Il Jazz ai tempi del Coronavirus le nostre interviste: Paolo Fresu, trombettista e compositore

Intervista raccolta da Marina Tuni

Paolo Fresu – Foto Luca A. d’Agostino/Phocus Agency © Udin&Jazz 2016

–Come stai vivendo queste giornate?
Tutto sommato bene. Ho la fortuna di avere una casa in collina immersa nel verde e mi ritengo fortunato rispetto a tanti. È un momento in cui dobbiamo sempre pensare a chi sta peggio di noi…
Sto con la famiglia più del solito e non posso non sottolineare il fatto che non ho trascorso un tempo così lungo con loro negli ultimi 40 anni. Inoltre scrivo musica, registro musica, leggo, sento i dischi e seguo con attenzione le istanze del mondo dei lavoratori dello spettacolo che versano in condizioni di estremo disagio. Partecipo ad una miriade di tavoli di discussione su questi tempi e si sta tentando di mettere assieme tutti e di dialogare perché il nostro mondo è molto vasto ed altrettanto sfilacciato.
Dirigo anche le attività della Federazione Nazionale il Jazz Italiano, della quale sono il presidente. Insomma, le giornate al tempo del coronavirus sono più brevi, intense e più impegnate del solito.

-Come ha influito la situazione attuale sul tuo lavoro?.
Quale lavoro? Dal lockdown non c’è lavoro per gli artisti e per l’esercito di coloro che mandano avanti la filiera dello spettacolo! Lavoriamo tanto ma senza introiti. Da parte mia posto tante cose sui social e la cosa mi piace. Ho comprato una scheda audio e mi diverto a registrare da solo o su cose già esistenti e anche a montare video ma questo è un lavoro per l’anima, non per le tasche. Io posso anche permettermi di stare a casa a ‘divertirmi’ e a dare un senso alla mia clausura attraverso la creatività ma per molti è un vero dramma…

-Pensi che nel prossimo futuro sarà lo stesso?
Spero di no e spero si riprenda il prima possibile. Con le ovvie restrizioni. Se non si riprenderà in tempi brevi parte della nostra categoria sarà rasa al suolo e non si rialzerà.
Se ciò avverrà anche lo sforzo che il Governo sta facendo nel riconoscere i 600 Euro mensili sarà uno sforzo inutile. Perché con 600 Euro non si campa se non c’è dell’altro.
Sono fermamente convinto che l’unica musica per evitare lo sfacelo sia quella di sforzarci, tutti e nel rispetto di tutti, a riaprire le attività dello spettacolo (ovviamente non quello dei concerti da stadi e palazzetti dello sport) prima dell’inizio dell’estate. Sarà una tesa di mano verso le imprese culturali e queste potranno ridistribuire economia ai lavoratori che, a loro volta, la distribuiranno sulla socialità. C’è bisogno di arte, di cultura e di musica per alimentare lo spirito.

Come riesci a sbarcare il lunario in questo periodo?
Personalmente vivo con quello che avevo messo da parte prima. L’unico introito possibile, seppure minimo, può essere la monetizzazione della rete ma non basta a giustificare il lavoro e l’impegno profuso. Viviamo di ciò che suoniamo con il nostro strumento per gli altri. Se lo facciamo solo per noi stessi ciò ci riempie solo l’anima pur alimentando lo spirito.
Anche le attività della mia etichetta discografica in questo momento sono quasi ferme e abbiamo deciso di pubblicare per ora i dischi futuri solo sulla rete. L’unico lavoro fisico è “2re-Wanderlust” perché era già in stampa ma i negozi di dischi sono chiusi. In compenso riaprono le librerie… Speriamo nella prossima Siae semestrale e molti artisti sperano in un aiuto sia da parte della Siae che di Nuova Imaie e ItsRight per i diritti connessi. Alcuni altri invece riescono a prendere i 600 Euro dallo Stato ma purtroppo non tutti, solo quelli che nel 2019 hanno maturato almeno 30 prestazioni professionali. Cosa impossibile per molti lavoratori del nostro mondo.

