Giovanni Rago pubblica l’album d’esordio: “Locus”

“Un sound avvolgente e rassicurante che si interseca simbioticamente con uno spiccato e succulento senso melodico”. (Sound Contest)
“Rago continua a mettere una pulce nell’orecchio dell’ascoltatore e costruisce la sua sintesi tra le varie “manifestazioni” recenti della chitarra elettrica nel jazz”.(Jazz Convention)

Si intitola “Locus” l’album d’esordio del chitarrista Giovanni Rago uscito per la Headache Production (disponibile anche negli store digitali) e inciso con il suo trio composto da Mario Guarini al basso elettrico e Lucrezio De Seta alla batteria e con la partecipazione di Elisabetta Serio, pianista di fama internazionale, già al fianco di artisti del calibro di Pino Daniele e Noa.

Rago, classe 1987, si cimenta qui con la sua prima prova da leader in un album nel quale confluiscono non solo le sue già numerose esperienze musicali, ma anche una componente emotiva molto forte che permea le 8 tracce dell’album. Il concept del disco è un tema da sempre presente nella letteratura musicale, ovvero il rapporto della musica con il viaggio, e quindi con i luoghi.

Può nascere della musica da un rapporto intenso con un luogo? In questo caso da dove nasce questa musica e da quale aspetto particolare?

Se il raggiungimento di questi luoghi è stato motivato da priorità musicali e culturali, ricerche di studio, approfondimenti, esperienze formative, la composizione dei brani è invece legata non solo da queste intenzioni, ma soprattutto dall’attraversamento fisico di questi luoghi, dall’esperienza viva che si può avere con ognuno di essi, lasciando che in sé stimolino le percezioni, l’intelletto e l’emotività. Ciascun brano attraversa, raccontandoli, diversi stati d’animo, ognuno legato a un luogo descritto dalla musica e nominato nei titoli.

Ad aprire il disco è Bricklane, brano strutturato su un tema molto melodico, in grado però di svilupparsi con una metrica sempre diversa. Così come anche le successive tracce Barrio Alto, Adelaide e Montserrat, ben illustrano le capacità di questo giovane chitarrista mettendo in luce l’ottimo interplay con De Seta e Guarini .

E’ in Naples, invece, che entra nell’album il pianoforte di Elisabetta Serio, ottima pianista e compositrice dallo stile estremamente melodico e cantabile, quasi ballabile. La scelta della Serio, che suona anche in Remembering, Prague e Kilimanjaro Lullaby quale ideale contrappunto creativo al sound della chitarra e alla poderosa sezione ritmica di batteria e basso elettrico, rivela la predilezione di Rago per le atmosfere positive, nonostante in alcuni brani si ritrovino anche toni più cupi e intimisti.

Tuttavia, al di là delle classificazioni stilistiche, l’ascolto di Locus sorprende ed emoziona, ma soprattutto presenta un musicista, che nonostante la giovane età colpisce per la sua capacità di raccontare attraverso la musica la complessità di un vissuto: un viaggio attraverso il mondo che è anche un’esplorazione degli stati d’animo dell’essere umano.

FORMAZIONE

Giovanni Rago, guitar

Mario Guarini, bass

Lucrezio De Seta, drums

TRACKLIST

  1. Bricklane
  2. Barrio Alto
  3. Naples
  4. Remembering Paris
  5. Prague
  6. Adelaide
  7. Kilimanjaro Lullaby
  8. Montserrat

 

Maria Pia De Vito riattualizza le “moresche” di Orlando di Lasso

Maria Pia De Vito è davvero un’artista di livello superiore, come dimostra ampiamente il suo ultimo lavoro discografico “Moresche e altre invenzioni” registrato per la Parco della Musica Records e presentato al pubblico il 3 marzo presso l’Auditorium romano.

