Luca Ciarla Solorchestra @ Rossini Jazz Club, Faenza

Giovedì 29 novembre, sempre alle 22, la stagione del Rossini Jazz Club di Faenza prosegue con Luca Ciarla Solorchestra, il concerto in solo del violinista Luca Ciarla. La rassegna diretta da Michele Francesconi si presenta in questa stagione con due cambiamenti sostanziali: il Bistrò Rossini di Piazza del Popolo è il nuovo “teatro” per i concerti che si terranno di giovedì. Resta immutato l’orario di inizio alle 22. Il concerto è ad ingresso libero.

Un violino, alcuni strumenti giocattolo. Passo dopo passo, con un pedale loop, Luca Ciarla esegue dal vivo tutte le parti, suonando il violino come una chitarra, un violoncello o una percussione. Un fantasioso mondo musicale in cui il musicista canta, fischia, suona altri piccoli strumenti e aggiunge sempre nuovi passaggi virtuosistici: la musica si evolve continuamente trasformandosi in una vera e propria “solo string band”. Il programma presenta insoliti arrangiamenti di brani della tradizione popolare italiana, musiche del bacino del Mediterraneo e composizioni originali.

Nato a Termoli, in Molise, inizia a suonare il violino e il pianoforte all’età di otto anni. A dodici studia al conservatorio e pochi anni dopo inizia ad esplorare il jazz e l’improvvisazione. Si laurea in violino nel 1993 e poi studia presso la Scuola di Musica di Fiesole e la Scuola di Alto Perfezionamento di Saluzzo. Nel 1996 si trasferisce negli Stati Uniti per seguire un master dell’Indiana University e per studiare jazz con David Baker. Successivamente porta a termine anche un dottorato in arti musicali dell’ Università dell’Arizona dove insegna per alcuni anni. Vincitore di vari concorsi in Italia e all’estero, è stato premiato nel 1999 dalla prestigiosa organizzazione newyorkese Chamber Music America. Nel corso degli anni Luca Ciarla ha lavorato con artisti del calibro di Greg Cohen, Chris Jarrett, Daniele Sepe, Joshua Bell, Edgar Mayer, Daniele Scannapieco, Danilo Rea, Sylvain Gagnon, Anthony Fernandes, Luciano Berio, Andrea Piccioni, Meklit Hadero, Simone Zanchini, Lello Pareti, Marco Siniscalco, Marina Rei, Rodolfo Maltese, Paola Turci, Luigi Tessarollo, Ferruccio Spinetti, Mark Rush. Dopo aver registrato con varie prestigiose etichette discografiche, fonda la Violipiano, casa di produzione che si occupa della sua attività artistica a 360 gradi. Dal 2012 tiene master class incentrati sullo sviluppo creativo nel mondo degli archi.

La rassegna musicale diretta da Michele Francesconi, dopo oltre dieci anni, cambia sede e si sposta al Bistrò Rossini che diventerà, ogni giovedì, il Rossini Jazz Club: la seconda importante novità riguarda proprio il giorno della settimana, si passa appunto al giovedì come giorno “assegnato” ai concerti. Resta invece immutato lo spirito che anima l’intero progetto: al direttore artistico Michele Francesconi e all’organizzazione generale di Gigi Zaccarini si unisce, da quest’anno, la passione e l’accoglienza dello staff del Bistrò Rossini e l’intenzione di offrire all’appassionato e competente pubblico faentino una stagione di concerti coerente con quanto proposto in passato.

Giovedì 6 dicembre, sempre alle 22, la stagione del Rossini Jazz Club di Faenza propone un dopppio concerto. Nella prima parte della serata, si esibirà il Mattia Parissi Trio, formato da Mattia Parissi al pianoforte, Emanuele Di Teodoro al contrabbasso e Andrea Ciaccio alla batteria. A seguire, poi, sarà sul palco del club faentino Òligo, il trio costituito da Enrico Ronzani al pianoforte, Henrique Molinario al contrabbasso e Giacomo Scheda alla batteria.

