nascerà sempre nuova musica fino a quando ci saranno artisti un po’ visionari che sapranno immaginare, ma anche realizzare, le infinite possibilità che i loro strumenti e le esperienze vissute riescono ad ispirargli.
Fabrizio Cardosa (compositore, suonatore di viola da gamba, bassista) ha avuto l’intuizione di unire tre mondi sonori completamente diversi tra loro: la sonorità barocca della viola da gamba, quella popolare e tradizionale dell’organetto, e quella classica – ma non solo – del clarinetto. A questo inusuale Trio ha voluto mescolare una voce femminile. E persino il basso elettrico.
Da questa immaginifica mescolanza nasce NOVADI’, ovvero una musica completamente nuova, fatta di suoni antichi, colti o tradizionali, utilizzati sapientemente per creare brani originali o affascinanti reinterpretazioni di musica popolare o antica. Non un puzzle di suoni già noti, ma una realtà sonora a se stante, da godersi in tutto il suo prezioso carico di freschezza creativa.
NOVADI’ sono Fabrizio Cardosa (viola da gamba e basso elettrico), Fiore Benigni (organetto), Paolo Rocca (clarinetto e clarinetto basso) e Patrizia Rotonda (voce). 

L’allegra battaglia tra musiche popolari e accademiche, tra acustiche ed elettriche, tra temperamenti di vari nord e vari sud, perenne tenzone che già tanti capolavori lasciò sul campo nei secoli, oggi deve annoverare una nuova aggressiva guarnigione di mercenari; quattro vecchi soldati che conoscono vari terreni di battaglia, utilizzano strumenti che raramente si erano incontrati e sono affamati di bottini che possano scaturire in termini di ritmi, melodie, sensazioni da questo scontro millenario.

Potrete ascoltare i NOVADI’ stasera, venerdì 19 maggio 2017 alle Rane di Testaccio alle 21.30 ! L’occasione ci sembra davvero da non perdere.

Gino Marinuzzi in uno splendido CD Decca

Quali furono, quanti sono i direttori d’orchestra, attività pratica per eccellenza, esperìti anche nell’arte speculativa della composizione? Balzano alla mente parecchi nomi: Gustav Mahler anzitutto, ma anche il suo discepolo Bruno Walter (tra i più interessanti), Wilhelm Furtwangler, Franco Ferrara, Giorgio Federico Ghedini che iniziò la propria carriera proprio come direttore per ripiegare soltanto in seguito sulla composizione (con vivo disappunto da parte della moglie, che pensava di aver sposato un musicista dai potenziali, lauti guadagni..),

In epoca più vicina a noi si possono citare all’ordine del giorno Esa-Pekka Salonen, il dotatissimo André Previn – anche jazzista ‘da paura’ – Lorin Maazel… Con le generazioni nuove per la verità tale doppia perfezione dell’atto musicale sembra esser passata di moda: sostituita dall’attività, certo non meno laboriosa, della costruzione della propria immagine? Forse, parafrasando Vàclav Havel, si teme di non poter servire due padroni e ingannarli entrambi nello stesso momento?

Magari si pensa, come Ardengo Soffici, che “quando si vive non si scrive” specie in un’epoca come quella attuale ove regna la pigrizia mentale più incontrastata ?

Sia come sia, Gino Marinuzzi fu esempio di eccellenza in tutti i campi. Nato il 24 marzo del 1882 a Palermo, appartiene anche lui de facto a quella “generazione dell’ottanta” i cui più noti esponenti furono Pizzetti, Casella, Respighi, Busoni.

In un tempo nel quale dominava incontrastata l’opera verista, e il Melodramma più in generale, questi giovani musicisti cercavano di sviluppare una nuova poetica; alcuni puntando lo sguardo, con moderato entusiasmo, alle nascenti avanguardie; tutti, applicandosi con nuovo vigore alla musica cameristica e sinfonica. Va ricordato come il compositore italico sia, di natura, un tradizionalista, legato a quel magnete potentissimo che è la melodia, ansioso di abbeverarsi alle fonti ancestrali (quali ad esempio furono i modi gregoriani nella musica di Pizzetti). Nonostante ciò immaginiamoci quale pubblico dovettero trovarsi di fronte questi compositori in una società come quella italiana, dove la maggioranza degli appassionati la musica strumentale la frequentava pochissimo e, soprattutto, non gliene poteva calar di meno.

