Sanremo, la profanazione del Tempio

 

L’ analisi relativa al recente festival di Sanremo fatta dal direttore Gerlando Gatto non fa una grinza. Ne sottolineerei il punto della quasi assenza di esperti musicali all’interno di giurie pur qualificate da presenze autorevoli della cultura e dello spettacolo, da una parte. E dall’altra l’inadeguatezza di un regolamento, quello sanremese, che sottovaluta il voto popolare rispetto a giornalisti, artisti e cooptati vari ad operare la scelta dei vincitori.
Vorrei anche osservare, a titolo personale, che, stavolta, la scelta effettuata incontra il favore e riflette in parte i miei gusti musicali (parlo da semplice telespettatore “silenzioso”, uno di quelli che si astengono dal televoto, e che valuta in concreto i singoli brani molto più dei musicisti, la loro valenza e provenienza), ciò a prescindere da qualsivoglia risvolto politico o ideologico.

Il jazz, per fare un parallelismo, è musica di contaminazione e di sintesi creativa ma sfido chiunque a dimostrare che, in generale, sia di destra o di sinistra.
Così non mi pare sia scandaloso che un nostro connazionale di origine sardo-egiziana si aggiudichi il piazzamento più prestigioso nella maggiore kermesse canora del belpaese.

In occasione dell’affermazione di Mahmoud, invece, stiamo assistendo a talune reazioni sconcertanti che non ci sono state quando, ad esempio, si affermò il grande Riccardo Cocciante, nato in Vietnam, a Sanremo.

O, nello sport, nessuno giustamente obiettò difese di italianità al cospetto dei goal di un centravanti della nazionale quale Balotelli, anch’egli italiano come Mahmoud. Quest’ultimo ha avuto però il torto di dissacrare il tempio della canzone indigena trasformando la manifestazione della città dei fiori in una sorta di “giochi senza frontiere” musicali, in coerenza allo spirito ‘baglioniano’. Visto che le radio e la rete pare stiano dando ragione al suo mood etnopop sarà interessante vederlo in gara all’Eurofestival a rappresentare l’Italia latino/ multiculturale! Mi ritrovo, nel merito, a condividere il verdetto dei giurati, al di là della composizione eterogenea della giuria stessa, ma ritengo per il futuro che si debba lasciare maggior spazio agli addetti ai lavori – critici e/o musicisti – il cui parere potrà tranquillamente coesistere e avere pari dignità del voto “social” e popolare.

Non ci sono, in questo caso, caste o [élites da cui dipendono i destini della patria. Si tratta di affidare visibilità anche al punto di vista di interpreti, analisti e lettori ponderati della nostra musica popolare contemporanea, fuori dalla (legittima) impulsività del televoto popolare. Nel rivendicare uno spazio ai “competenti”, da condividere col pubblico pagante dei televotanti, convengo che il sistema vada rivisto in modo da prevenire accuse di verticismo antidemocratico, del tutto fuori luogo se fatte da chi ha aderito preventivamente al regolamento dell’Ariston e lo contesti chiassosamente a luci spente.

Amedeo Furfaro