Il Bistrò Rossini è a Faenza, in Piazza del Popolo, 22.

No More Minimal: Emilio Galante al TrentinoInJazz

Giovedì 29 novembre 2018
ore 21.30
Loco’s Bar
Via Valbusa Grande 7
Rovereto (TN)

EMILIO GALANTE:
NO MORE MINIMAL

Giovedì 29 novembre a Rovereto ultimo appuntamento con Ai confini e oltre, la sezione del TrentinoInJazz 2018 che ha fatto dialogare aree musicali ed extra tra jazz, avanguardie e cinema. Al Loco’s Bar arriva una delle anime del TrentinoInJazz, nonchè uno dei musicisti più interessanti e attivi in Italia nel campo della musica colta ai confini con jazz e rock progressivo: Emilio Galante. I

l flautista trentino porta a Rovereto un nuovo progetto ribattezzato No More Minimal, un programma per flauto, tape e video, con musiche di Zack Browning (acido postminimalista americano), di Jacob TV (fantasioso compositore olandese), di Steve Reich (con Vermont Counterpoint, un classico della letteratura minimalista), e dello stesso Galante (Ritmi di Stazione, una rimusicazione di un documentario dei primi anni Trenta sulla Stazione Termini di Roma del regista futurista Corrado D’Errico). Sulle musiche eseguite live, tre video di Fabio D’Ambrosio, milanese per nascita, fotografo e ideatore di altro, per professione. Fonda fahrenheit451 nel 1996 come contesto interdisciplinare, fornendo servizi di consulenza per la comunicazione grafici, fotografici, multimediali. I lavori teatrali, video e cinematografici prodotti da fahrenheit451 con D’ambrosio editore sono progetti in cui i diversi ambiti dell’espressione artistica (letteratura, scultura, pittura, musica e cinema) interagiscono in operazioni pluridisciplinari: nella dialettica dei molteplici codici espressivi l’apporto del fruitore è restituito ad una modalità di partecipazione attiva e sinestesica emancipata dall’abitudine alloppiante al monolinguismo commerciale.

Prossimo appuntamento con il TrentinoInJazz 2018 sabato 1 dicembre: Note di Donne a Trento.

Jazz e critica democratica, al tempo dei social media

“Stiamo uccidendo gli artisti con i social network”, ha dichiarato Vincent Lindon in un’intervista a “Vanity Fair”, misfatto che sarebbe consumato da quel mondo web che costringe lo spettatore ad una visione domestica dei film, per come lamentato dall’attore nell’imminenza dell’uscita di “L’apparizione”, del regista Xavier Giannoli. Concetti trasferibili alla musica?

C’è qualche dubbio, in proposito, constatato come il web, per quanto visto “dal divano”, contribuisca a render noti o famosi diversi artisti ed a mitizzare astri vecchi e nascenti delle sette note (e della celluloide). Sono tanti i musicisti che si giovano dei nuovi media per affermarsi e imporsi. Ci sono poi altri risvolti del cambiamento generato dai social in questo ambito.
Uno è che si sta assistendo ad una mutazione dei ruoli più consolidati. Prendiamo ad esempio quello del critico/giornalista o cultore della materia che dir si voglia.
Jazz, nel caso specifico. A vedere lo scarso spazio assegnatogli su grandi giornali e tv, insomma sui media generalisti, parrebbe un mestiere destinato all’estinzione, come i brontosauri e gli indios dell’Amazzonia. Son sempre più rari i contributi, almeno quelli laboriosi e attenti a cui firme di provata esperienza ci hanno abituati.
Vero è che, in generale, il peso della stampa tradizionale – e quindi delle stesse rassegne stampa dei festival – non è più quello di una volta. Per la concertistica jazz, con la riduzione di contributi e sponsor, prevale la logica del botteghino e, giocoforza, la promozione importa più della riflessione ponderata a fari spenti. E non mancano uffici stampa costretti a diventare “operatori mediatici” per adeguarsi ai tempi che cambiano puntando a far pubblicare un ritaglio del comunicato, una breve, un redazionale o un’intervista prima dell’evento, reale o supposto.

