CivitaFestival e il Jazz: Blue Moka feat. Fabrizio Bosso

 

Foto in B/N di Damiano Rosa

Foto a colori di Laura Girolami

Cortile Forte Sangallo, mercoledì 19 luglio, ore 21:30
BLUE MOKA feat. Fabrizio Bosso
Fabrizio Bosso, Trumpet
Alberto Gurrisi, Hammond
Emiliano Vernizzi,Sax
MIchele Bianchi, Guitar
Michele Morari, Drums

Il secondo concerto Jazz al CivitaFestival vede salire sul palco un gruppo di musicisti giovani e giovanissimi che, pur scegliendo deliberatamente di ispirarsi ad un Jazz “noto” (loro stessi dichiarano di fare un hardbop rivisitato, riletto e riproposto in chiave nuova), hanno suonato per un’ora e mezzo facendo musica fresca, energica, interessante e formalmente ineccepibile. Eseguendo quasi tutti brani originali, per di più.
Il gruppo comincia a vedersi parecchio in giro e si chiama Blue Moka. I suoi componenti sono Alberto Gurrisi, Emiliano Vernizzi, Michele Bianchi e Michele Morari. Con loro Fabrizio Bosso, in veste di ospite, certo, ma che collabora proficuamente con il quartetto da tempo: e infatti è prevista l’uscita di un album insieme a breve.


Un quartetto impeccabile di musicisti giovani, energici, creativi, in possesso di una tecnica invidiabile, e un indiscusso fuoriclasse della tromba sono stati gli addendi di un evento musicale notevole.
L’inizio è già bruciante: Bacon contro Tofu, di Emiliano Vernizzi, comincia con l’esposizione del tema da parte di sax e tromba, prosegue con l’assolo  funambolico di Alberto Gurrisi, poi Emiliano Vernizzi, poi Fabrizio Bosso, poi Michele Bianchi. Infine si torna al tema iniziale. Tutte le armi tecniche, pressoché prodigiose, vengono mostrate da subito, e anche l’andamento lineare del procedere dei brani: esposizione, sviluppo, assoli e improvvisazione in sequenza, ritorno all’esposizione.
Eppure ad un tale rigore strutturale non corrisponde una percezione della musica dal sapore scontato: questo perché i brani sono quasi tutte composizioni originali, ma anche perché tutti i componenti di questo quintetto sono solisti ed improvvisatori di classe. Hanno una tecnica ferrea, e si ha il piacere di assistere ad episodi strumentali da quel punto di vista ragguardevoli, ma sempre finalizzati ad una musicalità con un certo livello espressivo. Anche in presenza di standard notissimi come Body and Soul non si ascolta un semplice replicare di cose già accadute.


Le sezioni scritte sono formalmente precise, gli obbligati della sezione fiati sono eseguiti in maniera perfetta ma si aprono sempre in episodi improvvisati per nulla prevedibili: anche per il groove, occorre notare, che Michele Morari sa imprimere, bilanciandosi perfettamente con le personalità spiccatissime degli altri componenti del gruppo. La chitarra di Michele Bianchi procede con fraseggi ampi, aperti, gioca con la tromba strepitosa di Fabrizio Bosso, che è davvero un mattatore, sul palco. La sua tromba è versatile, e viene usata in tutta la gamma timbrica: senza mai però attirare l’attenzione solo su di sé.  ln questo senso l’abusato termine interplay mi tocca citarlo per forza, perché è costantemente presente: i cinque musicisti sono in continua e proficua relazione sul palco, sia nel complesso, sia quando l’organico va ad assottigliarsi.

E così fa Emiliano Vernizzi, che ha suono e creatività positivamente dirompenti, quando si intreccia con Alberto Gurrisi, che con il suo Hammond sembra un’intera orchestra, per quanto multifunzionale è il suo apporto ritmico, armonico e melodico. Quando simula il contrabbasso lo fa tutt’altro che banalmente: la sua creatività diventa quella di un contrabbassista, pur mantenendo una mentalità “d’insieme”.
Sale sul palco Gegé Telesforo, che era tra il pubblico, e si unisce alla musica: duetta con tromba e sax, tre voci invece di due, mentre la ritmica procede in un crescendo energico fino ad arrivare ad un finale applauditissimo.


Il bis, richiesto a gran voce, è un adrenalinico e vertiginoso tema dei Flinstones! Pubblico comprensibilmente impazzito e un altro colpo messo a segno dal direttore artistico Fabio Galadini: non basta il sold out a decretare il successo di una scelta: occorre anche il successivo riscontro del gradimento. Che in questo caso è stato totale. 

Kamasi Washington I molti perché di un successo travolgente

 

Il 20 luglio Roma è stata l’ultima tappa del tour italiano del sassofonista afroamericano Kamasi Washington, dopo Bari (18) e Bologna (19, Botanique festival).