La sua ricerca sul canto e sulla voce abbraccia diversi campi d’azione: dalla personale elaborazione della lingua e la cultura napoletana attraverso la musica di improvvisazione e l’incontro con culture diverse (il Brasile di Guinga, Chico Buarque e Ivan Lins…quella africana), free jazz ed elettronica, la prossimità con la musica barocca, il lavoro sulla forma canzone senza limitazioni di genere. Molto attiva dal 2007 con il duo Dialektos con Huw Warren con cui ha inciso due Cd per l’etichetta ‘Parco della musica’, suonando in tutta Europa ed un tour in estremo oriente. E’ stata protagonista dell’opera ‘Diario dell’assassinata’, presso il Teatro San Carlo di Napoli nell’aprile 2014, sempre con Huw Warren al suo fianco. Ha varato nel 2011 il Progetto ‘Il Pergolese’, che ha inciso poi per la prestigiosa etichetta ECM, con François Couturier, Anja Lechner, Michele Rabbia, esibendosi in grandi festival e teatri europei. Nel 2016 la troviamo all’Opera di Lyon in una carte blanche di 5 progetti da lei diretti.

L’ultimo arrivato, in ordine di tempo ma non certo di importanza, è “Moresche e altre invenzioni”, il delizioso progetto di cui in apertura.

Conosciamo Maria Pia De Vito da tanti anni, ne abbiamo seguito con grande interesse le varie fasi dello sviluppo artistico… insomma la conosciamo assai bene, eppure Maria Pia è ancora in grado di stupirci, di presentare qualcosa di assolutamente nuovo e inedito che la conferma una delle più grandi artiste che il panorama musicale europeo possa vantare al di là di qualsivoglia etichetta o stile.

In questo album la vocalist si presenta alla testa di “Burnoguala” un ensemble vocale di una ventina di elementi da lei diretto che dopo vari anni di studio e ricerca approda finalmente ad una prova discografica che definire convincente è del tutto eufemistico. In effetti il disco è semplicemente superlativo così come superlativo è stato il concerto del 3 marzo.

All’Auditorium, per l’attesa presentazione dell’album, la vocalist napoletana si è presentata alla testa del suo nutrito coro, accompagnato dal pianista Lorenzo Apicella, dal contrabbassista Dario Piccioni, dal percussionista Arnaldo Vacca, da Ousmane Coulibaly alla kora e al balafon, da Alessandro D’Alessandro all’organetto e da Giuseppe Moffa detto “Spedino” alla zampogna. Oltre un’ora e mezzo di musica semplicemente straordinaria che ha portato all’entusiasmo il numeroso pubblico, per la qualità e la carica innovativa della proposta.

In effetti oramai da qualche anno, la De Vito, alla testa di questo suo coro, sta conducendo una raffinata ricerca sulle ‘moresche’ di Orlando di Lasso, compositore fiammingo del XVI secolo, ovvero su quelle composizioni a più voci basate su un linguaggio burlesco in voga nel ‘500. Ma l’album, come recita lo stesso titolo, contiene non solo “moresche” ma anche “altre invenzioni” cioè improvvisazioni che in qualche modo si allacciano alla musica di ieri. Così accanto alle otto moresche troviamo sei “invenzioni” dovute alla leader da sola o in collaborazione, sul disco, con Rita Marcotulli, Coulibaly e Ralph Towner mentre un ulteriore brano, “Vecchie letrose”, è di Willaert, con intro da Canto delle Lavandaie di Roberto de Simone – tratto da La Gatta Cenerentola.

