Intervista raccolta da Daniela Floris

Tempo di lettura stimato: 6 minuti

Foto di Carlo Mogavero

Intervista raccolta da Daniela Floris

Foto di CARLO MOGAVERO

-Come stai vivendo queste giornate?

Sto vivendo con ansia per quel che riguarda lo sviluppo dell’epidemia, soprattutto per mio figlio che è molto delicato, una volta era proprio autoimmune. Oggi va meglio ma comunque questo momento mi fa paura. Di contro, sono abituato alle emergenze e a vivere nell’oggi, pur pianificando un domani, per cui la “detenzione” che tutti stiamo vivendo non mi disturba più di tanto. Insieme a Francesco abbiamo passato mesi in stanze ospedaliere in isolamento, in condizioni davvero difficili e in regioni in cui non avevamo nessuno. Stare a casa per qualche settimana, con tutti i comfort e la mia musica, sarà più che altro una “vacanza forzata”.

 

-Come ha influito sul tuo lavoro?

Il lavoro ovviamente è un punto critico un po’ per tutti i professionisti che vivono della propria professione, fatta di prestazioni, di progetti. Nel caso mio, sul fronte dei concerti ho perso tutto al momento. Per quel che riguarda invece il lavoro didattico, nel mio caso legato ai due conservatori in cui sto insegnando, stiamo tutti cercando di tamponare con la didattica online, che se sul fronte pratico è sicuramente un surrogato, sul fronte emotivo e relazionale è uno strumento di grande aiuto. È bellissimo potersi collegare e vedere le facce sorridenti dei propri allievi, fare qualche battuta e comunque lavorare. L’essere umano è estremamente adattabile.

 

-Pensi che nel prossimo futuro sarà lo stesso?

Io sono un grandissimo ottimista e chi mi conosce lo sa. Ma sono anche realista. Secondo me ne usciremo del tutto non prima di Natale prossimo. Il che vuol dire che dovremo tutti stringere la cinghia e reinventarci nei limiti del possibile. Hanno paragonato questo momento ad una guerra. Non è proprio così, se pensiamo a tante zone disastrate nel mondo, dove la guerra c’è davvero. Ma che siamo già caduti in crisi che diverrà sempre più profonda è evidente. Io spero che il governo riesca a mantenere salda la nazione, perché il rischio di insorgenza sociale c’è e si fa sempre più evidente.

 

-Come riesci a cavartela senza poter suonare?

Non poter suonare per me è come respirare male, come quando ho il raffreddore allergico e mi viene una specie di asma. In realtà suono moltissimo, ma da solo. Più che altro studio tanto la batteria che è il mio strumento e sto sperimentando alcune possibilità con l’elettronica.

 

-Vivi da solo o con qualcuno?

Vivo con la mia famiglia. Mia moglie Teresa, il mio secondogenito Gianmarco di dodici anni e il mio primogenito Francesco, disabile, carrozzato, che con un semplice raffreddore può andare in crisi respiratoria con l’esigenza dell’ossigeno terapia. Per questo sono molto preoccupato dal virus.


-E quanto ciò risulta importante?

Vivere in compagnia è sempre un esercizio di equilibrio quotidiano. Devi dar conto delle tue azioni ed essere parte attiva di una squadra. La famiglia è questo. Noi per fortuna abbiamo una casa abbastanza grande. Per cui ognuno di noi può usufruire di spazi adeguati e questo è sicuramente un grande vantaggio. A volte penso a quelle famiglie che vivono in piccoli appartamenti e credo che non sia affatto facile mantenere una convivenza serena. Io posso anche allenarmi e correre sul tappeto elettrico. Sono molto fortunato in questo momento.

 

-Pensi che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa?

Credo di sì. Anzi, penso che lo stiamo già facendo. Magari non tutti con consapevolezza, ma anche le persone più superficiali in questo momento storico si stanno ponendo domande e hanno sicuramente adottato approcci nuovi o comunque in via di evoluzione. Io credo che tutta questa storia ci abbia già segnato in maniera indelebile e che avrà costi psicologici elevati nel medio e luongo termine. Ciò contribuirà a cambiare abitudini e metodologie anche nel lavoro. E non è detto che sia una cosa negativa! L’essere umano è estremamente adattabile. (l’ho già detto?)

 

-Credi che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?

Credo che la musica e le arti in generale possano darci la forza di sognare, di guardare oltre.  Vent’anni fa, mentre mio figlio lottava tra la vita e la morte, sottoponendosi a chemio e radioterapie, io e mia moglie abbiamo passato settimane, mesi fuori casa, dandoci il cambio in ospedale e vivendo in appartamenti di fortuna. In quel periodo non potevo suonare, ma continuavo a studiare, progettavo, ascoltavo musica. Il mio bisogno di bellezza mi faceva divorare musica e libri e questa bellezza mi rendeva forte, mi aiutava a concentrarmi su quello che dovevo fare per mio figlio, come un soldato. Esattamente come tutti noi, adesso, sappiamo cosa dobbiamo fare e mentre lo facciamo, possiamo nutrirci del bello che abbiamo attorno. Che è tantissimo. Dobbiamo solo avere la volontà di andarlo a scoprire.

 

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?