Ma ci sono anche, per spiegare tale trend, specifiche ragioni di contenuto.
A livello di festival una certa ripetitività dei nomi in cartellone ad alcune rassegne (non ispirate alle produzioni originali né rischiosamente innovative) non è che faccia bene alla categoria dei “giornalisti musicali” nel senso che diventa sempre più difficile recensire una performance di un artista accreditato (che si ripeta, ovviamente) del quale si è detto tutto, si conosce ogni piega, lo si venera a priori per cui che senso avrebbe sottoporlo ad un ulteriore giudizio?

E c’è poi una tendenza centrifuga, di una “critica” divenuta città aperta, accessibile, non più roccaforte depositaria delle pronunce di pochi eletti, slegata da linee editoriali.
Fenomeno che non andrebbe visto con sospetto, nel senso che se ci sono degli appassionati i quali, anche tramite il web, si avvicinano e partecipano al mondo della musica afroamericana, non solo con la fruizione passiva, ma anche con l’approfondimento vigile, che siano i benvenuti!  Va precisato, per inciso, che essendo questa una rivista on line va da sé che il giudizio sul web non può di certo essere negativo, nella convinzione che si tratti di uno strumento utile alla democratizzazione del sapere e della cultura, compresa quella musicale. Per quella jazzistica, poi, che è minoritaria, sì, ma ha un’estensione mondiale, l’ausilio della rete è più che vitale come mezzo utile alla circolazione delle informazioni e dell’ascolto sia di documenti storici (quanti 78 giri su youtube!) che alla visione di filmati di concerti anche in contemporanea (che piacere vedere e sentire in diretta fb Al Di Meola mentre si esibisce in U.S.A.!).

Ma la figura dell’esperto, in questo panorama mutante, allora risulta appannata?
Guardiamo ai dischi di jazz. Capita che ne vengano pubblicati senza le liner notes di un addetto ai “lavori”. La cosa non è scandalosa. Quanti libri escono senza prefazione? Siamo lì. Non è detto, avrà pensato l’editore, che il lettore, l’ascoltatore nel caso degli album, debba esser accompagnato per forza nel suo approccio al disco da un “tecnico”. Idea che non fa una grinza. Sarà più autonomo nell’auto/orientamento e nell’apprezzamento. Un tutor di se stesso. E poi se vorrà potrà approfondire altrove, magari sulle riviste specializzate cartacee o web, o sui social. Ed è qui il punto principale del discorso. È lì che potrà trasformarsi a sua volta in giurato popolare che sentenzia a base di like, di cittadino che conquistata la Bastiglia culturale occupata da un’élite, potrà finalmente sfornare pensieri, limare stime, compilare il riquadro “scrivi la tua recensione”. Più saranno le condivisioni, a vario titolo, e più il disco, il concerto, ma la cosa vale anche per altri prodotti artistici (cinematografici, letterari, pittorici etc.) sarà da intendersi “contattato” dai nuovi digitors, e quindi acquisire popolarità e, forse, prestigio. Il numero è potenza, diceva qualcuno. Ancor più vero, in quest’era massmediale in cui Shazam ha “rubato” il posto ad orecchi sopraffini perché in grado di decifrare da poche note il titolo di un brano. Intendiamoci. È positivo che la libertà di critica sia sdoganata, diffusa sui social dove basta un pollice alto o un pollice verso a decretare se il gladiatore che si cimenta nell’arena artistica debba essere osannato o divorato. L’artista che si espone al pubblico è consapevole del rischio che corre e ciò lo sprona a migliorarsi e a dare il meglio. Tutto ciò è positivo specie se significa maggiore partecipazione e attenzione anche nel caso del jazz.