-Vivi da solo o con qualcuno? E quanto ciò risulta importante in questo delicato momento?
Ho la grande fortuna di vivere con una bella famiglia unita. Con mia moglie e mio figlio, che ha dodici anni e suona la batteria e ama i Beatles. Credo sia la più grande fortuna in questo momento. Perché ci si scambia il piacere delle piccole cose e si limano i piccoli contrasti. Come regalo per il suo compleanno avevo comprato tre biglietti per andare a sentire Paul McCartney a Napoli il 10 giugno. Ci riconosceranno un voucher da spendere in 12/16 mesi ma non voglio cambiare i biglietti di McCartney per un altro artista…
La musica non è un supermercato dove se non c’è la carta igienica di una certa marca ne compri un’altra…

-Pensi che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa?
Assolutamente si. Lo spero vivamente…

-Credi che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?
Già lo sta facendo. Peccato che continui ad essere poco considerato il suo valore e il suo senso nella società. Soprattutto nella fase di ricostruzione e di riapertura. Si sta dando valore alla rete e allo streaming ma, in tutta sincerità, spero non sia il futuro della musica perché questa va vista, sentita e respirata con gli altri. Sono cosciente che la rete e lo streaming possono diventare dei nuovi strumenti di lavoro e di introito – soprattutto ora – ma è altrettanto necessario che ci sia una attenzione etica e una legislazione adeguata perché altrimenti usciremo dal tempo del coronavuirus con un messaggio sbagliato: quello che la musica può arrivare nelle nostre case a costo zero annichilendone il senso e non comprendendo che dietro c’è una filiera enorme che investe e che contribuisce al PIL del nostro Paese. Inoltre ciò che si fa in rete deve essere di assoluta qualità e questo non avviene sempre. Non si può assistere a un concerto in rete senza quelle modalità e quelle attenzioni che riversiamo nella performance dal vivo perché la macchina  dello spettacolo, qualsiasi questa sia, ha delle regole e delle esigenze costruite in anni e anni di lavoro.
Il coronavirus non può distruggere quello che abbiamo faticosamente costruito con le nostre vite, con il nostro impegno e con la grande passione che ci anima.

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?
Ognuno si affida a ciò in cui crede. Ci si affida a noi stessi, ci si affida altri altri, ci si affida a un Dio. A un fiore che sboccia in queste giornate di primavera intensa. Ciò è un segnale importante perché qualsiasi segnale dovrebbe portarci a riflettere e a considerarlo non solo un segnale ma un monito.

-Quanto c’è di retorica in questi continui richiami all’unità?
Non ho idea e non mi interessa. Tutto può essere retorico e tutto può essere giusto. Dipende solo da noi. Dalla nostra capacità introspettiva di guardare dentro di noi e allo stesso tempo di guardare gli altri. Ben venga il concetto di unità, ad esempio, se questa è sentita ed è vera. Ben venga tutto ciò che è vero se lo è veramente…

-Sei soddisfatto di come si stanno muovendo i vari organismi di rappresentanza?
Purtroppo no. Riconosco il grande sforzo che si sta facendo ma c’è molta confusione e la tesa di mano non è sufficiente. Si sta ad ascoltare molto le esigenze di alcuni ma non di tutti. Il mondo della cultura e delle spettacolo ad esempio è il primo ad essere stato chiuso e non si sa quando ripartirà ma intanto si riaprono le spiagge (e ne sono felice come tutti) come se in queste non ci siano gli stessi problemi di assembramento come in un piccolo concerto. Pur comprendendo il bisogno del nostro Governo di stare a sentire soprattutto la parte legata alla sanità e nel rispetto dei troppi morti questa non è oggi l’unica priorità. Se non si affrontano tutti gli argomenti e non si sta a sentire le istanze e i consigli di tutti, i morti sul campo saranno molti di più.

-Se avessi la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederesti?
Un sacco di cose. Troppe da poterle riportare in questa intervista… E avrei un sacco di idee. Anzi, ho un sacco di idee da proporre. E non solo io…

-Hai qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
Resistete. Resistiamo. Tutti assieme ce la faremo… Retorica?