Insomma un repertorio che, pur nella sua diversità presenta un notevole tasso di omogeneità dovuto al fatto che tutto questo materiale viene innervato continuamente da inserti sonori tratti dalla musica africana, dalla Napoli rinascimentale, dal jazz, testimoniato, quest’ultimo dalla capacità improvvisativa che gli artisti evidenziano e che rendono il tutto di estrema attualità. E così è davvero straniante ascoltare una musica che data di qualche secolo e che pure suona contemporanea, più moderna di molta roba incisa in questi mesi. Così come straordinario è il lavoro fatto dalla De Vito sulle “invenzioni” tutte perfettamente aderenti al progetto globale. Si ascolti, al riguardo, le tre invenzioni che vedono protagonista Ousmane Coulibaly alla kora e al balafon; l’artista africano si integra, perfettamente, sia con la voce sia con lo strumento, nel ricco tessuto immaginato e realizzato dalla De Vito. Ma queste caratteristiche si riscontrano appieno in tutto l’album: il ritmo è continuo, incalzante, coinvolgente con una ricca tramatura contrappuntistica, in cui il canto, anche improvvisato, si regge ora sulle sue sole forze (a cappella) ora su una impalcatura strumentale che conserva anche dal vivo tutta la sua forza nonostante manchino alcune delle stelle presenti sul disco come Rita Marcotulli e Ralph Towner. Il senso del repertorio è illustrato dalla stessa De Vito: le Moresche sono state scritte da Orlando dopo un periodo a Napoli e il linguaggio che si usa è un miscuglio tra dialetto napoletano storpiato, e parole e frasi derivanti dalla lingua africana Kanuri; queste ‘canzoni’ rappresentano litigi e bisticci fra schiavi e liberti che vivono a Napoli. Una Napoli rinascimentale in cui però c’era anche accoglienza e qui il richiamo alla drammatica attualità di oggi è palese. Quello che ne viene fuori, spiega ancora Maria Pia De Vito, è uno spaccato sulla vita degli schiavi che vengono liberati e possono esprimere la loro cultura musicale. In fondo rappresentano il primo incontro tra la musica europea e quella africana 400 anni prima del “Treemonisha” di Scott Joplin, come argutamente rileva Gianfranco Salvatore nelle note che accompagnano l’album.

Insomma una rappresentazione davvero superlativa per cui ci pare giusto, in conclusione, citare uno per uno tutti i componenti del coro: SOPRANO: Valentina Rossi; Vittoria D’angelo; Ilaria Gampietri; Oona Rea; Mary De Leo – MEZZOSOPRANO: Francesca Fusco; Marta Colombo; Lucia Mossa – CONTRALTO: Laura Sciocchetti; Elisabetta D’aiuto; Margherita Rampelli; Elena Paparusso – TENORE: Danilo Cucurullo; Daniele Giannetti; Tommaso Gatto; Stefano Minder; Paolo Caiti; Flavio Spampinato; Gianfranco Aghedu – BASSO: Marco Lizzani; Sebastiano Forti; Fabio Grasso

Gerlando Gatto

Le chansons di Zeppetella, Bex, Lauren e Gatto dal vivo all’Elegance

“Chansons!” è un’idea musicale, un trattato di diplomazia, un abbraccio tra cugini. Un bel gioco, soprattutto, inventato da Jando Music per raccontare due mondi vicinissimi, che da sempre si osservano con reciproca curiosità e si influenzano a vicenda. L’Italia e la Francia si stringono la mano e si alleano, mettendo in campo quattro talenti cristallini: Fabio Zeppetella e Roberto Gatto, a rappresentare il tricolore col verde; Geraldine Laurent ed Emmanuel Bex come ambasciatori dei “bleus”. L’inedito quartetto interpreta undici canzoni che raccontano al meglio la tradizione musicale e più specificamente cantautorale dei due Paesi. Dal capostipite Bruno Martino, passando per De André e De Gregori e arrivando a Pino Daniele, da una parte. Jacques Brel e Leo Ferré, Yves Montand e Joe Dassin dall’altra. I brani di “Chansons!” conquistano fin dal primo ascolto. L’interpretazione dei quattro musicisti, manco a dirlo, è straordinaria. Se l’intesa tra Gatto, Bex e Zeppetella era già collaudata, e fonte di preziose gemme musicali, l’innesto di Laurent rende il tutto ancora più sorprendente e ricco.
Sul palco Fabio Zeppetella (chitarra), Emmanuel Bex (organo,voce), Geraldine Laurent (sax) e Roberto Gatto (batteria).

Giovedì 19 aprile
Ore 21.30
Elegance Cafè Jazz Club
Via Francesco Carletti, 5 – Roma
Euro 22 (concerto e prima consumazione)
Infoline + 39 06 57284458

Un addio a Michiko Hirayama: una delle più importanti voci del ‘900

Se ne è andata il 1 aprile scorso, la grandissima Michiko Hirayama, un personaggio che ha impregnato di sé la musica contemporanea dello scorso secolo: era la più grande interprete di Giacinto Scelsi e credo che non ci sia bisogno di ulteriori parole.