Lo sarebbe meno se prevalesse l’idea che solo il Verbo collettivo fosse il Dogma. Lo scontro, su queste premesse, sarebbe duro per i critici, decimati dallo sfoltimento degli spazi disponibili al jazz, per l’impari confronto, tipo Termopili, contro le flotte e le frotte dei persiani in avanzata (l’apparato di comunicazione massiva che sostiene e premia non certo generi ancora di nicchia come il jazz). E ridotti anche da un ricambio generazionale che procede con lentezza. La speranza è che la riserva indiana sia in qualche modo protetta dai nuovi fondamentalismi. Anche perché la coesistenza è possibile, c’è spazio per tutti, dal mainstream alla controinformazione. E’ la libertà dell’informazione, bellezza, la bellezza dell’informazione a 360 gradi. Tanto più vasta quanto meno imbavagliata.

In conclusione.  C’era un paesino il cui assessore alla cultura fungeva anche da direttore artistico della locale rassegna jazz. Ecco. È quello che, parlando del nostrano jazz journalism, bisognerebbe evitare: la confusione dei ruoli. Nel presupposto che il commentatore jazz sia uno stakeholder, un portatore di interesse, culturale più che economico, che opera da una data postazione mediatica. Ma non è una cosa social, non necessariamente, senza per questo essere antisocial, anzi di norma partecipando alla vita della rete, leggendo, consultando, confrontandosi, postandovi immagini, foto, notizie…oltretutto il web gli fornisce il termometro degli umori e degli amori verso questa musica.

In politica si sbatte il tweet in prima pagina. Nel caso in esame non sarebbe possibile. Il jazz non guadagna in genere la ribalta della cronaca. Ma ci può stare l’aspirazione a rivendicare per chi lo analizza, e senza accampare difese corporative, un livello sindacale minimo di rispetto delle competenze quando si “mette in vetrina” la propria mercanzia professionale di fronte alla platea degli interessati; nella quale, c’è da giurarlo, potrebbe sempre annidarsi chi è pronto al crucifige ed a fare mucchio selvaggio a colpi di click.

Amedeo Furfaro

Swing Friends al TrentinoInJazz

Domenica 25 novembre 2018
Ore 19.30
Bar Circolo Operaio Santa Maria
Via Santa Maria 8
Rovereto (TN)

SWING FRIENDS

Primo appuntamento autunnale del TrentinoIn JazzClub, il ciclo del TrentinoInJazz ideato da Emilio Galante per coinvolgere i club di Trento e Rovereto, con un concerto all’insegna dello Swing, come recita in pieno il nome del quartetto invitato a Rovereto: Swing Friends.

Dietro questa sigla si celano quattro grandi nomi del jazz nostrano, un quartetto con i fiocchi composto da tre genovesi e un trentino: Giampaolo Casati (tromba), Gianluca Tagliazucchi (piano), Aldo Zunino (contrabbasso), Enrico Tommasini (batteria). I primi tre sono anche coinvolti nell’esperienza tutta genovese della Bansigu Big Band ma come singoli Casati è attivo dagli anni ’80 con Gianni Basso, Tullio De Piscopo, poi Rava, Tonolo, Bonaccorso e moltissimi altri; anche Tagliazucchi debutta negli anni ’80, alternando attività didattica a arrangiamenti e collaborazioni, da Lee Konitz a Tiziana Ghiglioni; Zunino è uno storico contrabbassista assiduo frequentatore di palchi italiani ed esteri insieme a colossi come Steve Grossman e Bobby Durham ma anche Zegna e Faraò. Enrico Tommasini ha una lunga esperienza dalla seconda metà degli anni ’70 e ha suonato con Michael Lösch, Massimo Urbani, Florian Bramböck, Flavio Boltro, Pietro Tonolo, Sandro Gibellini, Helga Plankensteiner e molti altri.

Prossimo appuntamento con il TrentinoInJazz giovedì 29 novembre: No More Minimal a Rovereto.