La carriera direttoriale del Marinuzzi fu di portata mondiale, con acuti di popolarità negli U.S.A., come al MET. A Chicago fu per qualche tempo direttore stabile. Ammiratissimo e sempre attento a valorizzare i compositori italiani suoi contemporanei, come il succitato Pizzetti, è ritenuto, per la  tecnica direttoriale e il gusto assai evoluto, un interprete ancora attuale e moderno. Così  afferma anche un esegeta severo e attendibile come Riccardo Muti.
Peccato ci rimangano poche testimonianze registrate dell’arte sua.
A differenza del direttore, il compositore Marinuzzi è invece totalmente misconosciuto.
Decca ha pensato quindi di dedicargli, meritoriamente e con intelligente coraggio, questo bel CD antologico.
Colma di quel fascino inapparente che appartiene soltanto alle creazioni artistiche nate per necessità spontanea, priva di protervia, non rivolta a compiacere, segnare un’epoca o tracciare un confine, la dolce e tuttavia fluente musicalità di Marinuzzi è sincera come un buon vino sìculo. Della Sicilia queste note senza finzioni trasfondono il paesaggio in una luce potente, cangiante, al cui interno sferza lo scirocco di un’orchestrazione d’ascendenza wagneriana e, per effetto di specchio riflesso, persino debussiàna. All’ascolto, la sua ‘voce’ compositiva sembra quella di un eclettico, non mostrando di possedere uno stile unitario. Ma è forse questo il punto di forza dell’artista, ciò che lo rende in grado di cogliere le differenze, e scegliere meglio i colori dei suoi quadri musicali.
Il disco contiene la Sinfonia in la, in tre tempi, scritta nel 1942 ed ispirata a Virgilio: opera a mio avviso stupenda e sorprendente. Del secondo lavoro presentato, la Suite Siciliana, basti dire qui che il terzo tempo, Valzer Campestre, fa balzare alla mente analoghi  ‘numeri’ più celebrati di Verdi e Sostakovič, nientepopodimeno, ma di fronte a quegli ingombranti ‘cugini’  Gino Marinuzzi non sfigura.
L’esecuzione è affidata all’Orchestra Sinfonica di Milano “Giuseppe Verdi” guidata dal direttore Giuseppe Grazioli. Questi interpreti rendono all’ arte strumentale dell’autore il miglior servizio possibile con una lettura “naturale” ricca di gusto e forza drammatica. Ci spiace infrangere un’ennesima certezza dell’ avanguardia, ma Gino Marinuzzi va ad aggiungersi, anche in virtù della presente pubblicazione, al novero dei compositori ingiustamente considerati in ritardo sul proprio tempo, e per un pregiudizio infondato, ignorati quando non dileggiati. Parcere subiectis et debellare superbos…

CIRCOLO CONTROTEMPO AL FESTIVAL “NARRAZIONI JAZZ” DI TORINO: IL 21 MAGGIO PERFORMANCE DI VITALIANO TREVISAN CON I MALKUTH

Il Circolo Controtempo di Cormòns (GO) sarà l’unica realtà culturale friulana ospite al festival Narrazioni Jazz di Torino in programma dal 18 al 21 maggio.

Controtempo presenterà domenica 21 maggio (ore 15.30), all’Auditorium Grattacielo Intesa Sanpaolo, “Short-cuts in Jazz”, un progetto che unisce sul palcoscenico l’arte letteraria e teatrale di Vitaliano Trevisan con il jazz visionario dei Malkuth (quintetto rivelazione del jazz italiano), accompagnato da un nuovo “regalo” per il pubblico: un elegante volume, curato dal critico e giornalista Flavio Massarutto, che raccoglie due racconti (oggi quasi introvabili) di Trevisan intercalati dalle illustrazioni del fumettista Pasquale Todisco in arte Squaz, che collabora con riviste quali Linus, Internazionale e Rolling Stone.