Figlia di due avvocati, Michiko Hirayama nasce a Tokyo il 14 luglio 1923; cresciuta in un ambiente di alto livello culturale, conosce l’importante musicista giapponese Fumio Hayasaka, che fu anche maestro di Toru Takemitsu.

Dopo aver studiato musica all’Università delle arti di Tokyo, nel 1957 si trasferisce in Italia; studia all’Accademia di Santa Cecilia a Roma, all’Accademia Chigiana di Siena e al Mozarteum di Salisburgo. Conosce Domenico Guaccero e soprattutto Giacinto Scelsi, del quale eseguì numerosi lavori, tra cui il ciclo di lieder i Canti del Capricorno a lei dedicati.

Dotata di una vocalità assolutamente particolare (aveva un’estensione vocale di quattro ottave) si dedicò spesso a lavori sperimentali e d’avanguardia.

Siamo ben lieti di pubblicare un ricordo di questa straordinaria interprete ad opera di Marilena Paradisi, una delle migliori vocalist italiane, che con Michiko ha studiato a lungo e ha inciso il bellissimo album di improvvisazione totale per solo due voci “PRELUDE FOR VOICE AND SILENCE” ( Siltaclassics 2011)

ph: Paolo Soriani

L’appuntamento con lei era davvero una festa. Al citofono rispondeva la sua voce squillante, e si apriva la sua porta con lei chinata a cercare  la ciabattina di paglia adatta al tuo piede. All’ingresso ne aveva di tutti i numeri! Era vietato entrare con le scarpe in casa! Ti accomodavi sul suo divanetto vicino al pianoforte, carico di preziose  partiture, mentre lei, sempre elegante e col viso fresco, ti preparava  un te’ giapponese e cercava la sua amata tartaruga, per darle la lattuga. Se aveva tempo, non si cominciava mai la lezione senza una chiacchiera e un te’. Erano così preziose quelle chiacchierate con Michiko Hirayama, una delle più grandi interpreti di Gicinto Scelsi, icona del canto contemporaneo del 900, vocalità eccelsa, inarrivabile livello artistico, voce unica, primitiva, selvaggia e allo stesso tempo consapevole, tagliente, toccante, percussiva, invasiva di qualsiasi resistenza all’ascolto.

Avevo ascoltato per la prima volta I Canti del Capricorno, ed ero rimasta folgorata da quella voce. Quando seppi che viveva a Roma e dava anche lezioni di canto, non ero nella pelle dalla gioia. Volevo conoscerla! Arrivava col te’, si sedeva e iniziavano i suoi affascinanti racconti. Su  Giacinto Scelsi,  il misterioso “ Conte” del piano di sopra, “uno un po’ matto”,  girava questa voce per i salotti romani frequentati dalla giovane Michiko, appena arrivata dal Giappone; uno stravagante, che di notte iniziava a suonare ininterrottamente e per ore la sua “ ondiola”, il che, sicuramente, non era la gioia dei suoi vicini. Ma per una come Michiko, uno che riesce a fare musica improvvisata per tutta la notte non era affatto matto, forse aveva qualcosa di grosso da esprimere, forse era un grande artista da conoscere meglio. E allora lei, dopo la festa al piano  di sotto, fa finta di uscire ma in realtà, sale di sopra e si siede al freddo, davanti alla porta del “ Conte”, ad ascoltare. E finalmente inizia; dapprima note incerte, frammentate, e poi… arriva un’onda di calore, un vortice di bellezza e lei rimane li’, tutta la notte, ad ascoltare. E per più di una notte! Ma questo non è un po’ matto, questo è un genio! Il carpire a sua insaputa il suo inconscio musicale, i suoi segreti… e così lei aveva capito la più profonda, intima natura di Giacinto, ne aveva colto l’essenza, poteva ora interpretare la sua musica, poteva interpretare ,” Ho”,  poteva interpretare “ Khoom” e  i “Canti del Capricorno”, dare vita, con la sua voce, a qualcosa che per Scelsi forse era ancora solo inconscio.  E quella nota sola, quella unica nota intonata, di una pianola abbandonata e devastata dalle stonature, si quell’unica nota suonata da Giacinto in modo quasi ossessivo, cercandone ogni sfumatura, ogni armonico, racchiudeva un mondo, un  mondo di colori e di espressioni differenti, la musica indiana? La microtonalità? Nasce  il “ Concerto su una nota sola” un altro capolavoro.

