Il Jazz ai tempi del Coronavirus le nostre interviste: Enrica Bacchia, vocalist, vocal coach, insegnante, performer, ricercatrice

Intervista raccolta da Marina Tuni

Enrica Bacchia

-Come sta vivendo queste giornate
“La sensazione di impotenza e lo sgomento delle prime settimane hanno lasciato gradualmente il posto ad un profondo senso di calma e benedizione. Ogni azione e ogni gesto diventano gesti e azioni più consapevoli con un valore che mai avrei attribuito loro, nel vortice della fretta di vivere oltre le righe, spremuta dal tempo fino all’inverosimile, del “vecchio” stile di vita. I vicini di casa si sono trasformati in nuovi volti con una diversa valenza, i contatti lontani appaiono – dopo una vita che non ci vediamo – richiamati magicamente dai pixel, magari sgranati, ma pur sempre in un movimento che conferma la vita.
“…E da voi come va? Come state?” È la prima domanda, appena appena ansiosa, che ci si pone. E si discorre, con voci falsate, sull’esistenza, sulla speranza, sul governo, sulle inutili mascherine, sui piccoli dettagli quotidiani. Si chiacchiera, come famiglie di una volta che abitavano le grandi case coloniche di antica memoria.
La connessione bloccata per una manciata di secondi ci permette di avere un’istantanea del parente o dell’amico: un volto fisso in un’immobilità forse un po’ sfocata, ma che ci regala un punto di osservazione leggermente più attento e consente di penetrare oltre il fluire del movimento: il mento in primo piano col relativo sottomento esagerato, i capelli non certo in ordine, qualche piccola ruga in più. Luci soffuse di lampadari invisibili creano autentiche aureole che incorniciano volti senza trucco, quasi ritratti in anticipo sull’emancipazione degli anni ’60, delle allieve che si esibiscono on line, assumendo l’aspetto e l’essenza di autentici, bellissimi Angeli più o meno intonati.
E quando non sono in collegamento, le spalle si rilassano e come una lucertola esco dal rifugio a cercare il sole. Profonda è la gioia per il raggio tiepido che ti tocca per tutto il tempo che desideri. Il tempo… questo Tempo mi scollega dalla routine di “enricautoma” e non ricordo più se il cassonetto va esposto oggi… o era ieri… ma in un contesto così che importanza può avere? E la vista gode del cielo terso come non mai e l’udito è pieno di gratitudine per questo silenzio benedetto che mette tutto in discussione e dà pace al mio sentire di musicista. Una momentanea pausa dal brusio del traffico e dal chiasso assordante, martellante, rumoroso, sporco, cacofonico e perennemente in sottofondo dei locali vicini che usano la musica a tutto volume con lo scopo di stordire e inquinare lo spirito umano deviandolo dalla sua naturalità. Benedico questo silenzio che mi concede di prestare attenzione anche ai più piccoli suoni della natura che trae – oggi – un respiro a pieni polmoni.
È proprio vero: un tempo così dilatato porta il pensiero verso un sentire nuovo, non di superficie e non pilotato dal trantran imposto da abitudini indotte. Ma è proprio quando la parola “dovere” mi spintona così bruscamente che entro in muta connessione con coloro che in questo frangente si trovano in prima linea a combattere, alternando la speranza ai dubbi o alle certezze di uscire vincitori nel grande gioco della Vita. Una lotta contro il tempo, in cui una giornata lavorativa sembra non avere termine e la propria salute fisica e mentale è costantemente sotto attacco. Ecco gli Eroi dei nostri tempi. Anch’essi angeli in terra che ci assistono e ci proteggono, sfidano la sorte per soccorrere, curare, tutelare, progettare, aiutare tutti gli altri, noi, io, tu. Le spalle mi si incurvano ancora.
Io qui, a casa, libera di essere in modalità di attesa, pronta per la commutazione da stato di inutilizzo temporaneo a modalità operativa. Mi sento molto fortunata. Ringrazio.”.

-Tutto ciò come ha influito sul suo lavoro?
“Il lavoro, ovviamente, oggi non c’è. E non faccio progetti futuri. So che sono nata per cantare. Questo è il mio talento, che metto da sempre sul piatto.”.

