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Giovanna Marini, presentando Gli Alberi, un libro+cd “Nuove Risonanze” di canzoni tradizionali europee cantate dai bambini (Nuove Edizioni Romane, 2003) nell'osservare che “abbiamo un patrimonio ricchissimo di canti epico-narrativi, canti di festa, nenie e ninne nanne” divenuti ormai lontani dalla cultura urbana, lamentava che “in Italia l'invasione del prodotto consumabile e commerciale è stata completa (…) passano solo i canti confezionati, come le merendine, da adulti molto interessati al mercato”. C'è tutto un repertorio, nell'orizzonte musicale e visivo dei bimbi d'oggi, che rischia di rimanere stritolato dall'avanzare incontrastato della di consumo. Destino condiviso con il jazz legato all'animazione, diffuso fra media visivi quali homevideo, videogames e canali web oltre naturalmente a cinema e tv che le giovanissime generazioni seguono, eccome!

Qualche nome dal piccolo schermo di Cartoonia: il Barbapapá transgender, il dispettoso Topo Tip, l'irrequieta Masha che fa i chiodi al pacifico Orso, Peppa Pig e famiglia con pargoli sguazzanti nel fango, Romeo il monello che avversa la triade Geco, Gufetta, Gattoboy dei PJMasks. Ma, al di la di personaggi e contenuti, a livello di musica per l'animazione, l'impressione è che il jazz paia rarefarsi sempre più nei commenti sonori. Se abbiamo in mente alcuni vecchi episodi di Tom e Jerry, della Warner, in cui note jazz percorrono praticamente tutto il filmato, scena per scena, si ha netta l'idea che stia venendo a mancare la pratica di attingere a piene mani dal jazz in quanto soluzione “continua” di accompagnamento sonoro dell'immagine animata per limitarla ad alcuni cliché stereotipati (fumosi night club, scenari hollywoodiani, richiami sensualmente sinuosi del sax, situazioni di suspense, giungle metropolitane …). Quando nel 1999 uscì Fantasia 2000, prodotto da Rob Disney, con una Rhapsody in Blue di Gershwin ad affiancare la sponda jazz di quel repertorio classico che aveva già caratterizzato la famosa Fantasia del 1940, era in qualche modo affiorato il dubbio che si stesse chiudendo una duratura fase nel rapporto pur intermittente fra cinema e animazione. Lunga poiché se il film sonoro aveva avuto il suo primum ufficiale nella pellicola The Jazz Singer di Al Jolson nel 1927, lo short-film che potrebbe raffigurare questo paragrafo del controverso capitolo del rapporto cinema-jazz, all'inizio di questa relazione, resta probabilmente il Mickey Mouse, pianista di ragtime in The Jazz Fool del 1929. Seguito, nello stesso anno, da Minnie The Moucher (e nel 1933 da The Old Man of The Mountain, di Dave Fleischer, insomma uno dei fratelli creatori della mitica Betty Boop). Film a tecnica mista in cui il jazz è interno alla pellicola, con Cab Calloway che duetta con la stessa Betty Boop. Trent'anni dopo, in The Hat, di John e Faith Hubley (1964) la musica jazz diventerà soundtrack così come in Voyage To Next (1974) firmato dal solo John Hubley. Per la prima e seconda metà del novecento, insomma, sia pure con caratteristiche differenti, l'animazione si “veste” di musica jazzistica/parajazzistica a partire in qualche modo anche dalle produzioni Disney.

Se si guarda la Top 10 Animated Disney Songs si ritrovano almeno due brani-popular divenuti standard jazzistici in Someday My Prince Will Come (da Biancaneve e i sette nani, 1937) e When You Wish Upon A Star (da Pinocchio, 1940). E siamo a quasi ottant'anni da oggi! Anche se nella sequenza andrebbero annoverate, nella nostra prospettiva “di parte”, per esempio, il dixieland The Bare Necessities (Il libro della giungla, 1967), il Romeo's Swing e Alleluja (Gli Aristogatti, 1970) e perché no il latin calipso Under The sea (The Little Mermaid, 1989). E come non aggiungere a parte Crudelia De Mon (La carica dei 101, 1961) tanto cara a Stefano Bollani?

