Intervista raccolta da Marina Tuni

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Intervista raccolta da Marina Tuni

Paolo Fresu – Foto Luca A. d’Agostino/Phocus Agency © Udin&Jazz 2016

–Come stai vivendo queste giornate?
Tutto sommato bene. Ho la fortuna di avere una casa in collina immersa nel verde e mi ritengo fortunato rispetto a tanti. È un momento in cui dobbiamo sempre pensare a chi sta peggio di noi…
Sto con la famiglia più del solito e non posso non sottolineare il fatto che non ho trascorso un tempo così lungo con loro negli ultimi 40 anni. Inoltre scrivo musica, registro musica, leggo, sento i dischi e seguo con attenzione le istanze del mondo dei lavoratori dello spettacolo che versano in condizioni di estremo disagio. Partecipo ad una miriade di tavoli di discussione su questi tempi e si sta tentando di mettere assieme tutti e di dialogare perché il nostro mondo è molto vasto ed altrettanto sfilacciato.
Dirigo anche le attività della Federazione Nazionale il Jazz Italiano, della quale sono il presidente. Insomma, le giornate al tempo del coronavirus sono più brevi, intense e più impegnate del solito.

-Come ha influito la situazione attuale sul tuo lavoro?.
Quale lavoro? Dal lockdown non c’è lavoro per gli artisti e per l’esercito di coloro che mandano avanti la filiera dello spettacolo! Lavoriamo tanto ma senza introiti. Da parte mia posto tante cose sui social e la cosa mi piace. Ho comprato una scheda audio e mi diverto a registrare da solo o su cose già esistenti e anche a montare video ma questo è un lavoro per l’anima, non per le tasche. Io posso anche permettermi di stare a casa a ‘divertirmi’ e a dare un senso alla mia clausura attraverso la creatività ma per molti è un vero dramma…

-Pensi che nel prossimo futuro sarà lo stesso?
Spero di no e spero si riprenda il prima possibile. Con le ovvie restrizioni. Se non si riprenderà in tempi brevi parte della nostra categoria sarà rasa al suolo e non si rialzerà.
Se ciò avverrà anche lo sforzo che il Governo sta facendo nel riconoscere i 600 Euro mensili sarà uno sforzo inutile. Perché con 600 Euro non si campa se non c’è dell’altro.
Sono fermamente convinto che l’unica musica per evitare lo sfacelo sia quella di sforzarci, tutti e nel rispetto di tutti, a riaprire le attività dello spettacolo (ovviamente non quello dei concerti da stadi e palazzetti dello sport) prima dell’inizio dell’estate. Sarà una tesa di mano verso le imprese culturali e queste potranno ridistribuire economia ai lavoratori che, a loro volta, la distribuiranno sulla socialità. C’è bisogno di arte, di cultura e di musica per alimentare lo spirito.

Come riesci a sbarcare il lunario in questo periodo?
Personalmente vivo con quello che avevo messo da parte prima. L’unico introito possibile, seppure minimo, può essere la monetizzazione della rete ma non basta a giustificare il lavoro e l’impegno profuso. Viviamo di ciò che suoniamo con il nostro strumento per gli altri. Se lo facciamo solo per noi stessi ciò ci riempie solo l’anima pur alimentando lo spirito.
Anche le attività della mia etichetta discografica in questo momento sono quasi ferme e abbiamo deciso di pubblicare per ora i dischi futuri solo sulla rete. L’unico lavoro fisico è “2re-Wanderlust” perché era già in stampa ma i negozi di dischi sono chiusi. In compenso riaprono le librerie… Speriamo nella prossima Siae semestrale e molti artisti sperano in un aiuto sia da parte della Siae che di Nuova Imaie e ItsRight per i diritti connessi. Alcuni altri invece riescono a prendere i 600 Euro dallo Stato ma purtroppo non tutti, solo quelli che nel 2019 hanno maturato almeno 30 prestazioni professionali. Cosa impossibile per molti lavoratori del nostro mondo.