Ancora una presentazione prestigiosa per “L’altra metà del jazz” il secondo libro di Gerlando Gatto, inserita tra gli eventi del festival JazzMi

Dopo le presentazioni al Salone del Libro di Torino, Udine, Catania e Roma, il secondo volume di Gerlando Gatto “L’altra metà del jazz – Voci di donne nella musica jazz” (KappaVu / Euritmica edizioni) è stato illustrato il 13 novembre a Milano, nell’ambito di “Compagni di viaggio: incontri con gli autori”, nei meravigliosi locali che ospitano la libreria di viaggio del Touring Club Italiano, nella sua storica sede di Corso Italia, nel cuore della città meneghina.
L’evento era inserito nel cartellone del Festival JazzMi, quest’anno quanto mai denso di concerti e appuntamenti (più di 200 in 13 giorni!).
Introdotto dal giornalista Pino Mantarro, ufficio stampa del T.C.I., l’autore ha dialogato con un interlocutore illustre, Claudio Sessa, già direttore di “Musica Jazz”, critico musicale del “Corriere della Sera”, docente di Storia del Jazz, nonché scrittore con all’attivo diverse pubblicazioni (Il marziano del jazz. Vita e musica di Eric Dolphy; Le età del jazz. I contemporanei; Improvviso singolare. Un secolo di jazz).

Tra il numeroso pubblico presente anche alcuni artisti molto noti: il compositore e band leader Dino Betti van der Noot, il sassofonista Claudio Fasoli e il fotografo Roberto Masotti, tra i più prestigiosi fotografi jazz di tutta Europa, cui si è aggiunto verso metà serata un altro importante fotografo, Pino Ninfa.

Sessa, nella sua esposizione iniziale, ha definito Gatto “un lavoratore del jazz” e ha sottolineato il valore particolare di questa raccolta di interviste, integralmente al femminile, soffermandosi sovente sul tema della “differenza di genere” nell’ambiente jazzistico.

Spesso si tratta di stereotipi consolidati, come quando, parlando di musiciste jazz, vi si abbini immediatamente la figura della cantante e quasi mai quella della strumentista. In certi “universi” – il jazz è uno di questi ma anche quello militare, ad esempio – esiste ancor’oggi un pregiudizio molto diffuso e difficile da divellere: la tendenza ad incasellare il jazz suonato dalle donne come se esistesse un modo maschile e un modo femminile di suonarlo. Da questa sorta di postulato, si è scatenata un’interessante discussione alla quale hanno partecipato parecchi spettatori. Io non ho mai pensato alle donne che fanno jazz in termini di genere e il mio giudizio si è sempre e solo basato su canoni di bravura, di capacità tecniche, di espressività, di gusto… insomma, su dei parametri oggettivi, e questo indifferentemente se a suonare, comporre, dirigere sia un maschio o una femmina. Ascoltando i vari interventi mi sono stupita: se nel 2018 si parla ancora di questo, evidentemente il problema non è, come credevo, superato.

La discussione si è ulteriormente ampliata, a seguito della domanda di una spettatrice, sulla matrice primigenia del linguaggio jazzistico e se sia possibile distinguere, al semplice ascolto, il jazz statunitense da quello europeo, quello italiano da quello scandinavo, solo per citare alcuni esempi.

Quasi tutti sono stati concordi nel sostenere la tesi che il jazz è un idioma universale diffusosi ovunque nel mondo, e pur riconoscendo che il suo epicentro era e rimane, per certi aspetti, l’America del Nord, ha saputo integrarsi nelle culture di altri paesi ritagliandosi spazi e sonorità completamente nuovi, tanto da contestualizzarsi, assumendo una precipua forma identitaria.

E’ stato piuttosto difficile per Claudio Sessa riportare il vivace scambio di opinioni sui binari dell’oggetto della presentazione: il bel libro di Gerlando Gatto!

Dopo tanto erudito disquisire (c’era molto da imparare nelle parole di alcuni relatori…) sono finalmente comparse le vere protagoniste di questa opera, da Enrica Bacchia (che Gerlando ha definito come l’esperienza più intensa), a Dora Musumeci, una della pioniere tra le musiciste jazz, parliamo degli anni Cinquanta, che diede del filo da torcere ai colleghi maschi e fu amica personale dell’autore (che si commuove ogni qualvolta se ne parli…), da Dee Dee Bridgewater a Sarah Jane Morris, queste ultime due interviste così diverse tra loro e dalle quali emergono con grande evidenza due diversi approcci: molto professionale e distaccato per la prima, empatico e pieno di calore umano per la seconda. Gatto ha ricordato con affetto anche la vocalist norvegese Radka Toneff, che si tolse la vita a soli 30 anni, per amore… si dice.