C’è chi medita, chi prega. Chi ha un hobby o comunque un grosso interesse per qualcosa, in questo momento può approfittarne per studiare, approfondire. Si può fare tanta ginnastica da soli in casa e senza alcun attrezzo. Ci sono mille cose da fare. Il problema secondo me, è che molta gente non è abituata a crearsi spazi ricreativi. Mi dispiace dirlo, ma spesso mi accorgo che intorno a me ci sono tante persone che non hanno passioni, interessi forti, per l’arte, lo sport, il bricolage. È difficile per un uomo che non ha nessuna relazione con se stesso, rimanere solo con se stesso. Secondo me adesso più che mai si deve provare a focalizzare se stessi in relazione alle passioni. Non lasciarsi annichilire. So che qualcuno potrà incazzarsi per questa mia espressione, ma nonostante tutto siamo in momento di “rinascita”.

 

-Quale tuo progetto è rimasto incastrato in questa emergenza e vuoi segnalare?

Ho due dischi in corso d’opera. Uno che è diventato Omerico, lungo e articolato con tanti ospiti e un’orchestra formata da giovani talenti campani. L’orchestra si chiama “Vesuvian Jazz society” e abbiamo una pagina su facebook. Si tratta di un repertorio di brani del pop internazionale anni ottanta. Mancano ancora alcuni ospiti e poi i missaggi. Però abbiamo realizzato due video molto belli che sono sia sulla pagina che su youtube. Uno è “Calling you” tratto dalla colonna sonora del film Bagdad Cafè e cantato da Beatrice Valente, giovane contrabbassista Napoletana, con il fisarmonicista Carmine Ioanna e il trombettista Gianfranco Campagnoli come ospiti solisti. L’altro è un brano a me molto caro, “Figli delle stelle” di Alan Sorrenti, cantato dal bravissimo Daniele Blaquier, una voce dei Neri Per Caso e con ospiti il caro amico Enzo Anastasio, grandissimo altosassofonista e Maria Barbieri, una giovanissima e bravissima chitarrista Ischitana che sta per pubblicare il suo cd di esordio e nel quale ho suonato pure io.
Tra l’altro “Figli delle stelle” è arrivato alle orecchie di Alan che ci ha regalato un bel video di ringraziamento su Facebook. Poi c’ un secondo disco, praticamente finito, mancherebbe solo il mastering e l’ultimo giorno di studio l’ho effettuato due giorni prima che andasse in funzione il decreto di fermo totale. Nel frattempo qui a casa sto trafficando con un modulo elettronico per la batteria e sto pensando di realizzare una registrazione casalinga da vendere solo in versione digitale su bandcamp. Potrebbe essere pronto entro giugno.

 

-Mi racconti una tua giornata tipo?

Devo ammettere che ci stiamo tutti svegliando un poco più tardi, ma poco eh! Francesco deve prendere diversi medicinali già dalle 7.30, quindi al massimo possiamo sgarrare di venti minuti. Dopodichè mi metto la tuta, prendo le mie medicine e preparo il caffè. Faccio i letti e metto in ordine come tutti i giorni anche in tempi normali. Un po’ di ginnastica a corpo libero e corsetta sul nastro! Doccia e subito si comincia con la batteria. Studio per me o preparo i video per i miei allievi del conservatorio. Si pranza e subito dopo si ricomincia a lavorare. Teresa con le sue video lezioni e io con le mie. Casa nostra sembra un manicomio! Video lezioni finite, mi rimetto a suonare e organizzare video, sia artistici che didattici. “Ed è subito sera” (cit). Devo dire che la giornata passa in un attimo. In questo senso la mia vita non è cambiata affatto.

 

-Se avessi la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederesti?

Domandona. Secondo me questo dramma sta evidenziando quanto il federalismo tanto decantato e voluto da alcuni, non abbia funzionato, creando vuoti e malfunzionamenti istituzionali a tutti i livelli ma soprattutto nella sanità, depauperata e portata a livelli minimi, tanto che oggi ne stiamo pagando le conseguenze, con ospedali che vanno in crisi non appena si supera di poco il surplus di richieste di ricovero. Questo è senz’altro uno dei punti focali su cui rimettersi a lavora nel futuro a brevissimo termine. Poi abbiamo un welfare inefficace se non inesistente e verranno fuori parecchie magagne a livello sociale, perché chi riusciva ancora ancora a galleggiare, oggi, dopo solo un mese di chiusura totale, comincia ad avvertire il colpo. Secondo me è su questi punti che dovrebbe davvero cominciare a lavorare il governo.

 

-Hai qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?

Come sai scrivo tanto su facebook, e spesso ho raccontato le mie esperienze con Francesco che mi hanno segnato, mi hanno cambiato, mi hanno migliorato. Lo faccio per non dimenticare chi sono e anche chi sono stato, ma a volte mi percepisco visto dal di fuori, come uno che “sa sempre come fare” e che vorrebbe spiegare agli altri come comportarsi. E mi rendo conto che forse ai più, questa immagine non sia molto simpatica. In realtà noto che molte persone si lamentano moltissimo ma senza mai fare quel passo decisivo verso un vero cambiamento. Va detto che noi tutti siamo strutturati delle esperienze che viviamo e dal modo in cui le viviamo e approcciamo gli avvenimenti. Per cui, risponderò dicendo che quando Francesco è entrato nella sua prima sala di rianimazione, dopo aver subito un intervento al cervello di circa dieci ore, mi sono chiesto una sola volta “perché a me?” capendo subito che l’autocommiserazione non avrebbe avuto alcuna utilità se non farmi stare male.
Io invece dovevo stare bene, fisicamente e psicologicamente, perché dovevo contribuire col mio misero apporto, a salvare mio figlio.
Facciamo tutti la nostra piccola parte serenamente. Rimaniamo a casa. Passerà.

 

Articoli scelti per te:

Ti è piaciuto l'articolo? Lascia un commento!

Commenti

commenti

Shares