Jazz acustico ad alto impatto emotivo dalla Germania

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Foto di Carlo Mogavero

Piazza Michele Ferrero, ore 21
Tingvall

Martin Tingvall: pianoforte
Jurgen Attig: contrabbasso
Jurgen Spiegel: batteria

Piazza Ferrero, dopo la serata afrocubana di Omar Sosa, diventa europea ospitando Tingvall Trio: Jazz dalla Germania, leader del gruppo il pianista Martin Tingvall, svedese.
Tingvall Trio si accredita, leggendo in giro, come Jazz melodico, quasi un pop jazz. E per noi italiani “jazz melodico” e “pop jazz” possono essere definizioni attraenti, da un lato, perché sbaragliano quella sensazione che il Jazz debba essere un difficile genere di nicchia per pochi adepti: dall'altro però risultano anche un po' insidiose, perché portano alla  mente i molti progetti un po' dolciastri che girano qui e là, e che con il Jazz hanno ben poco a che fare.
La piazza è ancora una volta gremita e il concerto comincia: e io inizio da subito a rivedere il concetto di “Jazz melodico” che ho evinto dai comunicati stampa che riguardano Tingvall Trio. Ma c'è da rivedere anche il labile concetto di “Jazz nordico” (pianista svedese), sul quale io stessa non saprei cosa dire (non ho mai approfondito la questione, perché il mio approccio con la musica è ben poco schematico). In generale, ad istinto, poiché non mi sono mai occupata di schemi, il cosiddetto “Jazz nordico” lo si dovrebbe immaginare introspetivo, solenne, evocativo, e, almeno io, nella mia innata rozzezza, penso in maniera totalmente banale alla neve, al bianco, al silenzio e via dicendo attraverso stereotipi dei quali io stessa sono spesso vittima, pur senza tenerne conto, devo dire a mia discolpa, perché quando vado ad un concerto o ascolto un disco mi metto lì e ascolto senza cercare paragoni, e, confesso, senza documentarmi per niente, volutamente però.
Martin Tingvall ha un suo stile che si chiarisce anche nell'ambito di un solo concerto: non certo perché sia ripetitivo. Ma perché ha un suo linguaggio e un suo approccio, molto personale, e che è tutt'altro che “melodico” , o per lo meno tutt'altro che soltanto melodico.


La melodia è certamente presente, specialmente negli incipit, nelle introduzioni. Ma è, diciamo così, l'incidente da cui si parte per poi ritrovarsi in mezzo ad esplosioni di volumi, di ritmo, di interazione con gli altri che posso definire sgargianti, intense, febbrili, quasi incandescenti.
Non che manchino sezioni scritte, talvolta il pezzo è costruito anche con parti omoritmiche o addirittura unisoni tra uno strumento e l'altro: trapela sempre la conoscenza ferrea della musica, anche dal punto di vista compositivo. Si parte da lì, ma il brano poi diventa un'altra cosa: la melodia persiste, ma sotto forma di accordi poderosi doppiati da entrambe le mani, e da lì si arriva ad un'improvvisazione spesso simultanea di pianoforte, batteria e contrabbasso.
Pochi assoli, piuttosto il crescendo di tutti in un'espressività che cerca (e trova) un impatto totalmente emotivo con il pubblico, basato su ritmi spesso adrenalinici, su una velocità irrefrenabile e su volumi che diventano considerevolmente alti. Il risultato però non è mai confusionario, scomposto, ma direi possente, trascinante e sempre cristallino, limpido, intellegibile.

Intellegibile, è la prima chiave: forse per questo Tingvall Trio si autodefinisce “melodico”. Forse per melodico si intende “empatico”, forse si intende appunto che la melodia è un importante punto di aggancio – anche perché tra quegli accordi possenti, quel duetti con il contrabbasso ostinato, o con la batteria che batte in un 4/4 velocissimo TUTTI i sedicesimi senza fermarsi mai, il tema melodico trapela, sempre.
Tingvall Trio è un organismo unico, viene anche da descriverlo come entità unica, come sta accadendo a me in queste righe: per tutto il concerto è come ascoltare un unico strumento poliedrico, una sorta di “concerto Tingvall Trio solo”.
Le ballad sono espressive e talvolta persino malinconiche, con assoli belli di contrabbasso e pianoforte, ma prevedono anch'esse una loro cospicua dose di energia: ove questa sia basata non su volumi “sparati”, ma piuttosto intensi, pieni, e densi di pathos.
Pathos è la seconda chiave, da associare a intellegibile. Un modo di esprimersi (attraverso il ritmo, le dinamiche spesso basate su contrasti forti, gli accordi anche dissonanti, l'andamento simultaneo in crescendo) che impatta in maniera forte e benefica su chi ascolta. Niente di esile né volatile, ma anche niente di ostico: è un linguaggio comune che chi ascolta ritrova in sé stesso, un modo di esprimersi aperto e cristallino che tutti noi vorremo riuscire ad utilizzare, forse.

Ecco dunque rivisitati i concetti di “melodico”, “nordico” o anche soltanto “europeo”. Il Jazz è Jazz, esiste, ed esistono i .
Ieri sera ad Alba c'è stato un bellissimo ed inusuale concerto di Jazz.

Stasera si va in Inghilterra: da lì partirà altro Jazz, ad opera di Moses Boyle, batterista, giovanissimo in ascesa. Ma ne parleremo domani! Con parole ed immagini.

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