Due giorni prima, il 19 maggio, Circolo Controtempo sarà invece al Salone del Libro di Torino per presentare l’edizione 2017 del proprio festival internazionale Jazz&Wine of Peace (che quest’anno raggiunge la XX edizione) e una relazione sullo stato del jazz in Friuli-Venezia Giulia, correlata da una presentazione del territorio del Collio, che a ottobre e novembre farà ancora una volta da palcoscenico naturale al Jazz&Wine of Peace.

SHORT-CUTS IN JAZZ
con Vitaliano Trevisan, autore e attore
Malkuth: Mirko Cisilino, tromba – Filippo Orefice, sassofono tenore – Filippo Vignato, trombone –
Mattia Magatelli, contrabbasso – Alessandro Mansutti, batteria
e la proiezione delle tavole di Squaz
produzione Circolo Culturale Controtempo (altro…)

Pat Metheny e Trio Rahsaan Due linguaggi a confronto

Due dimensioni concertistiche, due luoghi, due pubblici. Si vuole qui mettere a confronto indiretto il recital di Pat Metheny con il suo quartetto al Parco della Musica (8 maggio, sala S.Cecilia) con quello del trio Rahsaan (Eugenio Colombo, Marco Colonna, Ettore Fioravanti) al 28diVino. La più prestigiosa istituzione sonora capitolina ed un club, migliaia di persone da una parte e qualche decina dall’altra, tutte accomunate dalla passione per la (stessa ?) musica.

Metheny è uno dei pochi jazzisti che riesca a riempire il più grande degli spazi del romano Parco della Musica. Da anni la sua fama va ben al di là dell’ambito jazzistico:  coinvolge i numerosi estimatori del linguaggio chitarristico come coloro che amano cantabilità ed atmosfere evocative di un vasto spettro espressivo, dalla musica brasiliana al country.  Il musicista di Lee’s Summit conserva lo stesso look (maglietta a righe, capelli fluenti e castani) come se il tempo si fosse fermato e ciò crea complicità e “rispecchiamento”, almeno con la parte più “storica” dei suoi estimatori. Il chitarrista ha con sé, da tempo, Antonio Sanchez, un batterista di rara finezza e creatività che segue il leader senza bisogno di spartiti e ne asseconda ( o stimola) le dinamiche, immerso in modo partecipe nel flusso della musica. Al contrabbasso Linda Oh e al piano (confinato in un ruolo di accompagnamento, interrotto da brevi e rari assoli) lo strumentista inglese Gwilym Simcock. Pat Metheny – e questo è l’unico segno del tempo ed una “debolezza” da rock-star – ha un’assistente che, seguendo la scaletta, gli porge o sottrae i vari strumenti che colorano brani e concerto: la Manzer Pikasso Guitar (con 42 corde), la storica Gibson ES 175, la chitarra synth Roland 303, la Manzer Classical… Brani nuovi e del vasto repertorio si susseguono sempre accolti dal favore esplicito di un pubblico che celebra Metheny quale “guitar hero”, ruolo che gli appartiene davvero e che ha meritato sul campo in decenni di recital ed album, guidato da un entusiasmo per la musica che non è mai formale, al contrario generoso.

Alla lunga, tuttavia, il concerto tende ad essere ripetitivo perché ci vorrebbero altri partner, più paritari (Sanchez escluso) e perché la musica di Metheny si configura in una sua splendida quanto manieristica stagione: dona eufoniche certezze, sfodera un dinamismo invidiabile ma non “graffia” più (o molto meno) sul panorama sonoro contemporaneo.