L’attenzione al “ suono, il suono come nota che racchiude mondi misteriosi, se si pone un orecchio che non e’ solo “razionale”, ma un ascolto totale, quasi di tutta la superficie del corpo, quasi di tutta la pelle. Senza il “suono”, inteso in questo modo, non si fa vera musica. E la voce? La voce deve essere una bella voce? E chi dice se una voce è bella o brutta?  “ La voce può anche essere una brutta voce, ma esprimere in quel momento il tutto, l’essenza, essere o non essere di Amleto. La propria identità… la voce come “identità. Ricercare la propria voce come un iniziale flusso di un respiro ventrale, profondo, viscerale, l’ascoltare la propria produzione sonora fino al più nascosto degli armonici, dimenticarti del tuo corpo, e diventare “tu stesso” il suono.

E l’improvvisazione?  La vera essenza dell’improvvisazione, intesa come rapporto strettissimo e profondo tra il mio suono e quello di chi sta improvvisando insieme a me. Quel diventare come un enorme orecchio, teso a cogliere tutto, si, qualsiasi movimento, nel suono degli altri, sia bello sia brutto, e trasformarlo in un input di risposta sonora, che sia presenza pura, io, in quel momento, sono  “assolutamente insieme a te”, e che ti consente di aprire quella porta magica dentro di te, di far uscire “ il tuo flusso  sonoro”. L’improvvisazione come “presenza”.

E inizia la lezione: lei in piedi dietro al pianoforte, tu in piedi di fronte a lei. Sembra un botta e risposta, lei chiede, è esigente, incalza, e tu devi rispondere con un suono non “ giusto”  ma un suono “ vero”. Cerchi, cadi, sbagli, ti rialzi, non ci stai, non va bene, più dentro, stacci più dentro, troppa testa, non pensare, dimenticati di stare qui, non vedo più niente, un fremito, sento come un fulmine che dai piedi, dalla radice, percorre il midollo e esce su dal cranio. Non capisco più niente, che è successo? Quasi quasi mi sento mancare. “Era vera!” – dice lei – “questa nota era vera!!!  Ma è accaduto qualcosa? Si qualcosa di indelebile.

Le  ore sono trascorse velocemente, un tempo dilatato, un tempo umano, mi avvio alla porta un po’ intontita, carica di cose da elaborare, lascio le ciabattine e mi rimetto le mie scarpe, la saluto con un bacio, lei sorridente chiude la porta.

Ciao Michiko grazie per tutto questo… Marilena Paradisi

La redazione di A Proposito di Jazz ringrazia Marilena Paradisi per il suo ricordo e Paolo Soriani per le immagini www.paolosoriani.com

La terapia dei Vitamina Funk dal vivo all’Elegance

Vitamina Funk è un progetto musicale nato con il desiderio di creare uno show che utilizzi la musica come stimolante, come risposta alchemica alla tristezza, qualcosa che abbia lo stesso effetto delle vitamine. Questa dunque è la mission dei Vitamina Funk, suono di qualità ed energia cercando di trasferire una sorta di vitamina vibrazionale per fare in modo che il pubblico, come noi, a fine serata torni a casa con un sorriso stampato in faccia ed il cuore più leggero.
Sul palco Valeria Di Casti (voce), Valentina Bausi (voce), Diego Quacquarini (basso,cori), Fabio Pappone (tastiere) e Daniele Massidda (batteria).

venerdì 13 aprile
Ore 21.30
Elegance Cafè Jazz Club
Via Francesco Carletti, 5 – Roma
Euro 18 (concerto e prima consumazione)
Infoline + 390657284458