-Vivi da solo o con qualcuno? E quanto ciò risulta importante in questo delicato momento?
Ho la grande fortuna di vivere con una bella famiglia unita. Con mia moglie e mio figlio, che ha dodici anni e suona la batteria e ama i Beatles. Credo sia la più grande fortuna in questo momento. Perché ci si scambia il piacere delle piccole cose e si limano i piccoli contrasti. Come regalo per il suo compleanno avevo comprato tre biglietti per andare a sentire Paul McCartney a Napoli il 10 giugno. Ci riconosceranno un voucher da spendere in 12/16 mesi ma non voglio cambiare i biglietti di McCartney per un altro artista…
La musica non è un supermercato dove se non c’è la carta igienica di una certa marca ne compri un’altra…

-Pensi che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa?
Assolutamente si. Lo spero vivamente…

-Credi che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?
Già lo sta facendo. Peccato che continui ad essere poco considerato il suo valore e il suo senso nella società. Soprattutto nella fase di ricostruzione e di riapertura. Si sta dando valore alla rete e allo streaming ma, in tutta sincerità, spero non sia il futuro della musica perché questa va vista, sentita e respirata con gli altri. Sono cosciente che la rete e lo streaming possono diventare dei nuovi strumenti di lavoro e di introito – soprattutto ora – ma è altrettanto necessario che ci sia una attenzione etica e una legislazione adeguata perché altrimenti usciremo dal tempo del coronavuirus con un messaggio sbagliato: quello che la musica può arrivare nelle nostre case a costo zero annichilendone il senso e non comprendendo che dietro c’è una filiera enorme che investe e che contribuisce al PIL del nostro Paese. Inoltre ciò che si fa in rete deve essere di assoluta qualità e questo non avviene sempre. Non si può assistere a un concerto in rete senza quelle modalità e quelle attenzioni che riversiamo nella performance dal vivo perché la macchina  dello spettacolo, qualsiasi questa sia, ha delle regole e delle esigenze costruite in anni e anni di lavoro.
Il coronavirus non può distruggere quello che abbiamo faticosamente costruito con le nostre vite, con il nostro impegno e con la grande passione che ci anima.

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?
Ognuno si affida a ciò in cui crede. Ci si affida a noi stessi, ci si affida altri altri, ci si affida a un Dio. A un fiore che sboccia in queste giornate di primavera intensa. Ciò è un segnale importante perché qualsiasi segnale dovrebbe portarci a riflettere e a considerarlo non solo un segnale ma un monito.

-Quanto c’è di retorica in questi continui richiami all’unità?
Non ho idea e non mi interessa. Tutto può essere retorico e tutto può essere giusto. Dipende solo da noi. Dalla nostra capacità introspettiva di guardare dentro di noi e allo stesso tempo di guardare gli altri. Ben venga il concetto di unità, ad esempio, se questa è sentita ed è vera. Ben venga tutto ciò che è vero se lo è veramente…

-Sei soddisfatto di come si stanno muovendo i vari organismi di rappresentanza?
Purtroppo no. Riconosco il grande sforzo che si sta facendo ma c’è molta confusione e la tesa di mano non è sufficiente. Si sta ad ascoltare molto le esigenze di alcuni ma non di tutti. Il mondo della cultura e delle spettacolo ad esempio è il primo ad essere stato chiuso e non si sa quando ripartirà ma intanto si riaprono le spiagge (e ne sono felice come tutti) come se in queste non ci siano gli stessi problemi di assembramento come in un piccolo concerto. Pur comprendendo il bisogno del nostro Governo di stare a sentire soprattutto la parte legata alla sanità e nel rispetto dei troppi morti questa non è oggi l’unica priorità. Se non si affrontano tutti gli argomenti e non si sta a sentire le istanze e i consigli di tutti, i morti sul campo saranno molti di più.

-Se avessi la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederesti?
Un sacco di cose. Troppe da poterle riportare in questa intervista… E avrei un sacco di idee. Anzi, ho un sacco di idee da proporre. E non solo io…

-Hai qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
Resistete. Resistiamo. Tutti assieme ce la faremo… Retorica?

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