Elina Duni, Rob Luft ed Enzo Zirilli al Folk Club di Torino


Tutte le foto sono di CARLO MOGAVERO

Torino, Folk Club, 13 dicembre 2018, ore 2130

Rassegna RADIO LONDRA
ELINA DUNI, ROB LUFT, ENZO ZIRILLI

Elina Duni, vocals
Rob Luft, chitarra elettrica
Enzo Zirilli, batteria e percussioni

Radio Londra è la rassegna organizzata al FolkClub di Paolo Lucà da Enzo Zirilli, che dalla Gran Bretagna “esporta” temporaneamente artisti inglesi ospitandoli sul palco dello storico club torinese. Siamo al decimo anno di successi, e in questo freddo dicembre torinese salgo a Torino per assistere ad un evento che prevede la performance di una cantante da me molto apprezzata, Elina Duni.
Albanese di nascita e a 11 anni trasferitasi con la famiglia in Svizzera, Elina ha una formazione classica, ma un forte legame con la musica del suo paese.
Rob Luft è un chitarrista ventiquattrenne talentuosissimo che suona oramai da lungo tempo (sic!) con Enzo Zirilli, che è un nostro batterista quotatissimo volato a Londra un bel po’ di anni fa, dove ha trovato il successo che meritava e che si è dunque ancora più amplificato qui in Italia. 
Molti dei brani ascoltati provengono dal nuovo cd di Elina Duni, PARTIR, registrato per ECM
Qui mi fermo con le informazioni biografiche perché chi mi legge sa che non sono solita fornire informazioni sui musicisti – che si trovano agevolmente in internet – ma vado subito al cuore, e il cuore di tutto è la musica che ho ascoltato.

E’ suggestivo l’incipit del concerto, con Zirilli e i suoi effetti di mare, e vento, e Luft, che con la sua chitarra elettrica e i suoi pedali asseconda l’ evocare quasi nostalgico di luoghi lontani. La voce di Elina Duni irrompe, intensa, nel primo brano: siamo nel Nord dell’Albania e questo è un canto tradizionale, una ninna nanna che parte quasi in sordina, ma che via via si fa più intensa nelle dinamiche, nei timbri, nel pathos.

Dal Nord dell’ Albania Elina ci porta nel Kosovo, con il canto d’ amore rivolto alla luna da una donna al suo uomo perduto: tutto prende vita da un iniziale ostinato di chitarra, che indugia su intervalli di seconda eccedente e su sistemi scalari lontani, eppure così vicini. La batteria e il cajon riempiono l’aria esaltando senza coprire nemmeno una nota della voce. La chitarra ricostruisce un’atmosfera di festa popolare, albanese, o balcanica, italiana, o mediterranea, o mediorientale. Si ritrova molto di altre culture, molto della nostra.


I tre musicisti fluttuano tra parti più libere ed obbligati intensi, come l’unisono tra la voce di Elina Duni e la chitarra di Rob Luft, che sono momenti di virtuosismo imperniati sugli stilemi della musica tradizionale (che, ricordiamolo, non è mai scevra dal virtuosismo). La voce di Elina Duni è intensa, duttile, fortemente evocativa.
Ed è una voce versatile, tanto che alla chanson di Serge Gainsbourg, Coleur Cafè, si tramuta, e la nostalgia intensa diventa leggerezza, brio, ritmo. Ci troviamo in un altro mondo sonoro, il groove creato da Zirilli con la sua batteria è un latin ricco di sfumature, in cui il volume fortissimo è perseguito con le spazzole, il cajon è un altro rullante e gli spunti scambiati con la chitarra di Luft sono quasi infiniti.
Il repertorio non è univoco.

La scelta dei brani spazia tra la musica albanese, kosovara e quella della tradizione del Meridione d’Italia. Sono terre confinanti, e i canti d’amore e di desiderio provengono anche dal Canzoniere Grecanico Salentino, come Bella ci dormi sui cuscini:  la voce di Elina Duni è potente per intensità, non per volume. La chitarra di Rob Luft, incredibilmente, riesce a sostenere l’atmosfera di un mondo di suoni apparentemente a lui lontano, persino nell’assolo dolce, quasi amorevole, che precede la conclusione del canto. E quello di Elina Duni è struggente, e quanto mai dà a chiave della vicinanza tra le due terre di  Puglia e Albania.