Il Jazz ai tempi del Coronavirus le nostre interviste: Rita Marcotulli, pianista e compositrice

Intervista raccolta da Marina Tuni

Rita Marcotulli, pianista e compositrice – ph Luca d’Agostino – Udin&Jazz 2014

–Come stai vivendo queste giornate?
Vivendo in campagna, chiaramente, non ho le problematiche delle persone che vivono in città, non ho quel senso di claustrofobia, di chiusura, quindi mi ritengo fortunata, faccio la casalinga, faccio di tutto, pulisco, faccio la giardiniera, cucino e devo dire che mi piace! In realtà suono molto poco proprio perché in questo momento sospeso – e lo è in tutto il mondo – tutto sommato sto riscoprendo delle cose che non faccio mai, per cui anche nelle attività più semplici trovo un piacere; peraltro, sai, per noi che viviamo quasi sempre fuori, girando e viaggiando in continuazione, devo dire che non mi capitava forse da 35 anni di rimanere a casa per più di un mese! Quindi me lo sto godendo così, essendo di  indole positiva cerco di trovare anche nella situazione più tragica qualcosa di buono. Questo stato ti fa riflettere, alla fine devo dire che tutto sommato la sto vivendo abbastanza bene, sono tranquilla in questo momento.

-Come ha influito la situazione attuale sul tuo lavoro e  pensi che in futuro sarà lo stesso.
Come riesci a sbarcare il lunario in questo periodo?
Il nostro settore è stato quello più penalizzato, siamo stati i primi a smettere di suonare e saremo gli ultimi a riprendere. La situazione economica è abbastanza disastrosa, nel senso che siamo tutti senza lavoro e non sappiamo quando ricominceremo. Io, fortunatamente, ho messo da parte un po’ di risparmi e quindi sto vivendo con quelli, però è tutto un’incognita; se il lavoro non riparte saremo in grande difficoltà. Comunque, in questo momento sto facendo un film, per cui a casa, per fortuna, un pochino lavoricchio, tuttavia siamo tutti sulla stessa barca. Sai, qui mi sono creata un orticello, ho le mie zucchine, i pomodori e poi devo dire che se uno sta a casa spende molto poco, quindi stiamo molto attenti e utilizziamo i soldi per fare la spesa, quel minimo indispensabile. Siamo tutti nelle mani di Dio e non sappiamo come andrà a finire questa cosa… non si possono fare previsioni certe, solo supposizioni, dobbiamo trovare la forza in noi, credere che finirà presto e che troveremo il modo di farcela.

-Vivi da sola o con qualcuno? E quanto ciò risulta importante in questo delicato momento?
È molto importante avere qualcuno in casa, penso a tante amiche e a tutte quelle persone che vivono da sole… Io in questa situazione mi sento un po’ orsacchiotta, nel senso che ci si abitua a tutto e quindi alla fine anche la solitudine ha un suo perché… cioè, io non sono da sola, ho mio marito, mia figlia, tre cani, due gatti e mi fanno tanta compagnia, dunque non sento così tanto la solitudine… Quello che mi manca sono le amiche, le persone care. Mi chiedo, però, “sarò pronta a rivederle?”; anche qui avverto questo stato di sospensione, ormai sono più di quaranta giorni che siamo isolati e quindi c’è una strana percezione…

