Servillo, Girotto e Mangalavite in Parientes chiudono in bellezza il Festival

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Le foto sono di Adriano Bellucci

Ortaccio Jazz Festival
16 luglio 2017, ore 22

PARIENTES
Peppe Servillo, voce
Javier Girotto, sax
Natalio Mangalavite, pianoforte e elettronica

La serata finale di questo Festival così ricco di bella musica e di pathos positivo è affidata ad un Trio molto noto e (giustamente) molto amato di artisti: Peppe Servillo, Javier Girotto e Natalio Mangalavite, che portano in scena il loro ultimo progetto, Parientesedito da Egea.
Come in occasione degli altri concerti cui ho assistito, ho intervistato brevemente i componenti del gruppo per Radio Tuscia Events: ecco come mi hanno descritto questo bellissimo lavoro insieme .
Dico “Portano in scena” perché questo concerto è separato dal concetto di  “spettacolo teatrale” solo da una parete sottile di finissima carta di riso: Servillo canta ma allo stesso tempo vive le sue canzoni, quasi sceneggiandole, e il suo cantare è anche un evocativo recitare.
Italiani che vanno a vivere e a lavorare in Argentina, e che poi tornano, come Natalio Mangalavite, o arrivano, come Javier Girotto, in Italia. Per stessa definizione del trio, Parientes è una specie di ponte tra i due paesi. Le canzoni teatrali raccontano nostalgia, ricordi o piccole storie: e sono bellissime.
Il vento che per tutto il pomeriggio imperversava sulla piazzetta e preoccupava gli organizzatori e gli stessi artisti si placa tramutandosi in una fresca brezza: e il concerto comincia.
A Girotto e Mangalavite il compito di aprire: sax soprano e pianoforte cantano all’unisono un piccolo tema poetico in 3/4: alimentano l’attesa dell’entrata applauditissima di Servillo, che comincia subito a cantare una deliziosa Milonga Sentimental. Musica argentina, testo italianissimo, pianoforte di una delicatezza irresistibile.

Quando nel brano successivo si passa ad un Tango, ci si rende conto che il sax di Girotto è quasi un alter ego della voce caratteristica di Servillo, e comincia una specie di viaggio emotivo che non finisce più. Fatto di piccole introduzioni di sax e pianoforte, che poi diventano bellissimi episodi improvvisati, di testi arguti, o comici, o struggenti. Di canzoni (vedi Cambalache) immaginate come le invettive di un rigattiere tano, così venivano chiamati i napoletani in Argentina: tanos. Piccoli capolavori narrativi con un impianto musicale old style che ben si addice al ricordo. In cui pianoforte e sax sono attori esattamente come lo è Servillo: in cui Servillo è strumento esattamente come pianoforte e sax.
Mangalavite usa un altro strumento, oltre a pianoforte e tastiere: la sua bellissima voce, che appare durante una introduzione, con un falsetto che la rende immateriale, e che produce una specie di canto senza tempo, lontano e vicinissimo. Questa digressione sulla voce di Mangalavite è data dal fatto che mi sono ripromessa, in ogni concerto a cui capiterò nel quale potrò ascoltarla, di sottolineare nei miei scritti quanto meravigliosa sia la voce di Mangalavite: è una cosa che farò sempre, anche se canterà per meno di un minuto. Chiudo la parentesi.


Dopo l’introduzione entra Girotto con il sax baritono, che quasi assume la funzione di contrabbasso. Il pianoforte procede parallelamente, e Servillo canta Chiquilín de Bachin ” E lasciami tre rose che portano spine, per tutto il rancore che io canterò”. Poi la ricetta cantata di Come si usa col ragù , sempre con quel sax di Girotto che traduce  in musica ciò che la voce racconta cantando.

Tra una canzone e l’altra si ha anche il privilegio di ascoltare Peppe Servillo che legge brani delle opere di quel genio irriverente e surreale di Julio Cortazar, magari proprio quello sul pudore di Lucas, raccontato con una maestria ed una leggerezza che regala sorrisi, e risate del tutto privi di un ipotetico potenziale imbarazzo, dato l’argomento descritto (però andatevelo a leggere da soli, non contate su di me! )
Il bis è richiesto per un sincero bisogno di sazietà non ancora raggiunta: chi mi conosce sa bene quanto io non ami i bis. Ma ne valeva la pena stavolta. Girotto al tamburo in duo con Servillo, la canzone parte come argentina e arriva a U piscispada italianissima drammaticissima, e Servillo trasforma una volta di più la sua voce espressiva e potente. Un ponte ancora tra Argentina ed Italia. E dopo, si canta tutti insieme Felicità, di Lucio Dalla: è il tris e io me lo godo fino alla fine.
Ortaccio Jazz si chiude in bellezza: un po’ di malinconia nel lasciare quella piazzetta mi rimane. Ma ora so che di certo ci saranno per me altre volte, a descrivere questo piccolo grande Festival fatto di famiglie, giovani, anziani, cuoche, cuochi e musicisti felici di suonarvi, al di là del compenso. Vi assicuro, una cosa rara.

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