Ma ci sono anche canti di coscienza civile, come quello scritto più di cento anni fa e che narra di pastorelle che vogliono liberarsi dal maschilismo che le relega a non godere di elementari diritti civili e culturali: una intro in vocalese viene poi supportata da percussioni al minimo e da un ostinato della chitarra, per poi aumentare di volume, di spessore, di intensità fino a divenire sanguigna e potente.
E ancora il canto kosovaro dalla complessità ritmica pazzesca e che viene snocciolata da Zirilli e Luft con una disinvoltura e una fluidità da nativi, un flusso morbido e travolgente che al termine ti lascia quasi disorientato.



Tra introduzioni dolci di chitarra, una voce struggente, la batteria che diventa soffio di spazzole e sole mani, ecco le canzoni dell’esilio, tra le quali la bellissima Amara Terra Mia, che ti verrebbe di cantare con Elina ma non osi, tanto centrato è, con i suoni, il tema letterario della nostalgia: espressività efficace ottenuta con il timbro vocale, con l’intenzione, con le dinamiche, ma anche con l’ andamento della chitarra, che mantiene il legame con il tema iniziale principale, quasi come fosse un ricordo. Come? Trasponendone piccole cellule melodiche durante tutto lo svolgersi del brano.

Il bis ci porta ad uno standard amatissimo, I’m a fool to want you: dolce, distante, a volume basso, intenso. Zirilli anche qui entra in punta di piedi per poi avvolgere il brano. Luft decora con pedale ed effetti. Il pubblico applaude un concerto intenso e inusuale,  e io con il pubblico: ma questo riguarda il breve capitolo che segue.

L’IMPATTO SU CHI VI SCRIVE

Stavolta qualcosa è trapelato anche dalle righe precedenti, che dovrebbero essere deputate alla descrizione il più possibile asettica di ciò che è accaduto sul palco.
Ma scindere ciò che ho ascoltato da ciò che ho provato emotivamente non è facile. Un concerto questo particolarmente intenso, ed emozionante già nei presupposti. Una cantante albanese, anche se svizzera di adozione, un chitarrista inglese, un batterista italiano. La loro musica è un miracolo di espressività “a prescindere” dalle origini culturali dei tre componenti del trio: in un periodo sociale e politico davvero tragico, in cui le differenze diventano invece che attrazione irresistibile, fonte di paure e di aggressività, chi ha assistito alla performance di Elina Duni, Rob Luft ed Enzo Zirilli ha toccato con mano ciò che accomuna non solo tre artisti ma gli esseri umani.
La poetica della nostalgia, della lontananza, del viaggio per emigrare dalla propria terra, dell’amore, raccontati in un’ora di musica emozionante, sono arrivate potenti non solo in quanto emozioni in sé, risvegliate in noi da tre musicisti che hanno saputo toccarci con i loro suoni e la loro sensibilità, ma anche in quanto categorie che questi tre artisti ci hanno mostrato come comuni alla vita di ogni essere umano, al di là di cultura e provenienza.
I canti albanesi e kosovari di Elina Duni, quella scala minore armonica di riferimento, con quegli intervalli di seconda aumentata sono così simili e vicini alla musica del Canzoniere Grecanico Salentino, o anche ad Amara Terra Mia, di Domenico Modugno: questo ci parla di culture vicine. Ma durante questo concerto si è andati al di là di questo: la chitarra di Robert Luft ha suonato non limitandosi a replicare un tipo di musica dalla provenienza connotata (musica balcanica, albanese, jazz, latin), ma ha cantato insieme ad Elina Duni forti sentimenti umani. La batteria di Enzo Zirilli ha soffiato dolcemente e ha tuonato impetuosa un qualcosa che appartiene a tutti noi.

Non mi piace mai parlare di contaminazioni, quando parlo di musica. Amo ascoltare nei suoni reminiscenze di culture a me vicine o lontane, ma la musica, quella vera, ha un che di universale, che mi colpisce intensamente  quando incontro artisti che come in questo caso, hanno una così potente carica espressiva. Gli applausi del pubblico del Folk Club erano emozionati e colmi di gratitudine. Forse solo l’arte, se fatta da artisti veri, potrà salvarci dalla miseria umana da cui siamo nostro malgrado circondati, svelandoci ciò che ci accomuna (compreso il dover partire per poter vivere) e anche ciò che ci differenzia, le nostre usanze, i nostri costumi: che dovrebbe essere ciò che di più attraente e magnetico esista sulla terra. 