-Pensa che nel prossimo futuro sarà lo stesso?
“La portata di questo evento è così straordinaria che nessuno, per il momento, è in grado di azzardare ipotesi al riguardo. Di sicuro dovremo reimpostare le nostre vite, le priorità, cercando di organizzare i primi passi nel Futuro all’insegna della collaborazione senza per forza abbattere o smantellare gli altri”.

-Come riesce a sbarcare il lunario?
Sbarcare il lunario, sinonimo di Tirare avanti la baracca, Riuscire a vivere stentatamente… Perché l’uso di questa espressione nel porre la domanda ad una donna che ha scelto il canto come fonte esclusiva di vita? Quasi una provocazione l’uso di termini tanto crudi, che pur rispecchiano in modo così veritiero il vergognoso degrado in cui Musica – e Arte in genere – sono state fatte volutamente cadere. E noi, i protagonisti, sempre zitti… a rimandare alternative, evitando di far sentire le nostre voci, facendo della sola competizione – nella sua più ampia e arida accezione – il gioco ultimo per sopravvivere”.

-Vive da solo o con qualcuno? E quanto ciò risulta importante?
“Vivo con mio marito. Due caratteri diametralmente opposti. Un magnifico percorso di vita in cui abbiamo condiviso esperienze fantastiche con gli alti e bassi che, ancor prima di nascere, chiediamo alla vita di esperire. Con oltre quarant’anni trascorsi fianco a fianco siamo ben allenati nel vedere istantaneamente l’altro e, quando occorre, aggiustare diplomaticamente (quasi sempre grazie allo humor) piccole mancanze o (spesso miei) atteggiamenti impositivi.  Oggi ci capiamo senza parlare”.

– Pensa che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e   professionali sotto una luce diversa?
“Costruire rapporti umani basati sull’onestà e la trasparenza. È un lavoro che mette in luce le mie parti oscure, lento, duro, fatto di grande attenzione.
Supermercato, carrelli strapieni, brontolii sommessi. Ci si tiene a distanza. L’altro: potrebbe essere lui… Gli occhi e la fronte, uniche parti scoperte e libere dall’impaccio delle mascherine, raccontano, senza sottintesi, vissuti di paure o di solitudine, di nervi a fior di pelle, di disorientamento e smarrimento. In questi contesti, avvicinandoti alle persone, l’avverti. Una sensazione che puoi quasi toccare e, se non sei ben radicato, ti può trascinare in una stanchezza infettiva. Nelle lunghe code d’attesa evito ogni discorso trito e ritrito che possa ricadere sulla gravità del momento mentre vedo, in un’ottica espansa, come i rapporti umani futuri cambieranno per forza di cose. Se non per una precisa scelta personale, ci sentiremo più vicini, più uniti e collegati. I rapporti di lavoro dovranno fondarsi sulla comprensione reciproca e non sullo sfruttamento; sul desiderio innato di dare ciò che siamo veramente. Utopia? No. Semplice realizzazione di ciò che già esiste; senza cercare tanto lontano basta alzare quella sorta di velo che annebbia ancora la vista. Possiamo iniziare ora perché il FUTURO è già oggi. Nel bene e nel male i rapporti umani stanno già cambiando a livello planetario. Non ci siamo già accorti che è possibile entrare in connessione profonda con l’altro anche attraverso la rete? Che i nostri occhi parlano più della voce? Che siamo in maggior misura consapevoli delle piccole azioni quotidiane e delle conseguenze che esse implicano? Ma è ancora presto e ricadiamo ancora nei vecchi schemi, come bambini. Ci vogliono tempo, pazienza, allenamento, ascolto e altro…”.