Alla domanda su quali siano i criteri che lo guidano verso la scelta delle musiciste da intervistare, Gatto ha risposto in modo semplice e diretto: “avendo la fortuna di poter scrivere di jazz per pura passione, l’unico criterio è di confrontarmi con gli artisti che più mi piacciono, quelli che musicalmente mi trasmettono qualcosa.”  (Gerlando è laureato in giurisprudenza e ha fatto per anni il giornalista professionista, specializzato in economia. N.d.A.)

Marina Tuni

 

Emilio Marinelli Dope 3 @ Rossini Jazz Club, Faenza

Giovedì 22 novembre 2018, il Rossini Jazz Club di Faenza propone il concerto di Emilio Marinelli Dope 3 con Emilio Marinelli al pianoforte e alle tastiere, Gabrielele Pesaresi al contrabbasso e al basso elettrico, Stefano Paolini alla batteria e al kaos pad e John Michael Mawushie al beat-box. La rassegna diretta da Michele Francesconi si presenta in questa stagione con due cambiamenti sostanziali: il Bistrò Rossini di Piazza del Popolo è il nuovo “teatro” per i concerti che si terranno di giovedì. Resta immutato l’orario di inizio alle 22. Il concerto è ad ingresso libero.

Il concerto dell’Emilio Marinelli Dope 3 è un viaggio musicali ricco di contaminazioni e suggestioni sonore tra jazz, elettronica e nuove tendenze della Black Music.

Il pianista Emilio Marinelli – jazzista, arrangiatore e compositore, con una solida esperienza di leader di formazioni e con un variegato e prestigioso ventaglio di collaborazioni nel suo curriculum – propone questo nuovissimo progetto con l’intento di avvicinare la tradizione jazz ad una contemporaneità raffinata ma fruibile, cercando di far convivere la gestualità e le intenzioni stilistiche di generi come hip-hop, rock, funk con la libertà espressiva e l’estemporaneità del jazz.

Pur discendendo dalla classicissima forma del trio jazz composto da pianoforte, contrabbasso e batteria, l’Emilio Marinelli Dope 3 evolve e potenzia la sua sezione ritmica con la presenza di John Michael Mawushie a.k.a JBEAT, laureatosi campione italiano di beat-box nel luglio 2018. Il meglio in circolazione sul suolo Italiano. Energia, ricerca sonora e groove sono le caratteristiche principali di questo combo, completato da una ritmica esperta e capace di straordinaria musicalità come sanno assicurare il contrabbassista Gabriele Pesaresi e il batterista Stefano Paolini, musicisti attivi nella scena jazz italiana e, a loro volta, entrambi già band leader e compositori.

La rassegna musicale diretta da Michele Francesconi, dopo oltre dieci anni, cambia sede e si sposta al Bistrò Rossini che diventerà, ogni giovedì, il Rossini Jazz Club: la seconda importante novità riguarda proprio il giorno della settimana, si passa appunto al giovedì come giorno “assegnato” ai concerti. Resta invece immutato lo spirito che anima l’intero progetto: al direttore artistico Michele Francesconi e all’organizzazione generale di Gigi Zaccarini si unisce, da quest’anno, la passione e l’accoglienza dello staff del Bistrò Rossini e l’intenzione di offrire all’appassionato e competente pubblico faentino una stagione di concerti coerente con quanto proposto in passato.

Giovedì 29 novembre, sempre alle 22, la stagione del Rossini Jazz Club di Faenza prosegue con Luca Ciarla Solorchestra, il concerto del violinista Luca Ciarla.

Il Bistrò Rossini è a Faenza, in Piazza del Popolo, 22.