-Pensi che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa?
Indubbiamente! A volte ho come la sensazione di stare vivendo in una fiaba, nel bel mezzo di un sortilegio per cui ti ritrovi bloccata oppure in un film di fantascienza, dove c’è qualcuno che ti ha messo alla prova. La cosa certa è che non dobbiamo mai dare niente per scontato, perché in realtà niente lo è mai, nel senso che è la vita stessa a non essere scontata, tutto può cambiare e trasformarsi da un momento all’altro. L’insegnamento è che dobbiamo “vivere”… anche adesso. Ci lamentiamo di dover stare in casa ma io ho degli amici, anche molto cari, che hanno perso una parte della famiglia, delle situazioni veramente disastrose… c’è gente che vive al Nord che sente solo ambulanze e campane che suonano a morto. Io mi ritengo fortunata anche per questo, perché noi stiamo vivendo tutt’altra situazione. La vita ci porta continuamente a pensare ed io cerco di imparare a vivere nel presente… viviamo adesso, in questo momento, e cerchiamo di godere delle cose belle senza troppo scervellarsi, anche quando la mente va… e pensi… pensi… pensi… fai supposizioni… “come sarà, come non sarà?”. Questa agitazione, quest’ansia, questa paura alla fine è la paura di un pensiero, che però non è certo, nel senso che nessuno può sapere come andrà, quindi secondo me bisogna vivere un po’ con filosofia, per riuscire a godere anche di questo momento di attesa fermandosi un attimo, per leggere un libro, per provare a ritrovarsi con sé stessi, per guardare un bel tramonto.

-Credi che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?
Assolutamente! Non potrei immaginare un momento così tragico senza bellezza, la musica così come l’arte; soprattutto, penso che la musica sia terapeutica. Ho visto che in qualche ospedale, al Nord, a Brescia, hanno donato un pianoforte e un medico lo suonava dicendo che quella era energia… Io credo di capire che cosa significhi lavorare in un ospedale come quello, dove c’è così tanta tensione, dove il malato ha bisogno di energia e il personale sanitario deve cercare di trasmettergliela… e dove possono trovarla se non attraverso un momento di leggerezza, che sicuramente la musica ti può dare? Quindi cercano di lavorare con la musica, di condividerla, di cantare e questo, secondo me, aiuta, può contribuire anche ad alzare le difese immunitarie, in questo momento anche questo può aiutare e l’unica cosa che possiamo fare è tirare fuori quello spirito, quella forza, quel coraggio e anche, se possibile, un po’ di allegria… abbatterci e criticare non serve a niente.
Abbiamo sentito di complotti cinesi, americani e via discorrendo ma sono tutte supposizioni. Certo, tutto può essere, però non ci serve saperlo in questo momento, ora è importante rendersi conto che siamo tutti sulla stessa barca e io sono d’accordo con Mattarella quando dice che ci vuole l’unità. Siamo tutti esseri umani, gli errori si fanno, si sa, l’Italia è un paese contraddittorio… abbiamo delle qualità meravigliose ma poi… “siamo italiani” e c’è sempre qualcosa che non va, che non funziona… è proprio il nostro modo di essere. Siamo tutti così e quindi, in questo senso, potrebbe essere una rinascita in meglio, capire, vedere, riflettere e soprattutto metterci in discussione, insomma… smettere di criticare questo o quello…

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?
Al buon senso, ovvero al senso della vita e al modo in cui ti rapporti con essa… alla beatitudine di vivere. In questo momento di grande incertezza è l’unica cosa alla quale ci si può appigliare.

-Quanto c’è di retorica in questi continui richiami all’unità?
Non so se ci sia retorica… io vedo che c’è sempre gente che continua a lamentarsi, che critica e basta. È un po’ quello che ti dicevo prima… ora serve forza, unione, comprensione per uscire da tutto questo. Bisogna essere uniti, non ci serve adesso questo continuo contraddittorio. Io paragono questo momento al dopoguerra e questo dovrebbe farci riflettere.

-Sei soddisfatto di come si stanno muovendo i vari organismi di rappresentanza?
Se intendi quelli legati alla nostra categoria, beh, credo che per la prima volta si sia compreso veramente che dobbiamo essere uniti. È solo con l’unione e con la partecipazione che riusciremo a fare qualcosa: non è utile a nessuno criticare senza far seguire il  “fare”. Bisogna provarci! Poi, è ovvio, siamo esseri umani e lo sbaglio è sempre dietro l’angolo ma se c’è il desiderio e la voglia è proprio questo il momento in cui possiamo ritrovarci. Certo, le teste sono tante e non è mai facile riuscire a mettere tutti d’accordo, però se uno si prefigge un obiettivo, perché non contribuire per portarlo tutti insieme a termine?