 

Dagli spazi e dalle masse dell’Auditorium precipitiamo metaforicamente (anche a ritroso nel tempo) al 28diVino, locale romano che accoglie proposte innovative e radicali, sempre aperto a giovani jazzisti, novità, sperimentazioni ed incontri (gestito con coraggio da Marc e Natacha, ancora non si sa per quanto). Qui il 30 aprile (International Jazz Day) ha scelto di esibirsi il trio  Rahsaan che ri-propone la musica visionaria e comunicativa del politrumentista Roland Kirk, artista spesso dimenticato il cui magistero ancora brilla per originalità. Colombo, Colonna e Fioravanti hanno suonato in altri locali romani ed hanno registrato il 18 aprile le tracce di un album di prossima uscita: l’esibizione al 28diVino è, quindi, il frutto maturo di una ricerca d’identità che passa attraverso un repertorio arrangiato (soprattutto da Marco Colonna) per due ance (a volte tre o quattro) e percussioni, rendendo essenziale il lirismo kirkiano pur mantenendone l’espressionistica policromia. Del resto il plurisassofonista era in grado di suonare più strumenti contemporaneamente, servendosi di sassofoni, flauti ed “attrezzi sonori” desueti (come il C Melody Sax). Dodici i brani impaginati dal trio in modo narrativo e timbrico, con un continuo cambiare delle ance mentre Ettore Fioravanti alterna e fonde pelli e piatti. Il fiato continuo ed il ff dominano “Voluntareed Slavery”;”Theme for the Euliption” gioca con due alti mentre all’alto di Colombo si affianca il possente baritono di Colonna nella mingusiana “Oh Lord…” (nella registrazione originale c’era Kirk alle ance). E’ teatrale “Three for the festival”, trasuda blues “Inflated Tear”; un funk vicino a quello di Sun Ra o di Albert Ayler si ascolta in “Funk Underneath” e pentatonico è il bis conclusivo, “Blacknuss”.

Non mancano brani originali o di altri autori che ben si integrano con il variegato corpus delle composizioni/happening di Roland Kirk, artista cieco in cui l’aspetto visionario, iconico ed onirico era fondamentale. Il flauto ed il clarinetto basso tratteggiano “Desert Walkin”, arricchito da un exploit percussivo di Fioravanti, e “Frames” entrambi di Colonna. Il “Petit Fleur” di Sidney Bechet viene arrangiato (ed estremizzato) per due alti; “Devi Urga” è di Colombo e “Konia/Otha” dei due polistrumentisti, il cui linguaggio rielabora e personalizza elementi etnici e del radicalismo free. Musica incandescente, quasi “lavica” per un pubblico ristretto eppur partecipe come è, in genere, quello del 28diVino: il pubblico di una “cave” che è basilare terreno di cultura e incubazione per un jazz che rifiuta l’intrattenimento o il revivalismo.

Alla fine pur essendo in gran parte musica di repertorio quella proposta dal trio Rahsaan, suona più nuova che quella dello scintillante quartetto di Pat Metheny; più in dettaglio la musica di Colombo/Colonna/Fioravanti ingloba ed a tratti esalta quei tratti afroamericani che in Metheny esistono in forma ormai stemperata, anche se al chitarrista va riconosciuto il merito storico di aver prodotto e suonato con Ornette Coleman (“Song X”, 1986) quando molti si erano dimenticati del padre del free e di averne sempre valorizzato i brani per il loro lirismo. Ed è, paradossalmente, la vocalità che accomuna i due: il chitarrista bianco di Lee’s Summit (Missouri) e l’altista nero di Forth Worth (Texas).

Gente di Jazz, il libro di Gerlando Gatto, sarà presentato al Salone Internazionale del Libro di Torino il 18 maggio

La redazione di A Proposito di Jazz ha il piacere di annunciare l’uscita del libro “Gente di Jazz” – interviste e personaggi dentro un festival jazz – (edizioni KappaVu/Euritmica), scritto dal nostro direttore Gerlando Gatto. Il volume contiene la prefazione del celebre trombettista sardo (grande amico di Udin&Jazz), Paolo Fresu, la postfazione del filosofo e intellettuale friulano Fabio Turchini e le immagini del fotografo Luca d’Agostino.