Nei film a seguire la tendenza appare un rafforzamento progressivo verso il pop internazionale (che si rafforza con il passaggio di secolo) con interpreti prestigiosi tipo Michael Bolton (Hercules), Elton John (Il re leone), Céline Dion (La bella e la bestia), Phil Collins (Tarzan) con le sue Disney Songs. “Music adds the atmosphere and feeling of the film” (pixar-animation.weebly) è concetto chiave sul valore assegnato alla musica da quella Pixar che con Toy Story, nel 1995, ha prodotto il primo film interamente in computer grafica, diretto da John Lasseter. Una svolta, che investe anche il rapporto musica-immagine. Parlarne ci porterebbe lontani dallo scopo mirato di questa nota che è dettata da una preoccupazione anzitutto formativa, sulla sensibilizzazione al jazz delle nuove generazioni. E non per malintesa difesa “corporativa”. Occorrerebbe, a nostro modesto avviso, meglio definire una linea d'azione per avvicinare l'infanzia alla musica creativa in genere, jazz compreso.

A partire dagli asili. Sarebbe nefasto se si stesse consumando, fuori da ogni regola, una sorta di rimozione ai danni della musica non consumistica, se messa fuori gioco dai cartoni animati dei nuovi media audiovisuali.

Ci sono delle eccezioni in serie tv quali Curioso come George dove il sottofondo più ricorrente è uno swing salottiero, La casa di Topolino che riverbera la tradizione disneyana in tale ambito e gli stessi Super Pigiamini non tanto per la sigla un po' alla James Bond semmai per taluni stacchi musicali interni confezionati con la sapiente maestria della tradizione Disney.

Ma in generale le scelte musicali seguono direttrici diverse che hanno in genere l'intento di contestualizzare in modo più direttamente didascalico, incollando il discorso sonoro a quello dell'immagine animata in maniera il più possibile accomodante. Non c'è, allora, grande spazio per le musiche “extracontestuali” e per una certa dose di imprevedibilità nel raccordo fra soggetto/trama/regia e musical scores. Lo stimolo alla creatività, non alla coazione a ripetere, è essenziale per una formazione non robotizzata, non omologata, se ne possono abbeverare il disegno artistico, l'informatica, la letteratura, la poesia nelle fasi di crescita.

Occorrerebbe non assecondare i bimbi nell'emulazione dei Gangnam Style di moda bensì orientarli su programmi di animazione più vicini alle musiche classiche e di derivazione popolare. Per il jazz la storia dell'animazione nel film offre diverse possibilità di rilettura. Vedansi in proposito il volume di Guido Michelone e Giuseppe Valenzise, Bibidi Bobidi Bu: la musica nei cartoni animati da Betty Boop a Peter Gabriel (Castelvecchi, 1998) per avere contezza del materiale a disposizione e per rendersi conto di cosa si sia mosso anche al di fuori della Disney. È il caso di The Flinstones Jazz Music (Hanna-Barbera), I tre porcellini, i cortometraggi de La pantera rosa, Chi ha incastrato Rogger Rabbit prodotto dalla Amblin, a tecnica mista, per esempio.

Concretamente, non si tratta solo di coltivare gli appassionati di domani.

E' che il buon jazz può stimolare fantasia, gusto estetico, il senso dell'inattesa variabile possibile rispetto ad una melodia, un'invenzione ritmica in chi ascolta, anche se in modo distratto e subliminale. Per uno sviluppo che stimoli attitudini in bimbi che assorbono facilmente di tutto. Techno e disco ci potrebbero teoricamente anche stare (e pensiamo ai cartoni Bla Bla Bla con la musica di Gigi D'Agostino). Quello che diventa distorsivo è la replica precotta infinita, è la narcosi mentale da milioni di click compulsivi, è la massificazione che non lascia spazio che a nicchie di sopravvivenza acustica. Non è il caso di rincorrere l'utopia de Gli Aristogatti “tutti quanti voglion fare il jazz” né di fare retrotopìa. È che per il jazz non sono tempi di cartoonmania. Ma ai piccoli, nel salvarli dai decibel a palla, sarebbe forse opportuno far più spesso assaporare “classici” come un ammaliante canto popolare, un altalenante Attenti al lupo di Dalla, un notturno di Chopin, un Bill Evans magari eseguito dai Kronos Quartet, un Garbarek o un Armstrong d'annata. E vedere film d'animazione aventi a sfondo sonoro quella musica jazz che ha fatto parte del background degli adulti Over di oggi, involucro colorato per avvolgere quei cartoni animati.

Cose dell'altro secolo!

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