-Se avessi la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederesti?
Mah… il nostro settore è sempre stato tra i più penalizzati perché la musica, soprattutto, non è mai stata considerata un lavoro. Ho letto di recente un’intervista a Francesco De Gregori che parlava della visione che parecchi hanno in Italia dei musicisti:  “Mi capita di andare a una festa e sentirmi dire ‘dai, perché non ci canti una canzoncina?’. Nessuno nella stessa situazione chiederebbe a un dentista di levargli un dente”.
La musica è un lavoro e nessuno si rende conto di quanta disciplina occorra per riuscire a suonare a certi livelli… non basta una vita, è una missione. Si studia per sette, otto ore al giorno, ci vuole un tale impegno… non puoi permetterti svogliatezza. Chi non lo comprende ignora qual è la vita di un musicista, specialmente se professionista.
Io suono da quando avevo 16 anni, penso si possa immaginare la fatica che ho fatto per avere dei frutti da questo mio lavoro di tutta una vita…
Negli altri paesi europei, in Francia, ad esempio, ci sono altri sistemi, altri parametri, hanno un’altra organizzazione, anche fiscale; è tutto più trasparente, i musicisti prendono millecinquecento euro al mese; certo pagano tante tasse e devono suonare un certo numero di ore ma, una volta fatte, hanno un supporto economico. So che magari non sarebbe giusto fare certi confronti perché alcuni paesi sono magari più ricchi ma in Germania, in questo particolare momento hanno ricevuto cinquemila euro… noi non abbiamo niente, zero, zero, zero… Io non sto prendendo niente e mi sento fortunata perché ho qualche risparmio, altrimenti non saprei come vivere. Si, i seicento euro, ma non so nemmeno se ci rientreremo, al momento a me non è arrivato niente. Comunque, seicento euro ti servono solo per mangiare, non ti bastano neppure per pagare le bollette…
Però mi rendo conto che siamo in uno stato di emergenza e che il nostro Stato deve fare i conti con il debito pubblico, sono cose che vanno valutate e se hai un minimo di coscienza devi tenerlo in considerazione. Ci vorrebbe un’organizzazione diversa ma anche l’onestà di tutti i cittadini… gli italiani  dovrebbero cambiare testa…
Ti faccio un esempio, il mio compagno veniva qui da me in vacanza e in quel periodo non lavorava. Avrebbe comunque avuto diritto ad un sussidio dal suo Stato ma non lo prendeva, non si sarebbe mai permesso di prenderlo. Lo Stato è al tuo servizio, se ti serve qualcosa è presente ma lo è anche perché tu paghi regolarmente. È tutto chiaro e cristallino.
Qui ci sono altri parametri, per noi lo Stato è sempre lì per fregarci invece che tutelarci. È proprio un atteggiamento mentale che andrebbe cambiato e io spero che quello che stiamo vivendo ora possa servire anche perché ciò avvenga, io me lo auguro.

-Hai qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
Dipende sempre dagli stati d’animo. Se ho voglia di mare e di estate ascolto sempre Elis Regina che mi porta in Brasile, nella musica melodica e armonica, come in “Essa Mulher”, un album che ho consumato, oppure Jobim con Elis regina (“Elis & Tom” N.d.A); mi piace molto João Gilberto, amo molto la musica brasiliana. Ascolto anche pop, Björk, ad esempio. Poi  Miles, Keith Jarrett… tutta la musica! In realtà non ti saprei dare un suggerimento più preciso, dipende dal mio stato d’animo. L’altra mattina ascoltavo Béla Bartók, “Allegro barbaro”… Ora sto scrivendo la musica per un film, quindi mi metto lì e compongo… Io consiglio comunque di ascoltare tanta musica, che sia classica, jazz, pop, indiana… insomma, andate a curiosare!

I nostri libri

Prima di passare alla presentazione di quattro volumi, vorrei rispondere ad alcuni amici che mi chiedono perché le rubriche dedicate ai libri escono così di rado. La risposta è molto semplice: ascoltare un disco occupa due, tre ore. Leggere un libro, con la dovuta attenzione, molto di più.