L’opera sarà presentata in anteprima al Salone del Libro di Torino, nello stand della Regione Friuli Venezia Giulia (Pad. 1 – stand B33), giovedì 18 maggio, alle 18:30; interverranno l’autore, il direttore artistico di Udin&Jazz, (la XXVII edizione sarà illustrata nel corso dell’incontro) Giancarlo Velliscig e il giornalista di Rai Radio 1, Max De Tomassi, conduttore delle seguitissime trasmissioni “Brasil”, musica e cultura dal Brasile contemporaneo e “Suoni e Culture dal Mondo”, partner del festival udinese.

“Gente di Jazz” raccoglie una serie di interviste e dialoghi tra il direttore, infaticabile divulgatore della musica jazz e un gruppo di musicisti che, in epoche anche molto diverse, hanno partecipato al Festival Udin&Jazz.

Il filo che lega gli artisti intervistati è quindi l’essersi esibiti a questa manifestazione, ed è grazie alla loro autorevolezza e influenza nella scena del jazz internazionale che si è costituito in Friuli Venezia Giulia un avamposto culturale e artistico, divenuto un luogo privilegiato di incontro e sviluppo di approcci musicali.

Le domande e gli approfondimenti proposti da Gerlando dei diversi aspetti, sia umani sia artistici, di questi musicisti contribuiscono a disegnare un quadro della ricchezza insita nel mondo del jazz, attuale e del passato, e della infinita gamma di personalità e di genialità dei protagonisti che ne compongono il variegato mosaico.

Il libro, che sarà presentato anche nel corso di Udin&Jazz, che si svolgerà a Udine dal 30 giugno al 13 luglio,  sarà a breve disponibile in tutte le librerie e online sul sito della casa editrice Kappavu http://shop.kappavu.it/

 

Napoli Jazz Fest 2017: la nostra intervista al direttore artistico, Michele Solipano

Archiviata la terza edizione di Napoli Jazz Fest, la rassegna organizzata dall’Associazione Culturale Napoli Jazz Club, con la collaborazione dell’Assessorato comunale alla Cultura e con il Maggio dei Monumenti, svoltasi dal 4 al 7 maggio, alla quale ho partecipato come inviata della nostra testata.

A Napoli ho avuto l’occasione di fare una chiacchierata con il direttore artistico del Festival, Michele Solipano, instancabile promotore della musica e di eventi culturali e grande appassionato di jazz.

Questa è l’intervista che mi ha rilasciato.

D – Napoli Jazz Fest: da settembre, com’era in origine, anticipato a maggio. La scelta è associabile unicamente alla concomitanza con il Maggio dei Monumenti, rassegna culturale molto amata dai napoletani e dai turisti, o la decisione è maturata anche per altre considerazioni?

R – Si, diciamo che abbiamo approfittato di questo rifiorire di fermento turistico nella città di Napoli per associare il Napoli Jazz Fest al Maggio dei Monumenti, allo scopo di poter far conoscere meglio alcune delle più importanti testimonianze culturali presenti nel centro storico.

D – Il Napoli Jazz Fest è alla sua terza edizione, prima di parlare del futuro, mi racconta un po’ del vostro passato, sempre legato al Napoli Jazz Club?

R – Diciamo che il Napoli Jazz Fest è l’ultima nata tra le rassegne che ogni  anno proponiamo, in particolare, nella stagione invernale, ci occupiamo di realizzare il Napoli Jazz Winter, giunto nel 2017 alla sua undicesima edizione,  mentre nel periodo giugno/luglio ci occupiamo di un vero e proprio festival, che realizziamo ormai da 10 anni presso la Piazza D’Armi di Castel S.Elmo e denominato appunto S. ELMO ESTATE.