L’artista losangeleno con il suo gruppo è stato ospite del “Viteculture Festival” – rassegna musicale con spazi per intrattenimento, formazione ed animazione sociale – spostatosi dal parco del laghetto di Villa Ada all’ex Dogana. Il luogo comprende alcuni edifici ma è soprattutto una spianata d’asfalto sotto la tangenziale con vista sui treni che arrivano e partono dalla stazione Termini, posto frequentato soprattutto dai giovani, con il pubblico in piedi sotto al grande palco. Luogo, quindi, non connotato jazzisticamente: del resto Kamasi Washington dal 2015 sta sorprendendo la critica per la sua capacità di arrivare ben al di là dei circuiti jazzistici con una musica impregnata di spiritualità e psichedelia ed estimatori (nonché collaborazioni) come Kendrick Lamar, Snoop Dop e Lauryn Hill (di cui Washington è stato “special guest” al Summer Festival l’8 luglio scorso).

Il sassofonista oggi trentacinquenne si è affermato nel 2015 con il triplo Cd “The Epic”, prodotto dall’etichetta Brainfeeder del rapper Flying Lotus; il referendum della rivista americana <<Down Beat>> lo ha proclamato miglior album dell’anno, tributando a Kamasi Washington il doppio titolo di miglior artista jazz e miglior sassofonista emergente. Come ogni fenomeno di successo, il musicista di Los Angeles è stato guardato soprattutto in Europa (e in Italia) con sospetto, anche se il mensile <<Musica Jazz>> ne ha parlato a più riprese.

Il recital romano ha fornito qualche chiave di lettura per capire i motivi di “appeal” della musica di Washington. Intanto il gruppo si muove in una dimensione corale, diretto più che dominato dalla figura sciamanica del sassofonista con lunghi capelli, tunica, medaglione. Tutto, però, appare non artefatto, come la cantante Patrice Quinn che segue la musica con minime coreografie che tradiscono un’immersione totale nel suono. Il leader fa perno su una coppia di batteristi – disposti specularmente -, bassista-contrabbassista, il tastierista Brandom Coleman, il trombonista Ryan Porter ed il sopranista Ricky Washington.

La sezione ritmica usa, in prevalenza, una scansione molto energica ed evita timing jazzistici, oscillando tra funky, reggae e sequenze free. Tutto suona iterativo, poliritmico, “powerfull”. In questo senso i primi due brani del concerto soggiogano il pubblico: sono ipnotici, pervasi di spiritualità, screziati di elettronica, a tratti danzabili e cantati. Hanno un andamento che vede la trama sonora infittirsi con elementi tematici ripetuti ad libitum, quasi in un mantra. Kamasi Washington si ispira (lo ha sempre dichiarato) a John Coltrane e Pharoah Sanders ed ha citato “Lonely Woman” di Ornette Coleman; aggiungerei tra gli ispiratori Sonny Rollins perché nella costruzione degli assoli è molto ritmico (note ribattute, riferimenti tematici) e pur improvvisando con furia resta vicino all’idea di partenza. Nei soli Washington si dona integralmente mentre nelle parti d’assieme vengono sfruttati abilmente i tre fiati. Eccellente il tastierista che usa timbri e colori molto diversi come il trombonista, fantasioso ed elettroacustico.

Nel proseguire del recital si riconoscono un paio di titoli da “The Epic”: una particolare versione di “Cherokee”, a tempo lento e in un arrangiamento soul; “The Rhyhm Changes” tra reggae e raggamuffin’, con un testo che inneggia al mutamento, un solo travolgente del leader e la capacità di caricare un pubblico già entusiasta.

Del resto Kamasi Washington non sembra voler fermare la sua musica. E’ stato annunciato l’ingresso nell’etichetta londinese Young Turks mentre dovrebbe uscire quest’estate l’EP “Harmony of Difference”. Il sesto movimento si intitola “Truth” ed è alla base di un video omonimo diretto da regista A.G.Rojas (presentato in marzo a New York e visibile su you tube). E’ incentrato su giovani personaggi dei quartieri South Central ed East L.A. per mettere in risalto la bellezza delle loro differenze nella “speranza che testimoniare la bellezza e al armonia creata dalla fusione di diverse melodie musicali aiuterà le persone a realizzare la bellezza nelle nostre differenze”, come ha dichiarato a sua tempo l’artista. Un messaggio di pace e di tolleranza che fa parte della spiritualità di un musicista da non sottovalutare.

Robert Bonisolo Trio al TrentinoInJazz 2017

TRENTINOINJAZZ 2017
e
Valli del Noce Jazz
presentano:

Mercoledì 26 luglio 2017
ore 21.00
Mulino Museo dell’ape
(in caso di pioggia Sala Busetti)
Via al Molin 3
Croviana (TN)

Robert Bonisolo Trio

ingresso libero

Mercoledì 26 luglio, una serata all’insegna del jazz internazionale per chiudere in grande stile Valli del Noce Jazz, una delle più rappresentative sezioni del TrentinoInJazz 2017, che ospita a Croviana (TN) il trio di Robert Bonisolo! (altro…)