Qui di seguito altri scatti del grande Carlo Mogavero





 

 

A Siracusa i “Suoni Futuri”

 

Prosegue con successo, presso l’Auditorium Jolly Aretusa Palace Hotel di Siracusa, la seconda edizione di “Suoni Futuri”, diretta da Francesco Branciamore e Raffaele Genovese.

L’apertura, il 28 dicembre scorso, è stata dedicata alla musica di Ted Pease, vincitore di due borse di studio in composizione jazz dal National Endowment of the Arts, che ha progettato l’originale Bachelor of Music major in composizione jazz a Berklee nel 1980. È, altresì, autore di diverse composizioni jazz e arrangiamento di testi che sono stati oggetti di studio per gli studenti di Berklee. Il progetto dei musicisti jazz siciliani ha avuto il preciso scopo di rendere omaggio alla figura del grande didatta e arrangiatore americano con i cui testi anche essi si sono formati negli anni di studio accademico in conservatorio. Il tutto rispettando gli scores originali di Ted Pease, aggiungendo delle linee di arrangiamento per mettere meglio in luce le personalità dei musicisti e caratterizzarne il suono di insieme. A cimentarsi in questa impegnativa prova sono stati Gaetano Cristofaro saxes, Tony Brundo piano, Vincenzo Virgillito contrabbasso e lo stesso Francesco Branciamore batteria.

La rassegna prosegue questa sera 6 gennaio con Emanuele Primavera. Il quintetto, diretto per l’appunto da Primavera alla batteria e composizione, è completato da Alessandro Lanzoni al piano, Alessandro Presti alla tromba (ambedue con alle spalle collaborazioni con noti jazzisti italiani), Nicola Caminiti sax e Carmelo Venuto basso.

Il 2 febbraio sarà la volta del piano solo di Giampiero Locatelli impegnato nel progetto “Gershwin leeward” che rappresenta una tappa importante nella produzione artistica del pianista. In effetti da sempre Locatelli ha manifestato l’interesse per il sound gershwiniano, definito da egli stesso come una delle risorse armonico-melodiche più brillanti di tutto il ‘900. Con questo titolo si intende sottolineare che la musica vera, pur trasfigurandola come se si avvertisse in controluce o “sottovento” (da qui il termine “leeward”), rimane sempre una sincera e intramontabile fonte di ispirazione.

Il 17 marzo due voci del jazz contemporaneo, due generazioni a confronto sotto la lente di un grande jazz: Stefano D’Anna sax e Raffaele Genovese pianoforte. Oltre a condividere questo progetto in duo, Stefano e Raffaele collaborano al progetto del Quartetto di Raffaele Genovese leader e compositore assieme a Marco Vaggi e Tony Arco.

Il 6 aprile sarà la volta di Giancarlo Mazzù chitarra acustica e loops. “Pure Landscapes” è una raccolta di visioni pure, composizioni scritte che hanno una forte radice nella pratica costante dell’improvvisazione. Esprime gli aspetti più intimi del personalissimo rapporto di Mazzù con la chitarra acustica, strumento che l’accompagna dall’età di 5 anni. Una serie di “acquarelli sonori” – afferma lo stesso artista – fra suoni acustici ed elettronici, con influenze che vanno dalle musiche afroamericane al classicismo del primo novecento arricchito da sfumature popolari, disegnati con un approccio improvvisativo ed estemporaneo che ne rende unica ogni esecuzione.

A chiudere il 18 maggio ecco “Quasimodale”, progetto multimediale ideato da Rosalba Lazzarotto su liriche di Salvatore Quasimodo, da lei stessa musicate e interpretate, con incursioni nel teatrodanza e nelle arti visive. L’infanzia dell’artista e compositrice ha da sempre incontrato la sensibilità del maestro d’inchiostro, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1959. È questo un anno decisivo per il jazz, data simbolica che vede tra le altre la pubblicazione di “Kind of blue”, progetto musicale di Miles Davis che inaugura la nascita di una corrente del jazz chiamata appunto “modale”, ispiratrice delle musiche e del titolo del progetto. Sul palco, assieme alla Lazzarotto, Luciano Troja pianoforte, Federico Saccà contrabbasso e Francesco Branciamore batteria.