D – Le faccio una domanda che è un po’ una provocazione: leggo nel comunicato stampa che riparte la collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli. Dove e perché si era perso questo importante – e credo ineludibile – sostegno, fondamentale se si vogliono proporre progetti artistici qualitativamente all’altezza di una grande città quale è Napoli, che può rinascere soprattutto grazie ad un’offerta culturale adeguata?

R – Diciamo che dopo un serie di  disavventure di carattere organizzativo, patite nelle passate edizioni, quest’anno abbiamo deciso di riprendere la collaborazione approfittando anche della macchina organizzativa messa a disposizione dal Comune di Napoli per il “Maggio dei Monumenti”.

D – Lei è da molti anni il direttore artistico del Napoli Jazz Club ed è anche un infaticabile animatore culturale. Le sue scelte seguono una linea precisa o si lascia guidare dall’istinto? Insomma, quali sono i canoni su cui si basa per selezionare gli artisti che propone nelle sue iniziative?

R – Va detto che di tutte e tre le rassegne io mi occupo sia della parte artistica sia di gran parte della macchina organizzativa, diciamo che il filo conduttore parte dalla ricerca e realizzazione di progetti originali e/o in qualche caso quasi inediti, unito alla possibilità di coinvolgere il più possibile le realtà musicali napoletane presenti sul territorio e alla ricerca e valorizzazione di location di particolare pregio artistico, storico e ed architettonico presenti della città di Napoli come il Maschio Angioino, il Cortile di San Domenico Maggiore, Castel S.Elmo, il centro culturale Domus Ars e da quest’anno anche la Basilica di  San Giovanni Maggiore, ove stiamo contribuendo, con una parte degli incassi, al restauro dell’organo del 1890 presente nella Basilica.

D – Napoli Jazz Fest riparte anche dal centro storico e questo non significa soltanto rendere nuovamente fruibile un patrimonio artistico e culturale dimenticato, o semplicemente trascurato, ma anche ritrovare la memoria dei luoghi, di quello che hanno rappresentato nel passato, lo dobbiamo alle nuove generazioni, non crede? E noi appassionati dobbiamo anche trovare il modo di far conoscere ai giovani i linguaggi del jazz, muovendo le giuste leve e creando gli stimoli più vicini al loro sentire. In questo senso, ho notato che lei, oltre al jazz declinato al femminile con la Civello e la Serio, ha puntato anche sulle nuove proposte, dando spazio ai talenti emergenti. Mi riferisco alla Big Band degli studenti del Liceo Margherita di Savoia, in concerto sabato 6 maggio. Una scelta coraggiosa…

R – Si, una scelta coraggiosa, se vuoi dettata dalla necessita di promuovere il più possibile i talenti musicali napoletani ma anche dalla necessita di cominciare a ricostruire un pubblico di appassionati, che col passare degli anni diventava sempre più raro ed in età avanzata, favorendo così una sorta di  ricambio generazionale… Senza contare il fatto che mi sono divertito tantissimo a partecipare alle prove di questo spettacolo, particolarmente piacevole, grazie alla felice scelta dei brani e degli arrangiamenti in chiave jazz-swing, che lo rendono molto intrigante.

D – Ha già delineato nella sua mente la formula dell’edizione invernale di Napoli Jazz?

R – L’undicesima edizione del Napoli Jazz Winter si completerà con un’altra serie di concerti nel periodo di ottobre, novembre e dicembre del 2017, mentre è in cantiere la 10 °edizione di S. ELMO ESTATE che quest’anno vedrà esibirsi, nella spettacolare location della Piazza D’Armi di Castel S. Elmo, artisti del calibro di Niccolò Fabi, Joe Barbieri, Mario Venuti, Remo Anzovino, Greta Panettieri e i Camera Soul, Christian McBride, Chihiro Yamanaka, Diane Schuur e anche un omaggio di un nutrito gruppo di artisti napoletani al compianto Mario Musella, nel periodo di Luglio del 2017.

per le immagini del concerto di Elisabetta Serio 4et feat Javier Girotto si ringraziano i fotografi Sonia Ritondale e Alessandro Catocci