Aldo Gianolio – “Il trombonista innamorato e Altre storie di jazz” – Robin Edizioni – pgg. 280, € 18,00
E’ possibile parlare seriamente di jazz ma inducendo il lettore ad un sorriso tanto più prezioso in questo momento storico così terribile? Certo è difficile, molto difficile, ma ci si può riuscire a patto che siano rispettate determinate condizioni: che lo scrittore sia veramente tale e cioè che sappia padroneggiare altrettanto bene la materia trattata (il jazz) e la lingua italiana; che lo stile narrativo sia piano ma non banale sì da condurre il lettore in una dimensione diversa dalla realtà ma del tutto credibile; che tutta l’opera sia pervasa da un sottile umorismo di fondo. Ebbene tutte queste caratteristiche le trovate appieno nel libro in oggetto, grazie alla competenza di Aldo Gianolio critico ben noto e apprezzato negli ambienti jazzistici.
Il volume si articola attraverso quaranta ritratti di jazzisti più o meno noti, in rigoroso ordine alfabetico, partendo da Cannonball Adderley per chiudere con Lester Young. In realtà molti di questi ritratti li avevamo già letti nel precedente libro dello stesso Gianolio, “A Duke Ellington non piaceva Hitchcock”, per cui “Trombonista innamorato” si presenta come una riedizione ampliata del precedente volume. L’impianto narrativo rimane ovviamente lo stesso: le storie sono raccontate dal musicologo John Ferro, in perenne polemica diretta con Bill Olsen, “biondino saccente della nuova critica di Chicago” ma più in generale con tutti gli altri critici di jazz.
Così Gianolio, attraverso Ferro, ci introduce nel mondo del jazz parlandoci, contemporaneamente della cultura afroamericana, dei locali dove si esibiscono i musicisti e le città americane dov’è nato e cresciuto il jazz.
Tutti e quaranta i ritratti sono godibili; personalmente ho molto apprezzato la descrizione della tempesta di sabbia che si è abbattuta sulla corriera di Fletcher Henderson e la descrizione del concerto alla Massey Hall di Toronto il 15 maggio 1953.
Comunque per chiudere preferisco soffermarmi su quello che dà il titolo al libro: il trombonista innamorato è un tale Alexander Balos “Williams, detto “Sandy” (1906-1991) il quale è divorato dalla passione per una donna, l’avvenente Magnolia. Nonostante il padre di lei l’abbia promessa in sposa a un facoltoso tabaccaio di Boston, il trombonista riesce comunque ad incontrare l’amata, a conquistarla tanto da fare l’amore “per quattro ore difilate senza risparmiarsi, dimagrendo ognuno come minimo due chili”.
Il libro è corredato da disegni assai gustosi dello stesso autore.