-Crede che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?
-Se non la musica a cosa ci si può affidare?
“Rispondo con un’unica risposta alle due domande perché le sento strettamente collegate tra loro. Prima però vorrei chiarire un punto cardine del mio sentire. Se il termine Terribile si riferisce alle morti di questi giorni: Sì, la morte appare tanto drammatica agli occhi degli uomini e per la prima volta nella storia dell’umanità paralizza il mondo intero senza discriminazioni; però, l’altro giorno meditavo su quanto fossi stata toccata dallo spazio mediatico conferito alla notizia della scomparsa di un genitore di una pop star. Poco tempo fa è mancata mia madre (ben prima dell’epidemia). Al suo funerale abbiamo pianto ma la sua dipartita è stata alla fine accettata per quello che è: un fatto naturale che prima o poi accade a tutti. Nessuno di noi familiari o amici se l’è presa con la Morte! Possiamo prendercela con la malattia ma non con la morte. Ebbene oggi la visione della Morte è radicalmente cambiata.
Sono consapevole di essere una delle (tante) voci fuori dal coro ma mi ascolti bene: spostiamo nuovamente il nostro punto di vista, sintonizziamoci in un’onda diversa e torniamo a considerare quello che lei definisce un momento terribile. Terribile perché l’unico in grado di farci cambiare uno stile di vita intollerabile sotto tutti i punti di vista? Terribile perché ci obbliga a pensare davvero a come reimpostare le nostre esistenze nel micro e nel macro livello? Terribile perché saremo costretti a correggere la gestione del potere, l’aggressività che abbiamo nel trattare il nostro pianeta, la disparità tra risorse umane e ogni aspetto crudele dell’esistenza che finalmente trova il modo di mostrarsi? Terribile lo è, forse, perché ciascuno è chiamato a scegliere se farne un’opportunità di crescita epocale.
E ora veniamo alla Musica. Ogni pensiero, ogni micro o macro azione, se fatti consapevolmente, possono dare forza al Presente esercitando la creatività, l’immaginazione e la bellezza. E non è forse la musica (ma tutta l’arte della Vita in genere) che ci allena a questo?”

-Quanto c’è di inutile retorica in questi continui richiami all’unità?
“Le rispondo con una domanda: che cosa significa veramente Unità? A chi è riferita?
Oggi siamo veramente uniti? In un futuro lontano – suppongo – capiremo tutti il significato concreto del termine unità. Ma, lo ripeto, già ora, da questo preciso momento in poi possiamo allenarci a praticare l’unità, la vera unità, non il suo contrario. Ecco alcuni sinonimi del termine unità che possiamo applicare costantemente al fare quotidiano: consonanza, armonia, amicizia, unificazione, intesa, solidarietà, affiatamento, gruppi, strutture, elementi, grandezza, unicità… Rifare il letto o promuovere un decreto sono entrambi manifestazioni di consapevolezza responsabile”.

-È soddisfatto di come si stanno muovendo i vari organismi di rappresentanza?
“Se dovessi illustrare su carta i cosiddetti organismi di rappresentanza avrei la bizzarra tentazione di raffigurarli come topolini agitati, cavie di un ennesimo esperimento di Pavlov. Oggi non sono in grado di discernere quali Verità si celino dietro la maggioranza delle scelte politiche tanto discutibili attuate in questi tempi.
Da una parte vedo un grande impegno nel tentativo di contenere una situazione d’emergenza mondiale ma il più delle volte le affermazioni, le parole, le voci, il modo di comunicare, le azioni promosse (in buonafede o malafede non ha importanza) rientrano in una banda di frequenza vibratoria diametralmente opposta alla mia.
Mi sembra ovvio, dovrò fare chiarezza dentro me”.

-Se avesse la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederebbe?
“Chiederei che in questo giro di boa planetario si lasciassero illuminare dal senso di Umanità che sta germogliando a tanti livelli in tante parti del mondo. I futuri possono essere molteplici e siamo tutti chiamati alla collaborazione e all’ascolto.
Chiederei a coloro che dovrebbero rappresentare ciascuno di noi (l’attuale Governo?) di abbandonare sentieri di potere, controllo, mafie e interessi finanziari slegati da un’esistenza trasparente ed equilibrata. Chiederei loro di affidarsi a menti guidate dall’Etica e dalla Giustizia sociale: persone sagge e giovani visionari ricchi di umanità e voglia di costruire. C’è bisogno di un cambio di coscienze a livello mondiale e di conseguenti azioni; qui siamo tutti in ballo”.

-Ha qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
“Assolutamente no. Sono satura di suggerimenti, lezioni, catene di cuoricini, pareri, consigli dall’alto e dal basso. A me stessa dico: Rimani in silenzio. Riposa. Ringrazia per ciò che hai oggi. Abbi fiducia. Niente progetti. Osserva te stessa che si osserva.
Lascio che arrivi la musica che deve arrivare, la notizia che mi chiede di essere letta, il link speciale che mi mette di buon umore… Mi sento come la larva nel bozzolo che attende la metamorfosi. E di tanto in tanto fischietto o canticchio i più bei motivetti. Sono fiera di vivere questo periodo e di portare il mio canto al mondo”.

Il Jazz ai tempi del Coronavirus le nostre interviste: Antonio Onorato, chitarrista e compositore

Intervista raccolta da Marina Tuni

Antonio Onorato – ph Elia Falaschi / Phocus Agency – Udin&Jazz 2016

-Come sta vivendo queste giornate
“È un momento difficile per tutti. Mi sento in una sorta di spazio atemporale. Sto cercando comunque di fare le stesse cose che ho sempre fatto a casa: studiare, esercitarmi con la chitarra, leggere, scrivere. Devo ammettere però che mi risulta più difficile concentrarmi in questo momento di isolamento forzato”.

-Tutto ciò come ha influito sul suo lavoro?
“Ho perso molti concerti e molti soldi in questo periodo. Però ora sto pensando prima di tutto alla salute che è la prima cosa”.

-Pensa che nel prossimo futuro sarà lo stesso?
“Mi auguro che questa emergenza sanitaria rientri al più presto, altrimenti ci saranno molti problemi per i musicisti “on the road” come me, che vivono principalmente con i concerti”.

-Come riesce a sbarcare il lunario?
“In questo momento non potrei sbarcare il lunario. Non ho entrate. Per fortuna ho un po’ di soldi da parte che mi permettono di resistere ancora per un po’ e di non fare la fame”.

-Vive da solo o con qualcuno? E quanto ciò risulta importante?
“Vivo con mio figlio Gabriel che ha 23 anni e studia Economia all’Università. Sua mamma purtroppo è mancata qualche anno fa. Per me è molto importante”.

– Pensa che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e   professionali sotto una luce diversa?
“Me lo auguro. Che sia la buona volta che gli esseri umani imparino ad essere umani. A comprendere che siamo tutti ”Uno”, siamo tutti collegati e tutti sotto lo stesso cielo.  I nativi americani esprimevano tutto ciò con due parole: Mitakuye Oyasin”.

-Crede che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?
“Certo. La Musica incarna la purezza dei sentimenti e la bellezza.  Sto parlando però della Musica e non degli esercizi musicali o la cacofonia che purtroppo ci circonda da anni. Quella serve solo a stordire e a confondere di più la gente.”

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?
“La Musica e l’Arte in generale possono contribuire moltissimo all’evoluzione umana. Educare le persone all’Arte e alla Musica ingentilisce l’animo e sminuisce l’aggressività e la stoltezza umana”.

-Quanto c’è di inutile retorica in questi continui richiami all’unità?
“Molta retorica. L’Unità nell’attuale società sembra un concetto utopistico purtroppo”.

-È soddisfatto di come si stanno muovendo i vari organismi di rappresentanza?
“No… In Germania hanno cominciato ad aiutare gli artisti  con un bonifico di 5000 euro una tantum a fronte di quei miseri 600 euro che ha stanziato il nostro governo e che chissà se poi riusciremo realmente ad avere… Il governo tedesco lo sa benissimo che l’arte è fondamentale e non può essere fanalino di coda come purtroppo accade da troppi anni nella nostra bella Italia… Italia, da sempre terra di grandi artisti, che dovrebbe rappresentare nel mondo l’arte e la bellezza. Che tristezza e che vergogna”.

-Se avesse la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederebbe?
“Una maggiore attenzione rispetto alla categoria a cui appartengo. Il Governo dovrebbe capire che gli artisti hanno bisogno di Mecenati per poter esprimersi al meglio e per poter vivere dignitosamente del proprio ingegno, visto che solitamente non sanno darsi il giusto valore e sono pessimi imprenditori di se stessi. Un tempo i ricchi nobili e i reali hanno sempre foraggiato gli artisti meritevoli, dando loro lavoro e aiutandoli per l’immenso amore  che nutrivano  per l’arte e per la bellezza. Ora che non ci sono più costoro, le istituzioni statali dovrebbero prendere il loro posto e dare lustro agli artisti del nostro paese seguendo però un criterio meritocratico e non clientelare. Il problema è che spesso chi ricopre alte cariche nella pubblica amministrazione non è educato all’arte e alla bellezza e quindi non è in grado di fare la differenza tra un brano di Mozart e un brano di musica leggera del festival di Sanremo”

-Ha qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
“Ascoltate Miles Davis e Mozart”.