Maxine Gordon – “Dexter Gordon” – EDT/Siena Jazz – Traduttore: Francesco Martinelli – pgg. 320, € 22,00
Dexter Gordon è stato uno dei più grandi sassofonisti che abbiano attraversato la storia del jazz, personaggio assolutamente unico e non solo per la sua musica; un solo dato per lumeggiare al meglio quanto precedentemente detto: Gordon è l’unico jazzista che sia stato candidato all’Oscar come attore protagonista in “Round Midnight – A mezzanotte circa” il celebre film del 1986 diretto da Bertrand Tavernier, che vinse l’oscar per la migliore colonna sonora firmata da Herbie Hancock; sempre per la sua performance nel film Gordon vinse nel 1987 il premio Donatello quale miglior artista straniero. E ancora non è un caso se per tutto il 2013, in occasione dei novant’anni dalla sua nascita, venne celebrato in varie parti del mondo, dalla Danimarca agli Stati Uniti, dalla Francia alla Svezia, e così via.
Le complesse vicende che hanno accompagnato la vita artistica e umana del celebre sassofonista sono perfettamente lumeggiate in questo libro che, nato come una autobiografia, è stato poi ultimato dalla moglie Maxine e presentato in italiano con la sempre puntuale e competente traduzione di Francesco Martinelli.
Ciò premesso, bisogna dire che la lettura del libro è una vera gioia per chi ama il jazz e ancora di più per quanti ben conoscono l’arte di Dexter il quale viene a ragione considerato da un lato il musicista che ha portato il linguaggio del bebop sul sax tenore e dall’altro uno dei simboli del cool jazz.
Il libro prende le mosse da quel 1987 quando a Gordon venne l’idea di scrivere la sua biografia, impresa che avrebbe voluto affrontare con James Baldwin purtroppo scomparso nel dicembre di quello stesso anno. Gordon cominciò quindi a scrivere coadiuvato dalla moglie con l’intento di raccontare non solo la sua di storia ma anche “la storia della cultura dei musicisti di jazz più creativi, la storia dell’amore per James Baldwin e per altri brillanti scrittori, la storia del modo in cui l’America accoglieva e allo stesso tempo respingeva persone di colore tra le più intelligenti e creative”. Obiettivo raggiunto? Assolutamente sì.
Il fatto è che seguire la vita di Gordon è come vedersi scorrere dinnanzi agli occhi la storia stessa della musica jazz con le sue mille sfaccettature. Di qui l’affrontare due delle tematiche più importanti nella vita dei jazzisti afro-americani, la droga e l’emigrazione. Dexter cadde nelle spirali della tossicodipendenza per tutti gli anni ’50, essendo stato arrestato per la prima volta nel 1946 cui fece seguito due anni dopo la prima detenzione. E poi per tutti gli anni ’50 la scomparsa dai palcoscenici e il tentativo finalmente riuscito di liberarsi dalla scimmia. Nei primi anni ’60 l’altra svolta nella vita e nella carriera di Dexter: la voglia di lasciare gli States per trasferirsi in Europa, così come avevano fatto molti altri jazzisti. E nel vecchio Continente Gordon ottiene il successo che merita tano da ritornare a New York quattordici anni dopo accolto finalmente come una star.
Insomma una lettura allo stesso tempo interessante per quanto ci svela della vita di Gordon… e non solo, e piacevole per lo stile adoperato sempre coerente e soprattutto sempre lontano da qualsivoglia esercizio retorico.

Guido Michelone – “Musica e politica – Il ventennio che ha cambiato il mondo 1958-1978” – Melville Edizioni – pgg.300, € 19,90
Uno dei parametri per valutare la valenza di una pubblicazione è la quantità di informazioni che ci viene veicolata e il modo in cui le stesse sono articolate all’interno di un quadro coerente e ben strutturato.
Ecco, da questo punto di vista, il nuovo volume di Guido Michelone risponde appieno a chi dalla lettura di un volume si attende quanto sopra detto.
Se poi il lettore è stato egli stesso testimone degli avvenimenti narrati, ecco che il piacere della lettura si moltiplica…ed è quanto accaduto al vostro recensore che di quegli anni è stato testimone non sempre passivo.
In effetti il volume si occupa del rapporto tra musica e politica nell’arco temporale che va dal 1958 al 1978. Venti anni che sono stati determinanti non solo per la musica ma per il pianeta nella sua interezza. Ovviamente tutto questo si è riflesso con particolare virulenza sul nostro Paese che ha dovuto attraversare momenti davvero difficili e complicati.
Comunque, come accennato, il libro prende in esame soprattutto il rapporto tra politica e musica: la prima influenza la musica fra utopie, speranze, disillusioni, mentre la musica s’ispira alla politica nel costruire il presente e il futuro, senza perdere alcunché dell’identità comunicativa e del fascino spettacolare. La genesi del volume è illustrata dallo stesso autore laddove spiega che il libro “nasce da una serie di articoli pubblicati su quotidiani e riviste, nel corso degli ultimi anni: brevi saggi attraverso 29 leader carismatici che, in maniere spesso tra loro diversissime, simboleggiano un ventennio definibile rosso”. Ecco dunque sfilare sotto i nostri occhi, anno per anno, musicisti straordinari come, iniziando dal 1958, Gianni Coscia, Luciano Berio, John Cage…accanto a leader politici come Fidel Castro, Kennedy, Che Guevara…e via di questo passo fino all’ultimo anno preso in considerazione, il 1978, con tutte le drammatiche vicende che l’hanno purtroppo caratterizzato (su tutti rapimento e assassinio di Aldo Moro).
Per meglio lumeggiare il rapporto tra musica e politica, per ogni capitolo l’autore indica una serie di musiche (album o singoli pezzi) da ascoltare costruendo così un percorso musicale di grande interesse. Il volume è corredato da una ricca bibliografia mentre, personalmente, avrei molto gradito anche un indice analitico.
Insomma una lettura ed un ascolto che possono farci rivivere emozioni magari sepolte da uno spesso strato di nostalgia.

Luigi Onori – “PERIGEO Una storia tra innovazione e sperimentazione” – Stampa Alternativa – pgg. 125 € 14,00
Il mondo del jazz italiano conosce bene e apprezza le doti di Luigi Onori, del prof. Luigi Onori, quale critico e saggista informato e puntuale. Personalmente frequento Luigi da qualche decennio e non a caso mi onoro di annoverarlo tra i collaboratori del blog su cui state leggendo queste righe. Insomma non ci voleva certo questo volume per determinare ciò che penso di Onori, ma dal momento che adesso parliamo di libri diciamo subito che la storia del Perigeo, così come ci viene presentata in questa occasione, conserva intatta quella carica di prorompente novità che accompagnò la sua comparsa nel panorama musicale non solo italiano.
Siamo nei primissimi anni ’70, quindi almeno in parte lo stesso periodo analizzato da Michelone nel libro di cui sopra; esce il primo volume del Perigeo e Onori riesce ad inquadrare perfettamente il clima in cui si colloca questo album, un’atmosfera non del tutto favorevole a queste innovazioni che avrebbero collocato Tommaso e compagni tra i pionieri del jazz-rock italiano. Ecco quindi le stroncature da parte di personaggi da tutti considerati tra i massimi conoscitori del jazz confrontarsi con le opinioni di chi, viceversa, vede nel Perigeo il germe di una nuova musica molto più coerente e adatta al tempo che si vive. Ecco affermarsi l’ideologia dell’autoriduzione e della musica gratuita per tutti, fonte di grandi contrasti ideologici. Ecco, quindi le masse giovanili che accorrono ai concerti del gruppo, ecco un grandissimo come Joe Zawinul preoccupato del fatto di avere come spalla ad un concerto dei suoi Weather Report proprio il Perigeo. E chi scrive ricorda perfettamente quel periodo e di aver accolto immediatamente con grande favore quella nuova musica anche perché pochi anni prima – nel 1969 – avevo ascoltato Miles Davis presentare a Juan Les Pin alcuni brani della sua nuova straordinaria creatura “Bitches Brew”, “scintilla scatenante” – come ricorda Giovanni Tommaso – per la nascita e lo sviluppo del Perigeo.
Tutti questi elementi li ritroviamo nel libro di Onori che racconta la storia del gruppo con quello stile asciutto, piano, che gli è congeniale, facendo parlare spesso i diretti interessati, vale a dire i componenti del gruppo. Così il volume si apre tracciando una biografia dei singoli componenti: Giovanni Tommaso, Franco D’Andrea, Bruno Biriaco, Claudio Fasoli di estrazione jazzistica e Tony Sidney chitarrista di formazione classica ma presto trasferitosi nel campo del rock.
Nel secondo capitolo si analizza la nascita e la crescita del gruppo per ricostruire la storia “genealogica” del Perigeo; nel terzo si analizzano le registrazioni in studio e quelle dal vivo; nel quarto e ultimo capitolo una lunga intervista con Giovanni Tommaso, anima fondativa del gruppo.
Particolarmente interessante il capitolo in cui vengono analizzate le registrazioni del gruppo anche se per una più corretta fruizione è indispensabile accompagnare la lettura del testo con l’ascolto della relativa musica.
Il volume è corredato da una esaustiva bibliografia e da un sempre utilissimo indice dei nomi. Un’ultima notazione cui ricorro spesso: perché mettere le note a fine volume e non a pié di pagina come si faceva una volta?